Capitolo 4

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Era proprio come me lo ricordavo. Fisico possente, ancora più in evidenza vista la sua posizione, e appena alzò la testa, eccoli qui, i suoi stupendi occhi grigi. Appena incontrò il mio sguardo, un sorriso gli si dipinse sul volto. Quanto era bello! E voleva uscire proprio con me.

<<Ciao. Sei bellissima>>

Arrosii. <<Grazie>>

La mia era una grande città lungo il mare, perciò ci incamminammo lungo una muraglia che lo costeggiava

<<Stavo pensando che non so ancora il tuo cognome Sarah>> disse sorridendo.

<<Sarah Enderson, il mio cognome è Enderson>> risposi con voce flebile.

Perchè ero così in ansia? Del resto ero sempre stata una ragazza socievole...

Presi un bel respiro per alleviare la tensione e continuai con voce salda. <<E tu? Neanche io so il tuo>>

Mi guardò negli occhi. <<Tayson>>

Ci sedemmo in una panchina davanti al mare e lui si sedette con una gamba da una parte e una dall'altra, in modo da guardarmi bene. Mi sentivo un po imbarazzata dal suo sguardo fisso su di me, ma almeno mi permetteva di continuare a guardare i suoi occhi.

<<Sarah>> disse marcando la esse in un modo irresistibile <<parlami un po di te>>

Mi girai verso di lui. <<Che vuoi sapere?>>

<<Non lo so>> sorrise divertito <<le solite cose:  cosa vuoi fare nella vita, le tue passioni, la tua famiglia. Anche se sembra un po un interrogatorio>>

Al suono della parola famiglia, mi oscurai in viso, ma lui sembrò non accorgersene. Non mi piaceva molto parlarne... Ma in effetti avevo veramente bisogno di sfogarmi, visto che non ne parlavo da un po. Mandai giù il nodo che mi si era formato in gola e parlai.

<<Per quanto riguarda cosa vorrei fare nella vita: appena finirò la scuola, ho intenzione di iscrivermi all'università di architettura. Hobby... adoro disegnare...>> mi fermai un attimo prima di proseguire <<La mia famiglia... Mio padre è morto quando avevo 11 anni in un incidente stradale, lasciando mia madre Maureen  a crescere da sola me e la mia sorellina Felicity, che allora era appena nata, ma che ora è una piccola peste di sei anni>>

Allora Christopher, inaspettatamente, mi abbracciò. Un po esitante ricambiai il suo abbraccio e inspirai il suo meraviglioso profumo. Appena si staccò da me, non vidi nel suo volto la compassione. Cosa che apprezzai. Tutte le persone a cui avevo raccontato la mia storia, subito dopo mi avevano guardato come se fossi stato un cucciolo smarrito. Di certo questo non mi aiutava ad essere forte.

<<Non hai idea di quanto ti capisca...>> disse prendendomi la mano e facendomi arrossire per il contatto. <<I miei sono divorziati da quando avevo 10 anni... >><<Però sono figlio unico>> aggiunse cambiando argomento. MI sorpresi della tranquillità con cui aveva pronunciato la prima frase.

<<Ma ora parliamo di cose belle! Neanche a farlo apposta, io faccio l'università di architettura, perciò l'anno prossimo ci vedremo! E la cosa non mi dispiace affatto...>> disse facendomi l'occhiolino.

Sorrisi, felice per quella notizia.

<<Però sbaglio o ti sei trasferito da poco? Non ti ho mai visto in giro>>

<<Mio padre vive qui, ma fino a pochi mesi fa vivevo con mia madre, che abita in una città a una centinaia di chilometri da qui>>

<<Aaa...>> dissi incrociando le mani davanti a me e guardando il mare.

Appena rispostai lo sguardo su di lui, notai che mi stava ancora fissando.

<<Te l'ho già detto che sei bellissima?>>

"Anche tu" pensai.

<<Grazie>> lo vidi arrossire. Oddio, forse non lo avevo solo pensato, ma per la faccia che aveva in quel momento, ne valeva assolutamente la pena. Era così bello quando arrosiva.

<<Hai detto che ti piace disegnare.. Cosa disegni?>> disse con lo sguardo di nuovo serio.

<<Mandala...>>

<<I manchè?>>

<<I mandala!>> dissi ridendo. Presi il telefono e gli feci vedere qualche foto,

<<Cavolo, sono bellissimi! Perchè non ti iscrivi all'accademia d'arte?>>

<<Bho>> risposi scrollando le spalle.

In realtà, sapevo benissimo la risposta. Papà, aveva sempre incorraggiato questa mia vena artistica. Diceva sempre che quando sarei diventata famosa, lui sarebbe stato il mio manager. Non me la sentivo di farlo senza di lui. Si, disegnavo, ma era una cosa che tenevo solo per me. E per lui.

Il resto della serata, parlammo e passeggiammo per altre due orette circa, e non toccammo più l'argomento "famiglia". In quelle due ore, non feci che ammirare ogni suo sorriso. Mi facevano sentire così bene.

<<Io ora devo andare>> dissi guardando l'orario sul telefono. Si erano già fatte le 11.00.

<<Vuoi un passaggio?>>

<<No grazie, mi piace prendere l'autobus>>

<<Sei libera domani?>>

<<No. Domani devo tenere mia sorella>> dissi a malincuore. Non se n'era ancora andato, eppure non vedevo l'ora di rivederlo.

<<Dopodomani?>> disse speranzoso.

Anche lui mi voleva rivedere! Cercai, invano, di limitare il mio sorriso a 16 denti anzichè trentadue, prima di rispondere "Certo".

Mi accompagnò alla fermata dell'autobus, che arrivò proprio in quel momento. Mi diede un dolce bacio sulla guancia, facendomi arrossire. Di nuovo.

<<Allora ti chiamo?>>

<<Va bene. A sabato>> Sarei potuta resistere per un giorno.

<<A sabato>> disse sorridendo.

Appena salii sull'autobus, mi accasciai sul sedile e feci uscire il sorriso ebete, che tanto avevo represso. Una signora davanti a me, sulla settantina, che mi aveva visto entrare, si girò.

<<E proprio un bel giovanotto>>

<<Lo so>> risposi ridendo.

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