☙~[ Capitolo .7 ]~☙

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  «Cacciato di cas-... Come scusa?!»
  «S-sì, loro...» Respirò visibilmente turbato, con la mano sul petto, come per voler fermare il veloce battito del suo cuore. «È sempre stato così. Per tutta la vita io... ho mostrato di sentirmi diverso. Ma i miei genitori non capivano, e così, quando ne hanno avuto abbastanza di me, hanno deciso di rinnegarmi, perché io "ero sbagliato"...» Prima che Nathan potesse vedere la lacrima si passò le mano sulla guancia, asciugando la goccia con l'indice.
  «Mi... dispiace, non-»
  «Non lo sapevi. Già... Tanto ormai ci sto facendo l'abitudine, anche se ogni qualvolta che ci penso fa sempre male...»
  «Ma tu non sei ancora maggiorenne, quindi non dovresti vivere da solo.»
  «È ormai da...» Iniziò ad alzare le dita. «... due anni che mi hanno affidato ad Aaron, il mio maggiordomo, e così si sono "parati il culo".» Con le dita fece il segno delle virgolette per aria, ed un sorriso finto gli incupì ancor di più il volto.
  Quella fu una di quelle rare volte in cui Nathan mostrò i suoi sentimenti. Sembrava che il piccoletto ci tenesse molto alla sua famiglia, opinione totalmente diversa dalla sua, ma lo rattristava quel visetto tanto dolce e addolorato. Allungò il braccio verso di lui, e la mano finì tra i suoi capelli morbidi e, a suo parere, splendidi nella loro chiarezza.
  «Ora hai me, Nuvoletta...»
  Stava quasi per allagare in un mare di lacrime dopo quelle dolci parole. Ma non lo fece, o si sarebbe mostrato debole e frignone.
  «Grazie...» Sorrise togliendo la mano dal suo capo, anche se avrebbe voluto che lo accarezzasse ancora. «Ora però non infrangere la promessa!» Tornò in sé, incrociando le braccia e facendo un broncio troppo bambinesco. Nathan non rimproverò il ragazzo come aveva fatto con Tessa, e la cosa fu strana, perché sorrise. Non aveva detto odiasse l'infantilità? Si mise ancora più comodo di quanto ancora già non fosse, poggiando le braccia sopra lo schienale del divano e allungando le gambe, forse per stiracchiarsi.

  «Allora... vediamo da dove posso cominciare...» Mirava il soffitto, con un non so che di malizioso nel volto, a pensare a quanto la sua vita potesse essere diversa da quella del ricco Signorino Mitchell. Sospirò iniziando ad agitare il piede a terra, dopo che riprese il controllo degli arti inferiori, piegandoli. «Ho un rapporto di merda con i miei genitori, che non capiscono quello che ho deciso di essere, ho scoperto di essere gay a tredici anni e sono scappato di casa, mio fratello minore mi vede come un ostacolo e mi odia per colpa dei miei, sin da bambino mi hanno diagnosticato un casino di disturbi mentali e devo prendere due volte tanto delle pasticche, ho due inquilini che mi fan girare ogni volta che possono, faccio il gigolò solo per soldi perché sono economicamente in rosso, e ho firmato un contratto col mio capo e se rinuncio al lavoro mi ammazza. Ah. E ho tentato il suicidio almeno un paio di volte.»
  Il suo sguardo incrociò solo alla fine quello di Timothy. Nathan sorrideva. Perché sorrideva? Perché era malato. Per Timo era una cosa talmente assurda che pensava potesse essere solamente la storia di un libro, di un film, o di qualunque altra cazzo di cosa passasse per la mente. Non parla con i genitori, ha un malattia (ha più malattie) al cervello, nuota in un perenne oceano di peccato, fa parte di un trio e ha passato un'infanzia difficile. Avrebbe potuto essere il protagonista di un fumetto, ma nella parte del cattivo. Ma perché considerarlo "cattivo"? Aveva un carattere un po' stronzo, magari anche sfacciato, ma non sembrava "cattivo". Forse non era sotto sotto come si mostrava, e infatti lo aveva capito.

  «Non sono più sicuro della drammaticità della mia storia...» Mormorò Timothy, rompendo l'intenso silenzio che si era creato dopo quella confessione. «Mi dispiace... Non sapev-»
  «"Non lo sapevi. Già... Tanto ormai ci ho fatto l'abitudine".» Nathan aveva avuto la brillante ma stupida idea di citarlo. Però quella cosa fece ridere entrambi.
  «Pensi di aver fatto bene ad andartene di casa?»
  «Assolutamente sì. È stata una liberazione...»
  «Ma non ti manca la tua famiglia?»
  «Per niente.»
  «Lo dici solo perché vuoi mostrarti "uomo".»
  «No, affatto. Loro mi odiavano ed io odio loro. Dovrei averne pietà come te?»
  «La mia non è pietà. Solo... ecco... è pur sempre la mia famiglia...»
  Con occhi pietosi il più piccolo tentava di far capire le sue motivazioni, e col cuore in fiamme quello più grande sperava di rimanere nei suoi ideali, per non essere nel torto.
  «Ognuno è diverso, Nuvoletta. Io non dimentico e non perdono, e non devo piacere a nessuno, né tantomeno devo perdere tempo con quelli a cui non piaccio.»
  «Però tu mi piaci~»

