Fate d'arera e non t'acostar in zà

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Canzone calabrese del periodo aragonese (XV) di anonimo. Probabilmente questa ballata è stata composta per la festa di nozze di Ippolita Maria Sforza, andata in sposa al Duca di Calabria Alfonso d'Aragona, ma non ho fonti certe a riguardo.

Fate d'arera e non t'acostar in zà,
fate de là villano, 
non destender la mano.
Parlame da luntà, luntano va de là.
Lassame star ch'io so desperata
non t'accostar a me,
sia maladetta chi m'a maritata
a un uomo chomo a te.
E io che consentii a dir di sì
a quelle vecchie ladre, 
lo dico per mia madre,
lo dico per madre che sforzato m'ha.

Fate d'arera e non t'acostar in zà
fate de là, villano 
non destender la mano.
Parlame da luntà, luntano, va de là.
Misericordia quanto sei crudel
tu non hai legge né fe'.
E s'io son nato villano e tu gentile
e mia colpa non è.
E se tu fossi figliola dello Rene,
tutti siamo d'Adamo perciò non c'allasciamo.
Anzi mo c'accostiam e un bacio tu mi da'.

Fate d'arera e non t'acostar in zà
fate de là, villano non destender la mano.
Parlame da luntà, luntano va de là.
Gioia mia bella de'no non ti crucciar,
ch'io non t'accosterò.
Non ti poressi tanto comandar
quant'io t'ubidirò.
Et s'io son nato per esser servo a ttia,
non mi dir villanìa,
accostati con mia.
Famme sta cortesia
a mia fammela fa.

Fate d'arera e voltati da caso
che se tu t'accosti più
piglio un coltello e lo cor mi passo
e dirò che fosti tu.
Non ti sarò già mai più sommisa
dirò che tù m'accisa e tu ne sarai imviso.
E lo to viso no, non mi si accosterà.

Parafrasi:

Fatti indietro e non t'accostare in qua,
fatti di là villano, non allungare (verso di me) la mano.
Parlami da lontano, lontano vai di là.
Lasciami stare ch'io sono disperata,
non ti avvicinare a me
Sia maledetta chi mi ha maritata
a un uomo come te
e (sia maledetta) io che ho acconsentito a dir di sì
a quelle vecchie ladre, mi sto riferendo a mia madre,
mia madre che mi ha costretta.

Misericordia! Quanto sei crudele,
tu non hai legge né fede.
E se io sono nato villano e tu nobile
non è colpa mia.
E se tu fossi figlia del Re,
siamo tutti figli di Adamo, perciò non ci lasciamo.
Anzi ora ci abbracciamo e un bacio tu mi dai.

Gioia mia bella non ti preoccupare
che io non mi avvicinerò.
Non ti voglio comandare
quanto piuttosto io ti ubidirò.
E se io sono nato per esserti servo,
non mi offendere, avvicinati a me.
Fammi questo piacere,
a me fallo.

A me il testo risulta chiaro, ma ho pensato fosse meglio fare una parafrasi dato che magari chi è del Nord potrebbe non capire i termini in dialetto calabrese antico.

Ora, per farvi capire con chi abbiamo a che fare:

Ora, per farvi capire con chi abbiamo a che fare:

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Questa era la bellissima, carissima, dolcissima Ippolita, figura di donna a me molto cara perché sommava in sé tutte quelle buone qualità che si potevano sperare di trovare in una moglie e in una madre

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Questa era la bellissima, carissima, dolcissima Ippolita, figura di donna a me molto cara perché sommava in sé tutte quelle buone qualità che si potevano sperare di trovare in una moglie e in una madre. Non a caso ebbe un figlio d'oro.

 Non a caso ebbe un figlio d'oro

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Questo invece era quella bestia maligna, stupida e crudele di Alfonso d'Aragona, che non solo era brutto così come vedete, ma era pure cattivo e incapace di governare

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Questo invece era quella bestia maligna, stupida e crudele di Alfonso d'Aragona, che non solo era brutto così come vedete, ma era pure cattivo e incapace di governare. Tutto ciò che sapeva fare era la guerra. Non a caso ebbe una figlia perfida come lui. Come vedete io non sono per nulla di parte, no, assolutamente. Comunque penso che nemmeno voi sareste state felici di "accostarvi" ad un uomo come lui. E pensare che la gentile Ippolita c'ha fatto tre figli con questo qui e nonostante tutto (perché lui la tradiva e la maltrattava) è stata un'ottima moglie fino alla morte. Una parola: SANTA.

Ma torniamo alla ballata. Interpretazione: La vicenda evidentemente si svolge durante la prima notte di nozze di una fanciulla nobile che è stata costretta dalla madre e da altre "vecchie ladre" a sposare un villano, un contadino. Evidentemente la ragazza, disgustata dalla bassissima condizione sociale del marito (e pensare che c'erano nobildonne che andavano a letto con stallieri, camerieri, cani e porci), non ha nessuna intenzione di consumare il matrimonio. Il buonuomo, che non le vuole usare violenza, tenta di convincerla con le buone parole a concedersi a lui, ricordandole che non è colpa sua se è nato villano e che anche se lei fosse stata figlia del Re, sono pur sempre entrambi figli d'Adamo quindi non devono guardare alle proprie differenze di classe ma solo al fatto che adesso sono marito e moglie.

L'impressione che ho avuto subito quando ho ascoltato per la prima volta questa canzone era che si stesse parlando della tragedia euripidea "Elettra". Elettra era una delle figlie di Agamennone re di Micene, il quale, una volta tornato dalla guerra di Troia, era stato ucciso con un inganno dalla moglie Clitemnestra e dal di lei amante Egisto. Dopodiciò, per evitare che i figli di Elettra potessero un giorno rivendicare il trono di Sparta, Egisto aveva dato Elettra in sposa ad un misero contadino. Costui però, che era povero ma di animo nobile, non toccò mai la propria moglie, rispettando la donna che è di condizione superiore alla sua, e tuttavia Elettra fu ugualmente costretta a condividere con lui una vita fatta di miserie almeno finché non arrivò il fratello Oreste (anch'egli costretto a scappare ancora bambino a Creta per evitare di essere ucciso da Egisto) a vendicare il padre, uccidendo la madre ed Egisto e restituendo alla sorella la vita dignitosa che le era stata tolta.



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