- l'altra notte.

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Non appena sentì il suono della sua voce, il sangue gli si gelò nelle vene. Quella voce così vellutata che, se avesse potuto toccarla, avrebbe sicuramente sentito un tessuto setoso sfiorargli la pelle. Così calda ed invitante da potergli infondere affetto e coraggio, così dolce da poterlo cullare con la sua melodia. Jason l'aveva già sentita.

La ragazza si muoveva sinuosa, a suo agio tra le persone che affollavano il museo, spintonandosi per ammirare meglio questo o quell'oggetto che faceva parte della mostra. Per i turisti americani, abituati alla modernità delle loro cittadine costruite solo dopo il diciottesimo secolo, il palazzo dell'imperatore Diocleziano, grande capo di Roma, era una vera meraviglia. Le pareti sontuose, abbellite da affreschi e grandi arabeschi, toglievano il respiro a chiunque e le statue antiche, che sembravano uscite delle mani di un dio, non erano da meno.

Jason la riconobbe all'istante. Strinse più forte la mano di Piper, timoroso che, a causa della presenza di quella ragazza, lei sarebbe pututa fuggire da un momento all'altro; poi, quando si rese conto che forse aveva esagerato, si costrinse a pensare che, tanto, la sua fidanzata non sapeva niente di lei e che non c'era pericolo per lui. Si sarebbe solo dovuto tenere a debita distanza e non sarebbe accaduto nulla di male. 

«L'imperatore Diocleziano fu uno dei più potenti nella storia di Roma, anche grazie alla sua perspicacia e alla sua astuzia» stava spiegando la ragazza ai turisti, che, elettrizzati, la seguivano senza fiatare, «Egli esercitò potere sulla plebe romana anche a livello psicologico: in molti nell'impero credevano che il loro imperatore fosse un dio, o un diretto discendente di Giove, il re degli dèi, dato che si faceva vedere molto poco in pubblico e, quando lo faceva, indossava abiti sontuosi e lunghi mantelli, così da apparire il più regale possibile.»

«E, ehm, signorina?» Jason credette di star per svenire quando, all'improvviso, Piper richiamò l'attenzione della guida. «Sa chi ha scolpito quest'opera? La trovo stupenda!»

La ragazza si voltò per guardare in faccia la sua interlocutrice. Jason cercò di nascondere il proprio viso, voltandosi a guardare la statua indicata da Piper e fingendosi interessato quando, invece, il sangue stava scorrendo attraverso le sua vene fin troppo velocemente. Riusciva a percepire il battito del suo cuore massacrargli le tempie, offuscadogli qualsiasi pensiero coerente fosse ancora in grado di formulare. Inevitabilmente, i loro sguardi si incrociarono. Lei aveva la stessa fierezza negli occhi che aveva mostrato qualche sera prima, quando l'aveva conosciuta – Jason si chiese se fosse propria della ragazza o se uscisse allo scoperto solo quando i suoi occhi neri incontravano i suoi, incolori al confronto. Con un sussulto, il ragazzo comprese che anche lei si ricordava di lui: non l'aveva dimenticato, nonostante tutti i drink di quella sera e la penombra che invadeva il locale in cui si erano visti. Be', certe cose non si dimenticano facilmente, fece una voce nella sua testa (e perché suonava come quella di Leo?!).

La ragazza si schiarì la voce. Forse aveva notato che lui e Piper si stavano tenendo per mano. E se avesse fatto una scenata? Dopotutto, le aveva mentito, no? Se lo sarebbe meritato.

*** 

«Il posto è occupato?» chiese una voce femminile. 

Jason non rispose subito. Sentiva la testa girargli pericolosamente ed i pensieri naufragare tra l'alcool che già aveva ingerito. «In realtà, no.» Sapeva che non era così. Piper sarebbe stata lì fra poche ore e l'avrebbe raggiunto direttamente in quel bar nel quale si erano dati appuntamento. Si sarebbero ritrovati dopo settimane di lontananza per una piccola vacanza che avevano deciso di concedersi dopo aver dato ai loro amici e familiari la notizia del loro fidanzamento. Ma quella sera si sentiva terribilmente solo ed abbandonato. 

La ragazza si strinse nelle spalle. «Ti dispiace se mi siedo qui, accanto a te? Prometto di non dare fastidio, ho delle cose da sbrigare.» Senza aspettare una risposta, si sedette sullo sgabello del bancone e, mentre ordinava un Martini, tirò fuori da una borsa da spiaggia una quantità infinita di fogli sui quali, con calligrafia fitta ma ordinata, erano scritti migliaia di appunti su argomenti diversi. 

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