Canto delle lavandaie del Vomero

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Su suggerimento di Schwertmaid vi presento oggi una canzone che a me sta particolarmente a cuore e che sovente mi diletto di canticchiare per casa o per via. Si tratta, insieme a Jesce sole, di una delle più antiche composizioni in dialetto napoletano, il che la rende ancor più singolare. 

Sebbene nasca come una sorta di canto corale femminile, qui la troviamo cantata dalla maestosa quanto suggestiva voce di Roberto Murolo, il che la rende ancor più grata alle mie orecchie dato che, lo confesso, ho sempre preferito le voci maschili a quelle femminili.

Canto delle lavandaie del Vomero

Tu m'aje prommiso quatto moccatora
oje moccatora, oje moccatora!
Io so' benuta se, io so' benuta
se me lo vuo' dare,
me lo vuo' dare!
E si no quatto embe', dammenne ddoje,
oje moccatora, oje moccatora.
Chillo ch'è 'ncuollo a tte nn'e' rroba toja,
me lo vuo' dare?
me lo vuo' dare?

Traduzione:

Tu mi hai promesso quattro fazzoletti,
due fazzoletti, due fazzoletti!
I sono venuta se, io sono venuta 
se me li vuoi dare,
me li vuoi dare!
E se non quattro embè, dammene due,
due fazzoletti, due fazzoletti.
Quello che è in collo a te non è roba tua,
me lo vuoi dare?
me lo vuoi dare?

Stando a quanto si dice, essa veniva cantata dal popolo napoletano al tempo di Alfonso I il Magnanimo, padre del gloriosissimo Ferrante, subito dopo la cacciata degli Angioni, per protestare contro la mancata redistribuzione delle terre che il re aveva loro promesso, benché pare abbia origini ancora più antiche. I "moccatura" difatti sono i fazzoletti, in questo caso sono da intendersi come "appezzamenti di terreno". Dato che i fazzoletti a quel tempo venivano portati dai popolani legati attorno al collo o sul capo, l'intera canzone assume la forma di una metafora. Ciò che trapela dalle parole, dunque, è un senso di profonda ingiustizia, un sottile rancore nei confronti di colui che promise sì, ma promise a vuoto.

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