Miei buoni e appassionati lettori, in questo capitolo mi presento a voi con due canzonette popolari molto graziose. La prima, musicata da Michele Pesenti (c. 1470 - c. 1524), compositore e liutista presso la corte degli Este di Ferrara, si configura come un "lamento dell'amante che si è fatto frate". Si tratta dunque di un motivo alla popolaresca che racconta una storiella piuttosto semplice ma non meno interessante: parla di un frate novello che, tornando col pensiero alla donna amata, si domanda cosa mai ella farà o dirà non appena avrà ricevuto la notizia della sua monacazione.
Che faralla, che diralla
Anonimo, Petrucci, Frottole, libro XI
Esecutori: Luca Piccioni, Emiliano Finucci, Fabrizio Lepri, Massimiliano Dragoni, Daniele Bocchini.Che faralla, che diralla,
quando la saperà
che mi sia fra'?
O quante fiate
di farmi frate
in sua presentia gli l'ho giurà:
ma lei ridea
e nol credea
che mi dovesse mai farmi frà.
Anzi ognhor si lamentava
con dir che la bertigiava,
e pur mi son fatto frà!Che faralla, che diralla,
quando la saperà
che mi sia frà?
Quando ho ben visto
che far acquisto
di lei non posso, son fatto frà:
e fraticello
discalciarello,
ché cossì avea deliberà,
dove in una picciol cella
faccio vita poverella,
observando castità.Che faralla, che diralla,
quando la saperà
che mi sia frà?
So che colui
qual ambidui
del nostro amore privati n'ha,
con sue ciancette
e lusinghette
ch'io venga fori lui cercherà;
ma se mai el me ghe acchiappa
che mi stracci questa cappa,
che di vita io sia privà.Che faralla, che diralla,
quando la saperà
che mi sia frà?
La poverella
senza favella
la notte e 'l giorno se ne starà,
e scapigliata,
tutta affannata,
el strano caso lei piangerà:
forsi poi che 'l suo pensiero
in un qualche monasterio
a la fin la condurrà.
Che faralla, che diralla,
quando la saperà
che mi sia frà?Parafrasi:
Ella che farà, che dirà, quando saprà che mi sono fatto frate?
O quante volte le avevo giurato che mi sarei fatto frate, ma lei rideva e non lo credeva che mi dovessi mai fare frate.
Anzi ogn'ora si lamentava dicendo che mi prendevo gioco di lei, eppure mi son fatto frate!
Quando mi sono accorto che non potevo sposarla, mi sono fatto frate; e fraticello, discalzo, perché così avevo deciso, in una piccola cella conduco una vita poverella, osservando il voto di castità.
So che colui che ci ha entrambi privati del nostro amore, con ciance e lusinghe cercherà di convincermi a venire fuori (dal monastero), ma se mai egli mi acchiappi, che mi stracci questa cappa (il saio), che io sia privato della vita!
La poverella, se ne starà notte e giorno senza parlare, e scapigliata e tutta affannata piangerà la sua sventura, e forse alla fine il suo tormento la condurrà in un qualche monastero.Interpretazione: il frate ripensa a quante volte, in passato, avesse giurato alla propria amata che si sarebbe un giorno fatto frate e a come invece la donna non gli avesse mai creduto, lamentandosi di essere da lui presa in giro. Racconta di come, compreso di non poterla sposare, avesse deciso di ritirarsi a vita monastica, conducendo una vita povera e casta in una "picciol cella". In seguito inizia un invettiva contro colui che li aveva privati del loro amore, il quale verosimilmente è il padre della fanciulla. Egli ritiene che ora l'uomo cercherà di convincerlo a lasciare il monastero, forse perché teme che la figlia rimanga svergognata o perché non vuole ch'ella prenda i voti, ma il frate in ogni caso non tornerà indietro sulla propria decisione. L'ultimo pensiero è dedicato nuovamente all'amata, che egli immagina a tal punto disperata da decidere anch'ella, alla fine, di condurre il resto della propria vita da monaca, rimpiangendo il suo amore perduto.
La frottola che segue la considero una vera particolarità, in quanto costituisce un secondo inserimento nello stesso filone narrativo: è a tutti gli effetti la continuazione della canzone precedente, proprio come quando qualcuno decide di scrivere il seguito di una certa storia, mettendolo in questo caso in musica, e non si trovano spesso casi del genere. Il componimento è musicato da un certo Don Timotheo, non meglio identificato, e come l'altro riportato dall'editore musicale Ottaviano Petrucci (1466 - 1539), nelle carte immediatamente successive a "che faralla".
Uscirallo o resterallo
Don Timoteo, Petrucci, Frottole, libro XIUscirallo o resterallo?
El mio ben, o che farà,
poi che l'è frà?
Haymè, s'el resta,
di me più mesta,
mai donna alcuna non sarà;
ma s'esce fora,
io spero anchora
che al primo amor ritornarà.
Lassa me, ch'el me giurava
de ciò far, ma non pensava:
hor è pur la verità.Uscirallo o resterallo?
El mio ben, o che farà,
poi che l'è frà?
S'io avesse visto
che fin sì tristo
dovesse far, come fatto ha,
el poverello
d'ogni martello
averia certo liberà.
Hor che voglio star donzella,
meglio è farmi monicella,
poi che lui s'è fatto frà.Uscirallo o resterallo?
El mio ben, o che farà,
poi che l'è frà?
Misera fui,
cagion che lui
de panni tal vestito s'ha;
ché mie zancette
e parolette
non lo dovean tenir gabà.
Ma se impetro mai dal pappa
che si stracci quella cappa,
quest'error si menderà.
Uscirallo o resterallo?
El mio ben, o che farà,
poi che l'è frà?Parafrasi: Egli uscirà o resterà? Il mio amore che farà, dato che si è fatto frate?
Ahimè, s'egli resta (in monastero), non ci sarà mai una donna più triste di me.
Ma se esce fuori, io spero ancora che tornerà dal suo primo amore.
Mi ha lasciata, me lo giurava che avrebbe fatto ciò, ma io non lo credevo: eppure ora è la verità.
Se io avessi saputo che egli avrebbe fatto una fine così triste, come ha fatto, certamente avrei liberato il poverello da ogni martello.
Ora che voglio rimanere zitella, è meglio che mi faccia monachella, poiché lui si fatto frate.
Fui misera, ed è questa la ragione per cui lui ha indossato questi panni, perché le mie ciancette e vane parole non lo dovessero imbrogliare.
Ma se dovessi implorare il Papa affinché egli si strappi quella cappa (il saio), a questo errore potrò rimediare.Interpretazione: la storia dunque prosegue raccontata dalla fanciulla che si vede improvvisamente abbandonata dall'uomo amato. La giovane si incolpa anche dell'evento, ritenendo di essere la causa della monacazione dell'uomo, il quale forse temeva di essere stato illuso. Rimpiange dunque di non aver eliminato ogni ostacolo fra di loro finché ancora poteva. E tuttavia non perde la speranza di vederlo uscire dal monastero: pensa addirittura di andare ad implorare il Papa per poter ottenere questa grazia, ma si ripromette che, se non dovesse convincerlo, prenderà anch'ella i voti piuttosto che rimanere schietta. La conclusione lascia dunque presagire una speranza di un lieto fine il quale, tuttavia, state certi non vi sarà.
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Musica della Rinascenza
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