Capitolo 4 - Rabbia

723 76 47
                                    

«Thunder, thunder. Thunder, thun', thunder. Thun-thun-thunder, thunder, thunder», squarcia il velo del sonno la voce del cantante degli Imagine Dragons riportandomi alla realtà.

Do una manata alla sveglia imprecando e mi metto seduta sul materasso.

Ike non c'è, deve essere già uscito.

Non capisco come diavolo faccia a venire a letto a orari impossibili e svegliarsi all'alba.

Mi torna in mente il sogno che stavo facendo e mi monta dentro l'irritazione.

Il mio subconscio deve essersi calato degli acidi.

Chiudo gli occhi mentre inspiro con il naso e tento con tutte le mie forze di scacciare le sensazioni che avverto ripensando al sogno.

Quando li riapro, però...

«Maledizione!», impreco schizzando in piedi.

Sono già le otto e mezza passate. Chissà per quanto deve essere andata avanti a ripetersi Thunder prima che mi svegliassi.

"Che sfiga indecente, per colpa di quell'idiota farò tardi al lavoro! Non è stato sufficiente avermi rovinato la serata, no... Ha dovuto pure distruggere il mio primo giorno in ufficio con il figlio del capo." Lo maledico a ripetizione mentre corro dal bagno all'armadio come un folletto impazzito.

Nemmeno gli assistenti di Babbo Natale schizzano così velocemente da una parte all'altra di una stanza, neppure il giorno della vigilia. Ne sono più che sicura.

Sembro una pazza furiosa.

Non ho tempo per truccarmi o farò ancora più tardi, afferro una pochette con lo stretto indispensabile buttandola in borsa, rimedierò in metropolitana.

Grazie ai pensieri irritanti su Ike e su quell'arrogante di Zack, non ho preso sonno per un'eternità, così sono pure impresentabile, oltre che in ritardo.

Le occhiaie marcate sono un chiaro segnale della notte poco serena che ho trascorso.

Stamattina non ho nemmeno il tempo di guardarmi intorno trasognata, come sono solita fare.

Amo questo quartiere, la sua atmosfera un po' rétro che si mischia con la modernità di New York, le sue strade che si distinguono per i vecchi capannoni ristrutturati e i prodotti d'artigianato.

Adoro i negozietti che caratterizzano la zona, tutti esteticamente in perfetta simbiosi con lo stile Williamsburg.

Corro verso la fermata e mi catapulto dentro il vagone della metro un istante prima che le porte si richiudano.

Ovviamente è piena fino all'impossibile e non c'è un posto nemmeno a pagarlo.

"Maledetto Zack!", torno a inveire contro il cretino di ieri sera.

Spero di riuscire a truccarmi almeno un po' prima che il figlio del signor Holt ci chiami. Non voglio sembrargli una sciattona il primo giorno.

L'ansia che ero riuscita a mettere da parte per il suo arrivo mi sommerge di nuovo.

"E se mandasse in rovina l'azienda?"

"E se fosse un fancazzista patologico e non avesse la minima idea di cosa c'è da fare?"

Il treno si ferma improvvisamente con uno stridio di freni.

Gli altri passeggeri iniziano a imprecare e a domandarsi che accidenti sia successo.

Guardo l'orologio terrorizzata.

Sono già in ritardo di mezz'ora.

"E se gli facessi una pessima impressione?", ecco un dettaglio che dovrebbe turbarmi.

Love ChallengeDove le storie prendono vita. Scoprilo ora