  "Come poter non cadere in quello splendido sorriso, Nathan Bureau?! Cosa ti ha appena detto?! Gli piaccio?! No, no, no... non in quel senso. Solo come personalità, come prima apparizione. Sì, magari sono bellissimo, ma non intende mica come "futuro ragazzo"! Però... quegli splendidi occhi azzurri... Vedo oltre un peccato che mai ero riuscito ad immaginarmi prima, ed ora conosco il ragazzo che ospita il diavolo: Timothy. È un nome così poco usato, ed ora capisco perché. Non tutti possono essere marchiati con quel nome, che ora ha il significato di "colui o colei pervaso da una dannata lussuria". Guardo quel ragazzo e sento di esserne vulnerabile. Ora non lo squadro più: lo ammiro. Lo mangio con gli occhi, e non so perché trovo tanta bellezza nella sua femminilità, ma anche se la risposta fosse solamente "perché è ancora fisicamente un maschio", non mi importerebbe più nulla. Lui è forse più bello di me. Neanche 48 ore dopo, e già lo voglio. Immaginare di baciarlo già mi fa impazzire, di sentire la sua pelle sulla mia e di sentir gridare il mio nome in un modo che non ho ancora sentito, con una sensazione che non avevo mai capito. Se ora sono innamorato... giuro che mi sparo."

  «Non mi conosci affatto, Nuvoletta. Non sono quello che credi.»
  «Oh, no! Scusa! Non intendevo quello!» Il cuore di Nathan avrebbe potuto spezzarsi ancora dopo tutto il dolore dell'infanzia? Sì. Probabilmente ancora molte volte, tra le quali la spiegazione del'albino. «Intendo come persona- nel senso... Come un possibile amico.» Più perfido di così...
  «Ci devo pensare. Dipende se mi piaci a tua volta. Lascia che ci pensi... mmh... Sì. Posso sopportarti.»
  Ancora una risata colorò la loro lunga chiacchierata, che si rivelò durare fino a una certa ora della sera, quasi all'arrivo del maggiordomo.

  «Se vuoi ti faccio accompagnare a casa.»
  «No grazie. Il mio covo deve rimanere segreto.» Iniziò a prepararsi per il pericoloso viaggio glaciale verso la sua dimora, cominciando dall'allacciarsi le scarpe.
  «Però io posso venirti a trovare, no?» Fece muovendo le spalle in brevi rotazioni del busto.
  «Fai così anche con i clienti?»
  «Nah. Finisco direttamente a letto.» Rise.
  «Nessun rimpianto. Solo sesso.»
  «Praticamente...»
  «Non mi sembri un tipo poco affettuoso, però. Hai mai avuto delle relazioni?»
  «Come mai inizi a farmi tutte queste domande?»
  «Rispondi alla domanda con un'altra domanda?»
  «Sbaglio o anche te hai usato questa "tecnica"?» Quello smorfioso arricciò il naso e si fece vedere la lingua.
  «Non mi vuoi rispondere. Va bene. Sarà per la prossima volta allora.»
  «Eeh? Vuoi dire che ci troviamo di nuovo??» Saltellava euforico.
  «Stupido, non si era capito prima?» Si dovette voltare per soddisfare il suo desiderio di poterlo assaporare solo con gli occhi. «Ti dico io quando trovarci. Avrò più lavoro di prima dopo che avrò accettato l'aumento.»
  «Un aumento? Wow! Congratulazioni! Molto più lavoro quindi, eh? Però non potrebbe andarti meglio di così.» Si complimentò, anche se in realtà non avrebbe voluto che il suo amico avesse meno occasioni per incontrarlo, ma se a lui stava bene, allora anche lui l'avrebbe pensata allo stesso modo.
  «Vero? Almeno Mark non dovrà lavorare più così tanto...»
  «Mark?»
  «Oh, Nuvoletta... lo conoscerai.» Fece un sorrisetto furbo, come se stesse tramando qualcosa.
  «Uuh! Va bene! Sono curioso!»
  Dopo questo delle luci illuminarono i vetri e le tende d'ingresso, per poi sparire. Era probabilmente arrivato Aaron. Chissà come se la sarà spassata in quelle ore...

  Timothy aprì la porta.
  «Bene. Ora fuori dalle balle.» Non riusciva a rimanere nello scherzo, e rise ancora.
  «Per la prima volta è stato un piacere fare visita a qualcuno.» Fece finta di mostrarsi freddo, ma dentro ancora sentiva il bisogno di andare molto oltre di quel che fosse la loro piccola conoscenza. «Ci vediamo, Nuvoletta.» Con una certa energia gli scompigliò i capelli. Era veramente basso quel tipetto.
  Allontanatosi dall'uscio di casa incrociò il maggiordomo, e passò nemmeno un secondo da quando aveva alzato il braccio in segno di saluto e poi riabbassato. Aaron ricambiò con un saluto a voce.

  «Buonasera Signorina.»
  «Sì... buonasera...» Con occhi sognanti stava ammirando la sagoma confusa nel buio di Nathan, e non poteva fare a meno di sorridere.
  Aaron si girò. Sogghignò.
  «Avete proprio degli ottimi gusti, My Lady.»

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Ammetto di essere stata lunga con la pubblicazione, ma ho il "blocco dello scrittore" (???)
Sappiate che ci ho messo svariato tempo per assicurarmi che questa parte fosse sufficiente come contesto e lessico, e sono comunque poco soddisfatta del risultato. Mi fa proprio cagare :3
E poi è anche corto-
Vabbè, magari a voi piace, ma spero di non fare altri capitoli del genere, lmao, o sennò posso considerarmi analfabeta ahahah

Hai finito le parti pubblicate.

⏰ Ultimo aggiornamento: Feb 18, 2019 ⏰

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❝Just a Black Rose❞ by. Psycho_Nyctophilia & JershandTyDove le storie prendono vita. Scoprilo ora