XV

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Emma afferrò la tinta dallo scaffale del supermercato, l'unico supermercato a Karokairi.

Timothée indossava un paio di occhiali da sole, scuri, sopra il naso, così scuri che gli occhi non si intravedevano neanche per sbaglio.

E li portava continuamente, dalla mattina alla sera, anche quando il sole non dava fastidio, anche quando era dentro un supermercato.

La mano di Emma tremava, mentre si avvinavano alla cassa. Timothée le posò la sua sopra, appena la notò, per tranquillizzarla, per non farla sentire sola.

Ma Emma la allontanò, con una mossa secca, continuando a farla tremare come una foglia in autunno.

La ragazza comminò veloce fuori dal negozio, appena ebbero pagato, lasciando il ragazzo indietro.

«Cos'hai?» la richiamò Timothée, la sua voce era rigida. Era da quella mattina che Emma lo evitava, che non gli parlava, che non lo guardava negli occhi.

«Cos'ho?!» si voltò lei di scatto, alle sue parole. Erano nel piccolo parcheggio del supermercato, vuoto, silenzioso.

Lui si avvicinò, sospirando per la frustrazione.

«Stammi lontano!» gridò Emma.

Timothée si fermò a pochi passi da lei. Le lacrime corsero giù per il naso della ragazza, e morirono tra le sue labbra, facendole assaporare il loro sapore salato.

«Io ti odio» disse fissandolo negli occhi, per la prima volta in quella giornata. E lo disse con asprezza, con un sibilo.

Il ragazzo rimase in silenzio, fissando il castano nelle sue pupille. Poi Emma si voltò, e le lacrime scesero ancora, e camminò lontano da lui.

Scese nella spiaggia, si sedette sulla riva del mare, lasciò che le onde riuscissero a raggiungerla, bagnandole i jeans corti.

E pianse ancora, per ore intere. Ed i singhiozzi si tuffavano nel mare, affogavano nelle onde. Il Mar Egeo le accarezzava i piedi piano, delicato, come se volesse abbracciarla.

Ed Emma si maledisse in silenzio.

Si maledisse per aver risposto al "che tipo di musica ascolti?", si maledisse per essere entrata in quel pub. Si maledisse per averlo fatto entrare nel suo appartamento, quella sera. Si maledisse per essersi lasciata tutto alle spalle e per essere partita.

Poi pensò a quando apriva la finestra di camera sua, ogni mattina, e sorrideva, perché la trovava lì, Londra, bellissima.

E pensò ai cappuccini da Starbucks, ai venti minuti di anticipo alla lezione del giorno. Pensò ai pranzi a Portobello, alla calma di Hampstead Head, alla vitalità di Piccadilly Circus.

Ripensò all'Italia, alla sua Firenze, alla suo piccolo paese dove era cresciuta.

Ripensò a sua mamma, al modo in cui la aspettava ogni volta all'aeroporto.

Si chiese cosa stesse facendo. Forse stava piangendo anche lei, mentre fissava l'orizzonte, come la figlia.

«Scusa» disse Emma, sottovoce, alle onde, con il poco fiato che le restava, con la pelle che le tirava per le lacrime che si erano seccate lungo essa.

E sperò con tutta se stessa che quello scusa percorresse tutto il mare, volasse in cielo, alto, si lasciasse portare dal vento.

E sperò che raggiungesse la donna, le risuonasse lieve nelle orecchie.

Torna a casa || Timothée ChalametDove le storie prendono vita. Scoprilo ora