97. Alexis ☼ Sette gocce di sangue

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«Bentornato, mio Signore. È un piacere rivederti.» Stjepan abbandona il suo posto sul divano di pelle nera e mi viene incontro, il bastone stretto in una mano e un sorriso cordiale sulle labbra sottili.

«Il mio nome è Alexis, Stjepan» sottolineo, ricambiando il saluto con un cenno del capo. Detesto le formalità, soprattutto se non sono necessarie.

«Naturalmente.» Mi indica lo stesso divano dal quale si è appena alzato, nello studio che un tempo apparteneva a Gina al Bloody G, poi mi offre da bere e congeda i vampiri che mi hanno scortato fin qui.

A proposito... «Che fine ha fatto la ex proprietaria di questo locale?»

Lo sguardo color borgogna si oscura. «Gina mi ha tradito, sottraendomi un oggetto al quale sono molto legato. Non appena avrà confessato dove lo tiene nascosto, la spedirò a Mantova, dov'è il mio quartier generale, e mi assicurerò che abbia imparato la lezione.»

Pur avendo in tasca l'oggetto in questione, non ne faccio parola, limitandomi a mandar giù un sorso di whisky.

«La tua chiamata mi ha sorpreso, non l'aspettavo così presto. Immagino tu voglia sentire il resto della storia.»

«È così».

Il vecchio vampiro mi fissa per un lungo istante. «Permettimi di farti una domanda». Al mio cenno di assenso, prosegue: «Perché sei qui da solo? Non credi che la giovane Lavinia abbia il diritto di sapere?»

Rispondere con sincerità significherebbe ammettere con qualcuno diverso da me stesso quanto lei sia importante per me, perciò dico soltanto: «Lavinia avrà la verità quando io deciderò che sarà pronta per ascoltarla».

Stjepan non aggiunge altro. Appoggia il bastone accanto al divano e mi siede di fronte. «Non ho mai raccontato a nessuno di Sofia, nemmeno a Damian. Forse, inconsciamente, cercavo ancora di proteggerla.» Il suo sguardo vaga per la stanza, poi torna a posarsi su di me. «Mettiti comodo, Alexis: ora ti svelerò cosa accadde esattamente quella notte di quattrocentotrentacinque anni fa.»

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Un vampiro che non beve sangue è un vampiro morto. Sapevo che prima o poi sarebbe stato quello il mio destino: confinato in un pozzo buio e profondo, ero condannato ad attendere la fine che sarebbe giunta inesorabile, al termine di una lunga e lenta agonia.

Funziona così per noi vampiri: la mancanza di nutrimento alla lunga ci indebolisce e il corpo, distrutto dalla sete, perde vigore e tonicità, fino a diventare inservibile, come un'automobile senza carburante.

Io non facevo eccezione. Dopo centocinquant'anni trascorsi in quel buco, ero ridotto peggio di un cane con la rogna, in bilico tra disperazione e follia, a un passo dal cedere definitivamente l'unico brandello di anima che mi era rimasto. La speranza si era dileguata ormai da tempo e la morte allungava su di me i suoi neri tentacoli.

Fu allora che cadde la prima goccia. La sentii scivolare sul viso, calda e piena di vita, scatenò in me una tale reazione che compresi di non essere ancora diventato un completo cadavere.

La seconda si posò sulle labbra, ne disegnò i contorni prima di finire sulla lingua, mandandomi in estasi. Non avevo mai assaggiato nulla di più dolce e intenso del sapore di quell'unica goccia di sangue, che ben presto fu seguita da un'altra e un'altra ancora.

Man mano che le gustavo, sentivo le energie rianimarmi e la vitalità tornare a scorrere prepotente nelle vene.

La quinta goccia mi restituì la vista, la sesta l'udito.

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