Capitolo trentaquattro

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Karyla

Preferirei vendere le mie interiora ad un goblin piuttosto che stare nella stessa stanza con un verme di queste misure.
Negli ultimi giorni ho sviluppato un odio così radicato e profondo verso Royler, che non sono più sicura che ci sia qualcosa di positivo nella mia anima.
Il genere di odio che ti logora dentro, che fa accanire ogni singola cellula del tuo corpo contro l'oggetto di tanto astio.
Sostituisce tutto ciò che c'è di bello in te, con il più fetido marciume.

È così che mi sento ora: sporca.
Vorrei fare qualcosa per alleviare questa sensazione ma non riesco a smettere di volerlo morto.

Ma se tornassi indietro, a quel giorno nel bosco, rifarei esattamente quello che ho fatto, con o senza controllo.
Salverei Kris altre migliaia di volte.

"È così divertente giocare con voi, ragazzi" quel verme di Royler mangia tranquillamente la sua porzione di carne, mentre alza lo sguardo su di me, che mi trovo di fronte a lui, dall'altro lato del tavolo di quercia.
"Sai? Credo che si senta molto in colpa. Storm, intendo. Per non averti dato più attenzioni... sai, quando poteva"

"Ma così sarà ancora più divertente giocare con lui" si pulisce la bocca con un tovagliolo prima di iniziare a bere uno strano liquido rosso sangue "ho nascosto un bigliettino nella casa dove stavamo prima. L'ha trovato"
Alzo lo sguardo verso di lui e desidero con tutta me stessa di trovarlo magicamente morto, accasciato sulla sedia, ma ciò non accade. Invece mi ritrovo il suo subdolo ghigno, che non prova nemmeno a nascondere.

"Non ce la farai mai, Royler. Andiamo, per quanto pensi ancora che andrà avanti? Storm ti troverà e mi libererà" gli dico con il tono più minaccioso che riesco a trovare.
"Libererà? Sei tu che sei voluta venire con me, o sbaglio?" dice con quella sua calma snervante, come se avesse sempre la situazione in pugno. Anche se effettivamente ce l'ha, per ora.
"Ero sotto il tuo controllo Royler, mi hai costretta tu, e in ogni caso, sì, per salvare Kris, lo rifarei, ma di certo non per stare al tuo fianco come un cagnolino fedele" increspò gli occhi e grugnisco leggermente, mentre poso i miei palmi sul tavolo, ai lati del piatto ancora pieno.

Si alza senza dire niente, e con tutta calma si dirige verso la porta.
Quando si trova con un piede dentro la stanza e uno fuori, pronto per uscire, chiamo il suo nome, facendolo girare a guardarmi con sguardo interrogativo, e scocciato.
"Sono stanca, adesso basta, davvero, dimmi perché sono qui" mi avvicino, alzando lo sguardo per guardarlo negli occhi, quando mi trovo praticamente a dieci centimetri di distanza da lui.
Lui segue i miei spostamenti con occhio vigile, anche se sa perfettamente che non potrei fare nulla per scappare perché, non so come, tutte le finestre, porte, buchi di questa maledettissima casa mandano scariche elettriche ogni volta che tento di varcare la loro soglia.
"Ma come? Ancora non l'hai capito? Io e te siamo uguali, te sei come me" si sposta di poco verso di me, accorciando ancora di più la distanza tra i nostri corpi.

Una risata, che non ha nulla di ironico, prorompe dalla mia gola, riempiendo il vuoto, udibile in questa stanza.
Con una mano mi tocco la pancia, che inizia a risentire dei singulti dovuti alla risata.
Torno improvvisamente seria e lo guardo.
"Io, non centro nulla con te, assolutamente nulla" mi allontano di poco da lui, perché l'atmosfera si sta leggermente surriscaldando e potrei fare qualcosa di avventato avendolo così vicino, tipo strappargli qualche arto, ma così complicherei la mia situazione già abbastanza incasinata.
"Tu sei un viscido bastardo, un rifiuto del mondo, un Alpha indegno di questo titolo. Sei un manipolatore, conosci solo la violenza e ne vai fiero, quando dovresti solo vergognarti" prendo fiato, e mi accorgo di aver cominciato ad urlare "sei tutto ciò che avrei voluto non incontrare mai"

Vedo la sua mano alzarsi e posarsi delicatamente sulla mia guancia, e con il pollice asciugare l'acqua salata che cola dai miei occhi.
E per un attimo mi è sembrato di vedere una parvenza di dolore nel suo sguardo. Quasi senso di colpa.
Come se non volesse fare quello che sta facendo.
E non ci avevo ancora pensato, che magari lui non vuole questo, magari anche lui è controllato da altre forze, magari anche lui le sente nella sua testa, e non può far altro che obbedire.

Poggio la mia mano sulla sua e fletto la testa in direzione delle nostre mani unite, chiudendo gli occhi e lasciandomi andare.
Mi ci vuole poco a scoppiare in singhiozzi disperati.
Mi sento prendere dai fianchi e attirare verso la sua figura possente, fino a rimanere appoggiata sul suo petto, con le sue braccia possenti a cingermi il corpo scosso dal dolore.
Sento delle lacrime non mie scorrere sul mio collo e a questo punto mi sembra ovvio, che lui non vorrebbe nulla di tutto questo.
Ha paura, almeno tanta quanta ne ho io, e paradossalmente, al contrario di cosa pensavo dieci minuti fa, ora non vorrei far altro che smetterla di vederlo soffrire.

"Sei come me"
Questa frase continua a rimbombarmi nella testa come un eco.
Siamo davvero uguali, anche lui le sente, lui capisce cosa provo.
Forse ci possiamo aiutare insieme.

Mi stacco leggermente da lui, cercando di guardarlo negli occhi anche se fa tutto il possibile per evitare il mio sguardo.
Porto le mie mani sulle sue guance per indirizzare il suo sguardo verso di me.
"Ci possiamo aiutare insieme, Royler, ce la possiamo fare davvero" asciugo a mia volta le lacrime che infestano il suo viso "gli dei solo sanno quanto io sia felice di non essere sola, pensavo di essere pazza, tutte quelle voci che nessun altro poteva sentire" smetto di parlare quando un suo dito si posa sulle mie labbra.

Scuote la testa in senso di diniego.
"Ci ho provato, per tutti questi anni ho provato a farle andare via, ma sono come fiamme dentro di me, alimentate dall'ossigeno dei miei sentimenti. Mi stanno bruciando da dentro e non c'è nulla che io possa fare per placarle" il suo tono è così rassegnato che mi mette paura.
Io devo farcela a mandarle via, a riacquisire il controllo di me stessa.

"Non dire così, ci deve essere un modo per mandarle via, non possono essere apparse dal nulla, sono sicura che insieme troveremo un modo per-" vengo interrotta dal pugno che si scaglia contro il ripiano del tavolo.
"Ho detto che non esiste!" urla con la vena del collo che pulsa sotto lo scorrere del sangue.
Si porta le mani ai capelli e se li scompiglia, gli occhi sembrano spiritati, quasi escono fuori dalle orbite.
"Non esiste" sussurra sottovoce voltandosi e uscendo in tutta fretta dalla stanza, non votandosi indietro nemmeno una volta.
Lasciandomi sola con le mie nuove scoperte, e la paura delle conseguenze che queste porteranno.



Non vi sarete mica scordate di questa storia...
Ok che non aggiorno da secoli però faccio il possibile... il liceo mi stressa.

A SPARK OF HOPE - The AlphasDove le storie prendono vita. Scoprilo ora