IX

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Si potrebbe dire irresponsabile, la sua scelta. Si potrebbe dire immatura, affrettata, stupida, pazza, insensata.

Ma Emma aveva 23 anni da quasi un giorno, e si chiedeva cos'è che aveva fatto per tutti quegli anni nella sua vita.

Era sempre stata a programmare, a studiare per quel bel voto, ad impegnarsi per quell'esame, a fare la cosa giusta al momento giusto, a pensare tanto alle conseguenze, a riflettere prima di agire, a sognare in grande ma non troppo da rimanere delusa.

Aveva 23 anni ed aveva passato una vita monotona e troppo organizzata.

E quella sera, dopo aver letto i cartelloni, dopo aver visitato Camden Town, dopo aver rivisto Timothée, dopo averlo ascoltato, quella sera aveva odiato ogni singolo secondo di quei 23 anni.

Li aveva rivissuti tutti, veloci, in una giornata: ogni singolo secondo, ogni singolo passo. Li odiava, tutti.

E perciò prese quella decisione irresponsabile, immatura, affrettata, stupida, pazza ed insensata. Aveva bisogno di vivere il momento, di osare, di buttarsi a costo di cadere, di scappare, di correre, di vagare.

Aveva bisogno di perdersi. Aveva un disperato bisogno di perdersi.

Perché sapeva che solo una volta persa si sarebbe trovata davvero. Aveva bisogno di scoprirsi, di conoscersi.

Chi era lei? Chi era Emma?

Dopo 23 anni lei ancora non lo sapeva.

E se ne accorse solo quel 26 aprile, perché prima era troppo impegnata a rispettare i suoi programmi per rendersene conto.

Emma si svegliò che era già mattina.

La Audi grigia era parcheggiata in un campo d'erba.

Era da sola nell'auto.

Pensò per un secondo che Timothée l'avesse abbandonata lì, che fosse scappato, ma poi si tranquillizzò: non lo farebbe mai, si disse.

Scese dall'auto con la schiena dolorante, causata da una notte dormita a sedere. Era in Scozia, nelle Highlands.

Il freddo le pungeva le braccia poco coperte: la faceva tremare.

La vista era bellissima però. L'Oceano Atlantico era appena dopo il burrone in fondo alla vallata. Emma si guardò bene intorno.

«Emma!» la chiamò una voce da lontano.

Era Timothée, la chiamò con la mano verso di lui. Lei corse, così da far cessare il freddo che la stava congelando, poi arrivò dal ragazzo.

«Tieni» gli disse porgendole una pelliccia.

«C'è una donna in quella casa» le disse indicando la piccola abitazione poco distante, in mezzo al nulla. «Mi ha detto che può ospitarci per due notti» aggiunse.

La casa era piccola e calda. La donna offrì del latte caldo ad entrambi.

«Siete in vacanza?»

«Sì» aveva risposto Timothée.

La notte Emma uscì dalla piccola abitazione, strinta dentro una calda coperta, ed avanzò sull'erba.

Il silenzio era immenso, lei era circondata dal vuoto.

Il cielo era infinito sopra di lei: non aveva mai visto un cielo così scuro e così pieno di stelle.

Si sedette per terra quando fu abbastanza lontana dalla casa. Fissò la stella più grande di tutte. Quella stella l'aveva guardata dalla piccola città dove era cresciuta, l'aveva guardata da Firenze, l'aveva guardata da Londra, ed ora la guardava dalla Scozia.

Chissà da dove l'avrebbe guardata poi, si chiedeva.

Sentì dei passi alle sue spalle. Si votò per incontrare la figura di Timothée, con un pesante maglione verde. Lui si sedette accanto a lei.

«Ti sei pentita?» le chiese.

«No» gli rispose lei: non sapeva se fosse vero. Rimasero un po' in silenzio.

«Vedi quella stella?» disse la ragazza indicandola, e sembrava toccarla con il dito. Lui alzò il capo.

«Si chiama Sirio: è la stella più luminosa di tutte» disse Emma. «Si dice che sia la regina del cielo, triste, no? E la Luna? Per me la Luna rimarrà sempre la regina del cielo. Non mi importa se non è luminosa» le sue parole viaggiarono verso il cielo.

«Anche per me» disse Timothée.

«Riusciresti mai a vivere qui?» gli chiese Emma, «In una casa in mezzo ad una valle desolata?». Aveva bisogno di parole, vicine a lei, perché forse così l'idea di aver lasciato definitivamente la sua vita sarebbe sbiadita per un po'.

«Sono nato a New York: impazzirei qui» rispose lui, Emma sorrise: East Cost, come Gatsby.

«Io sono nata in una piccola città, ma impazzirei anch'io» aggiunse Emma.

«Come è New York? E' così bella come dicono tutti?»

«Non sei mai stata a New York?!»

«Mai».

Timothée fissò ancora la stella Sirio. «E' bellissima, nessuna voce su di lei può riuscire a descriverla» disse il ragazzo.

«Perché sei venuto a Londra?» chiese allora Emma.

Timothée sospirò. Il cielo gli sembrava così immenso e così pieno di stelle: non aveva mai visto così tante stelle.

«Per vendetta» disse, era così brutta quella risposta. Emma annuì in silenzio.

«Io ho sempre desiderato di andare a New York. Ogni Natale chiedevo a mia mamma se lo avremmo potuto passare là. Ah, quanto vorrei un natale a New York... Ma il volo dall'Italia in America è sempre costato troppo» fece spallucce lei.

«Perché ti sei trasferita a Londra?» chiese ora lui.

«Perché ho sempre amato Londra»

«Più di New York?». Emma ci pensò.

«Non lo so».

Torna a casa || Timothée ChalametDove le storie prendono vita. Scoprilo ora