CAPITOLO 7

3.6K 420 122
                                    

Tardi. Troppo tardi.

Erano mesi che Arthur non rientrava a quell'ora per una motivazione tanto banale come aver trascorso la serata in compagnia dei suoi amici. Solitamente correva qua e là per lavoro, senza darsi un attimo di respiro, né una breve tregua per riposare mente e corpo. Quella sera invece, aveva approfittato del fatto che ormai aveva già confermato l'appuntamento per passare diverse ore insieme a Duba, il fratello gemello Cole, Amos e Amarok.

Un po' per se stesso, un po' per far ambientare la nuova arrivata.

In ogni caso, era stato riposante e divertente. Soprattutto divertente.

Amos e Amarok insieme formavano un duetto comico in grado di alleggerire qualsiasi atmosfera. I loro battibecchi li facevano assomigliare a una coppia di vecchi coniugi sempre pronti ad accapigliarsi e cercare il più insulso cipiglio per dare il via a qualche assurda lite.

Arthur li aveva conosciuti meglio solo di recente e i due ci avevano messo davvero poco per entrare nelle sue grazie. La schiettezza era un requisito fondamentale nelle relazioni d'amicizia del King e di certo ad Amos e Amarok non mancava.

«Dio, che mal di testa!» Togliendosi le scarpe si massaggiò le tempie con le dita. Aveva mangiato una pizza e bevuto solo qualche birra. Niente che la sua natura mannara non potesse reggere.

In realtà era stata una settimana cruciale per alcuni affari conclusi insieme al padre: spostamenti di azioni, accordi con soci e investimenti ingenti. Si sentiva come in costante bilico su una fune, o a camminare su un letto di uova.

Sfilò dalla tasca del completo un fazzoletto di stoffa e si terse il viso imperlato di pioggia. Fuori il tempo non era dei migliori, il cielo era una distesa di nubi scure che nemmeno lasciavano intravedere le stelle e la luna. Si respirava aria di neve.

Rimettendo via il fazzoletto, si aprì il primo bottone della camicia e camminò a piedi scalzi verso la cucina. Avrebbe preso un'aspirina e poi sarebbe strisciato nel letto.

Venticinque anni e non sentirli, eh? Ironizzò una vocina nella sua mente.

Da quando era diventato Magister, si sentiva invecchiato di vent'anni. Portarsi sulle spalle il peso dell'intero Michigan gli aveva fatto fare un balzo generazionale.

Non appena svoltò l'angolo un sorriso malizioso gli cancellò la stanchezza dal viso. Si bloccò sull'uscio della cucina e restò a fissare Phoebe mentre stava versando della farina in una ciotola.

Guardare le proprie leonesse era una delle cose che preferiva. Spesso bastavano pochi minuti in loro compagnia per rilassarsi e abbandonare lontano da sé le preoccupazioni del lavoro e del suo ruolo da Magister. La loro presenza lo ricaricava.

Si staccò dallo stipite e la raggiunse, aspettando che si accorgesse della sua presenza.

Phoebe non smise di adoperarsi ma fu attraversata da un brivido e sorrise. «Temevo che Duba e i ragazzi ti avessero rapito.»

«Sono riuscito a scappare solo dopo avergli lanciato le mie mutande» ironizzò.

Phoebe scoppiò a ridere, tappandosi la bocca per non far troppo rumore. «Che stupido che sei.»

«Le ragazze?»

«Le ho mandate a letto dicendo che ti avrei aspettato io. Avevo ancora un paio di cose da fare prima di abbandonarti nelle ruvide e avide mani di quei mannari» scherzò, versando lo zucchero nel composto e girando con una frusta per amalgamare il tutto.

«La signorina Brass? Si è già sistemata?»

«Sì, sì... ha passato un po' di tempo con noi e poi si è chiusa nelle sue stanze. Presumo fosse molto stanca dopo tutto quello che ha passato.»

ARTIGLI - BACIO INATTESODove le storie prendono vita. Scoprilo ora