XVIII

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E fu così: l'uomo li ospitò nell'ultima casa di quella lunga via.

Era una villetta disposta su due piani: un piccolo giardino, delle scale in legno scuro, un pessimo arredamento, secondo i gusti di Emma.

«Mio figlio è al college» disse l'uomo facendo strada ai due ragazzi. «C'è un letto matrimoniale in camera sua, potete restare quanto volete» aggiunse.

La camera era la prima dopo le scale in legno, sulla destra.

«Studia ad Hale» disse ancora l'uomo, sorridendo alla stanza ormai vuota. «Mi fa piacere avere qualche ragazzo in giro per casa» continuò la sua voce profonda. Emma gli sorrise.

«Grazie» gli disse.

Così il giorno dopo si svegliarono su un comodo letto, poi mangiarono un abbondante colazione.

Camminarono sulla Walk of Fame, quella mattina.

Emma entrò dal primo Starbucks che le capitò davanti, poi lesse tutte le bevande che avrebbe potuto comprare, tutte le bevande che non si era mai fermata a leggere. Ordinò un frappuccino al cioccolato.

E camminarono fissando il pavimento, leggendo quei nomi che poi qualche secondo dopo calpestavano.

«Quale era il tuo sogno, quando eri piccolo? Quei sogni in cui la gente ha sperato ma che ora non gli passerebbero neanche per la testa, perché ha iniziato a pensare troppo» disse Emma, lanciando un'occhiata a Timothée.

Ed il ragazzo se lo chiedeva ogni volta, da dove potessero arrivare quelle domande. E sorrideva, prima di iniziare a pensare, prima di darle una risposta.

«Volevo comprare un aereo» disse.

«Perché?»

«Volevo vedere cosa ci fosse dopo il cielo».

«Tu cosa sognavi?» le chiese il ragazzo.

«Io volevo la mia stella sulla Walk of Fame» rispose Emma.

«Perché?» chiese lui.

«Perché così, chiunque fosse passato di là avrebbe visto il mio nome. E forse si sarebbe soffermato a guardarlo, forse poi ci avrebbe ripensato. E le persone poi si sarebbero chieste di me, della mia storia, del perché fossi lì anch'io. E sarei rimasta indelebile, su questa strada: anche con la pioggia, anche con la neve, anche con il tempo» disse Emma.

«Hai paura di non essere ricordata?» le chiese Timothée.

«Tu no?» lo guardò lei, mentre continuavano ad avanzare su tutte quelle stelle.

Timothée ci riflesse. «Non mi importa» disse.

Io mi ricorderò di te, anche senza una stella indelebile sulla strada, avrebbe voluto dirle. Ma rimase in silenzio, lo disse solo con la mente.

Poi si bloccò, facendo bloccare anche la ragazza. «Cosa c'è?» gli chiese lei.

Timothée si sedette sul bordo del marciapiede, poi batté la mano sul suolo, per chiamarla a sedersi accanto a lui.

«Coprimi» le disse, mentre tirò fuori dalla sua giacca un pennarello nero. Emma sorrise, mentre posizionò la gamba in modo che le persone che passassero di là non vedessero i movimenti del ragazzo dai ricci castani.

E disegnò una piccola stella, sulla strada, un po' lontana dalle alte.

Emma, ci scrisse sopra.

Il sorriso di Emma si allargò. Poi afferrò il pennarello, dalle mani del ragazzo. «Coprimi» gli disse.

Timothée, ci scrisse sotto.

E poi si alzarono, inosservati tra tutte quelle persone. E sorrisero entrambi a quella stella, in inchiostro nero, sulla strada.

E chiunque fosse passato di là avrebbe visto i loro nomi. E forse si sarebbe soffermato a guardarli, forse poi ci avrebbe ripensato. E le persone poi si sarebbero chieste di loro, della loro storia, del perché fossero anche loro lì.

Lo avrebbero mai indovinato? Probabilmente no.

Ma sarebbero rimasti indelebili, su questa strada: anche con la pioggia, anche con la neve, anche con il tempo.

Torna a casa || Timothée ChalametDove le storie prendono vita. Scoprilo ora