Capitolo 9

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26 giorni prima

Gioco con dei ciuffetti d'erba, tirandoli e passandoli tra le mie dita, mentre mi godo il silenzio di questa mattinata a Pechino. Sono passati dieci giorni dalla nostra partenza, dieci giorni estenuanti a dirla tutta, e questa mattina Ashton ha avuto la malaugurata idea di buttarmi giù dal letto alle 4:45. Anche se, pensandoci bene, forse sarebbe più appropriato dire "questa notte", dal momento che era ancora buio pesto e il sole sembrava ancora non aver la benché minima intenzione di fare la sua apparizione.

«Vieni, Macky, non ti puoi perdere questo spettacolo!», ha esclamato poco più tardi, trascinandomi fuori dall'albergo, nel buio della notte.

A quale spettacolo si riferisse, non ne avevo idea, ma mi è stato tutto più chiaro quando abbiamo camminato fino a un parco e siamo saliti su una collinetta ai piedi del quale si trova un lago che stiamo osservando anche in questo momento.

A quanto pare, ieri notte Ashton ha avuto problemi col sonno, che ciclicamente si ripresentano. Gli ho già detto infinite volte di svegliarmi quando questo succede, ma lui non pare volermi dar retta. Mi ha raccontato di essere uscito dall'albergo, e di aver camminato senza una meta per più di un'ora, quando ha deciso di tornare verso l'albergo e ha trovato questo parco, dove si è fermato per ammirare l'alba. L'alba che sorge rispecchiandosi nell'acqua, colorando tutto intorno a sé di arancione, e ho dovuto dare ragione al mio migliore amico. Non potevo perdermi questo spettacolo.

«Sai qual è una delle cose che più mi affascina della Cina?», mi chiede questo ad un tratto, con la voce leggermente roca, come è sempre prima delle otto del mattino, o prima di due caffè.

Scuoto la testa, anche se il suo sguardo è ancora puntato verso l'orizzonte quindi non può vedermi, ma coglie il mio silenzio come un invito a proseguire.

«La loro concezione dell'amore», dice quindi. «So che può sembrare strano, con tutte le tradizioni assurde che hanno qui, il controllo sulle nascite e quant'altro», continua prima di sbuffare una lieve risata. «Ho letto un libro anni fa, parlava proprio di questo, e lo tengo sempre sulla scrivania in camera, così da poterlo leggere ogni volta che ho voglia».

Sentirlo così preso da qualcosa, vedere quella fossetta sulla guancia mentre ne parla, cogliere quel luccichio nei suoi occhi, sono quelle cose che vorrei poter vivere ogni giorno. Vorrei poterlo vedere sempre così, entusiasta, spensierato.

«Vuoi tenermi sulle spine ancora per molto, Irwin?», lo punzecchio su un fianco, farcendolo ridere.

«Pensavo non ti interessasse», si difende lui, ma si sbaglia di grosso.

Qualsiasi cosa scateni un tale interesse in lui, non può essere indifferente a me. È come una legge matematica, imprescindibile, universale, applicabile a ogni contesto, anche se di scientifico non ha un bel niente.

«Innanzitutto la loro riservatezza», esordisce dopo qualche attimo di silenzio, in cui probabilmente ha cercato di riordinare le idee e capire da dove partire. «Non sentirai mai un cinese dire alla propria ragazza che la ama. Sostengono che l'amore sia un sentimento silenzioso, che si prova, ma non si dice. Sostengono sia fatto soprattutto di sorrisi, di stima reciproca e di silenzio. E non è una cosa così assurda se ci pensi, no? Voglio dire, quando sei in compagnia della persona giusta non senti il bisogno di riempire il silenzio con parole vuote, al contrario, spesso non c'è bisogno di dire niente per capirsi».

E mentre capisco quanto le sue parole siano vere, sento una morsa stringersi attorno allo stomaco, in una sensazione che non mi so spiegare e a cui decido di non dare peso.

Take-off // 5 Seconds of SummerDove le storie prendono vita. Scoprilo ora