Per compiacere la moglie Elena, il conte Pierre Bezuchov aveva accettato di lasciarsi crescere i capelli e di rinunciare agli occhiali, nonché di vestirsi come la moda imponeva.
Si aggirava da una sala all'altra col suo fardello di apatia e tristezza.
Anche lì, come del resto in qualsiasi altro posto si facesse vedere, era attorniato da adulatori ruffiani interessati solo alla sue ricchezze.
Ormai assuefatto a questa interessata ossequiosità, prestava loro l'attenzione di quando la propria mente vaga visibilmente da un'altra parte.
La sua età gli avrebbe consentito in realtà di stare solo con i giovani, ma le sue ricchezze e le sue frequentazioni nei centri di potere gli davano accesso anche ai gruppi più anziani ed influenti. Cosi passava indifferentemente dagli uni agli altri.
Nelle varie sale l'attenzione dei soci sconosciuti veniva calamitata dai più importanti membri anziani.
I primi si accostavano rispettosamente ai gruppi in cui parlavano i secondi, per ascoltare in religioso silenzio le dissertazioni di queste invidiabili figure circondate di fama.
I gruppi più numerosi si erano formati intorno al conte Rastopèin, a Valuev e a Naryškin.
Il primo stava raccontando di come i russi fossero stati travolti dagli austriaci che scappavano ed avessero dovuto aprirsi la strada a forza, minacciando i fuggitivi con le baionette per riuscire ad avanzare controcorrente.
Valuev invece, con l'aria di rivelare confidenzialmente un segreto, spiegava al suo uditorio come l'invio di Uvarov da Pietroburgo a Mosca non avesse altro scopo se non quello di conoscere l'opinione dei moscoviti sull'esito della battaglia di Austerlitz.
Nel terzo gruppo, infine, Naryškin ricordava l'episodio durante il quale (alla seduta del consiglio di guerra) Suvorov si era messo ad urlare come un gallo da combattimento in risposta alle proposte senza senso avanzate dai generali austriaci.
Šinšin, che era li vicino e cercava sempre di fare lo spiritoso, ebbe la triste idea di commentare che 'Kutuzov non é neanche stato capace di imparare da Suvorov ad urlare come un gallo' ma le occhiate di traverso che ricevette dai membri anziani gli fecero capire che quelli erano il giorno ed il luogo sbagliati per parlare di Kutuzov in quel modo.
Le morbide scarpine del conte Il'ja Andrejc Rostov, indaffarato ed irrequieto, lo conducevano continuamente dalla sala da pranzo al salone e viceversa. Salutava indifferentemente (con la sua abituale bonarietà) quelli importanti e quelli che non contavano niente, e non perdeva occasione di cercare con lo sguardo il suo bellissimo e ben vestito figliuolo, per inviargli strizzatine d'occhio.
Nikolaj era in piedi vicino ad una finestra e parlava con Dolochov, vistosamente apprezzando quel nuovo personaggio conosciuto recentemente.
Il vecchio conte si avvicinò loro e strinse la mano di Dolochov.
«Verrete da noi a trovarci, vero? É d'obbligo, visto che avete conosciuto il mio guerriero e che siete entrambi eroi di laggiù...»
Ma non proseguì la conversione, distratto da un signore che passava:
«Ah, Vasilij Ignat'ic!... Salute, vecchio mio...»
Ma anche in quel momento non ebbe il tempo di finire la frase, perché ci fu un subbuglio generale ed un lacchè (tutto ansimante e preoccupato) annunciò:
«È arrivato!»
Dalle scale si udí uno scampanellìo ed immediatamente tutti i direttori di sala sobbalzarono.
Immediatamente, tutti vari membri del Club (prima dispersi in ogni angolo) iniziarono ad ammassarsi come granelli di sabbia in una clessidra, incuneandosi attraverso la porta del salone grande.