Epilogo +1: Lottare contro se stessi

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-Derek?-

-Mh.- mugugnò quello, stringendosi il ragazzo contro. Si trovavano sul divano a coccolarsi, cosa che non facevano da tempo a causa della lontananza del lupo. Quei pochi momenti erano mancati ad entrambi.

-Non vuoi proprio dirmi cosa ti è successo in Messico?- avanzò Stiles, alzando il capo per poter guardare il lupo. Quello grugnì in risposta, contrariato dal dover abbandonare il rilassante silenzio in nome di qualcosa di così sgradevole. -Sono stato in coma.-

L’umano alzò gli occhi al cielo. -Grazie tante. Intendevo cosa succedeva nella tua testa. So com’è ritrovarsi a lottare contro la propria mente, Der. Non devi avere paura di aprirti. Non con me.-

Il tono del ragazzo era andato via via ad addolcirsi, mentre lo guardava negli occhi, un muto invito a parlarne. Derek, seppur considerava il solo pensiero di rivelare quanto successo come permettere a qualcuno di toccargli un nervo scoperto, si ritrovò a ricordare quella che, era sicuro, sarebbe stata la battaglia più difficile che aveva e che avrebbe combattuto mai, ragionando sull’invito di Stiles.

Flashback

Annusava l’aria, cercando di distinguere le varie componenti degli odori che sentiva. Cerchava di smantellare la struttura di quel profumo che lo faceva impazzire; che era tutto e niente allo stesso tempo; che gli era estraneo, ma che il suo istinto, dentro di lui, chiamava casa.

Iniziò a correre. Sempre più veloce, sempre più forte. Sentiva il terreno sotto le zampe, che accompagnava ogni suo balzo e che ammortizzava ogni suo atterraggio.

E accelerò, senza sapere dove stesse andando. Correva e schivava solo all’ultimo minuto gli alberi. Il verde delle foglie giocava con la luce, creando un’aura magica, mentre i raggi del sole, piccoli fasci di luce, riuscivano ad infiltrarsi in quell’intrico.
Riusciva a percepirli uno ad uno, mentre gli solleticavano la schiena, le spalle, il capo. Non gli davano fastidio, nonostante avesse la pelliccia, perché facevano parte di lui.

Spinse con le zampe e sentì la terra sotto gli artigli. Contrasse per un secondo i muscoli, quasi a prepararsi per un balzo, ma all’ultimo accelerò soltanto. E poi c'era il vento... lo stesso vento che gli smuoveva il pelo e che gli sferzava il muso, mentre correva.

Si sentì libero e provò gioia ed esuberanza e anche un pizzico d’orgoglio, quando capì che quello non era il vento reale, oh no, quello lo stava generando lui. Lui gli aveva dato vita, quando aveva iniziato a correre. E lo sentiva… era così forte. Si sorprese, perché stava ottenendo quello che amava facendo qualcosa che adorava, sentendosi così fortunato, perché non stava faticando per avere nessuno dei due.

Continuò a correre per tutto il giorno e per tutta la notte. Corse, perché correre era parte di lui, perché gli sembrava di volare, le zampe che quasi sfiorano la terra. Esultò, quando si accorse di riuscire a distinguere gli odori come se avessero una consistenza. Riuscì a librarsi in aria, sentendo il vento sul muso.

Era felice, perché anche se ormai era buio, la sua fedele compagna correva con lui, non lo perdeva, illuminava tutto con la luce che gli era necessaria: niente di più, niente di meno. E anche se non ci fosse stata, lui avrebbe sorpassato lo stesso con un balzo quel tronco caduto, avrebbe deviato lo stesso all’ultimo minuto prima di colpire l’albero che aveva di fronte. Perché correre era parte di lui. Tutto quello era parte di lui.

All’improvviso una fitta gli attraversò il cuore. Era piccola, insignificante. Quasi non la sentì, troppo preso com'era ad inseguire il vento. La ignorò, pensando che sarebbe svanita e così fece, ma poco dopo ritornò, sempre lì: una piccola e insistente crepa nel suo cuore. Conosceva quella sensazione, l’aveva provata tante volte. Troppe volte.

Mamma Alpha | SterekDove le storie prendono vita. Scoprilo ora