VIII

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            Mi son lasciato tutto indietro e il sole all'orizzonte

Vedo le case, da lontano, hanno chiuso le porte

Ma per fortuna ho la sua mano e le sue guance rosse 

Indossava una grande felpa nera, e teneva il cappuccio sopra il capo, così basso da riuscire a coprire la parte superiore degli occhi.

«Timoth-» fece per chiedere Emma, ma lui la zittì posandole un dito davanti alle labbra.

I suoi occhi sbirciarono a destra, fino alla fine della strada, poi sbirciarono a sinistra. Solo quando si accertò che fossero da soli allontanò il dito.

«Non dire il mio nome» sussurrò.

«Perché?» chiese Emma perplessa.

«Non urlare» la sgridò lui sotto voce. «Non sto urlando».

La notte era illuminata da qualche lampione fioco.

«L'ho ammazzato» disse la sua voce, si incrinò sulle ultime sillabe.

Emma lo fissò negli occhi, oltre quel buio: erano lucidi.

«Non volevo» sussurrò poi il ragazzo.

«Chi?» chiese Emma, la sua voce era piatta, senza emozioni, il suo volto era pietrificato. Timothée fissò alla sua destra, poi alla sua sinistra. La felpa nera cadeva larga fin sotto la sua vita, le sue mani tremavano dentro le tasche.

Aveva paura, il ragazzo. Ma non rimpiangeva niente.

Non aveva paura per quello che aveva fatto, aveva paura per quello che lo avrebbe aspettato da quel momento in poi.

Era vero: non voleva ammazzarlo. Voleva solo farlo soffrire un po', spaventarlo, regalarli una piccola parte di quel dolore che lui gli aveva regalato sei anni prima.

Ma poi i piani non sono andati come dovevano andare, e le sue dita fredde hanno premuto quel grilletto.

Era stato un bum sordo, Timothée era barcollato indietro, mentre la pistola era ancora sorretta dalle sue braccia tese.

E l'uomo era caduto a sedere sulla poltrona, come se avesse voglia di dormire, di riposarsi o di leggere un giornale.

Ma poi la sua camicia si era tinta di rosso, prima una piccola macchia, poi tutto il petto. Ed i suoi occhi fissavano quelli di Timothee, di quel colore che si formava sulla tavoletta di Emma quando iniziava a mischiare il verde con il marrone chiaro.

Ed erano immobili, su di loro. E rimasero immobili per quei lunghi minuti, senza lasciare che le palpebre li chiudessero.

Il petto di Timothée si alzava sotto la maglia blu, la pistola era ancora sorretta dalle sue braccia tese.

Poi si guardò intorno: la scrivania, i fogli su di essa, la maniglia della porta, la tazza ancora piena di caffè: le sue impronte tappezzavano qualunque cosa.

«Entra» gli disse Emma, facendogli cenno con il capo verso il cancello.

Lei inserì la cifra numerica, attraversarono la spiazzo con gli alberi, entrarono nell'appartamento.

«Vuoi un tè?» gli chiese Emma, la sua voce non lasciava ancora trasparire nessuna emozione. I quattro occhi si incontrarono a metà strada.

«Ti ho appena detto che ho ammazzato un uomo» disse Timothée, i suoi ricci castani erano in disordine. «Non hai paura di me?» chiese, e sembrava rabbrividire a le sue stesse parole.

Torna a casa || Timothée ChalametDove le storie prendono vita. Scoprilo ora