107. Lavinia ♀ La mossa del demone

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Il gusto amaro del liquore che ho bevuto poco fa indugia ancora sulla lingua. Ho la testa leggera e forse sono davvero sbronza, perché quello che vedo, con ogni probabilità, non è reale, ma appartiene alla schiera dei sogni.

Alexis è qui, non il demone spaventoso, proprio lui, il mio professore, l'uomo bellissimo, affascinante e carismatico di cui mi sono innamorata.

È venuto. Per me.

Gli occhi, calamitati dalla sua presenza, sono umidi e ho un groppo in gola che mi impedisce di parlare.

Riavendosi per primo dalla sorpresa, Edoardo, ancora sotto l'effetto della pozione, esclama: «Che diavolo fai qui? Come sei entrato?»

Avanzando negli stivali dalla suola rinforzata, pantaloni verde militare e una maglia nera a fasciargli il torace, Alexis - quello vero - non si scompone.  «Sono venuto a riprendermi ciò che mi appartiene». La calma che indossa come un vestito troppo stretto è smentita dalla durezza dello sguardo con il quale percorre il corpo seminudo dell'uomo che si frappone tra noi. «L'imitazione tutto sommato è abbastanza buona, te lo concedo, ma stai pur certo che lei avrebbe sentito la differenza.»

Edoardo sfodera un sorriso sornione. «Oh, non ho dubbi che l'avrebbe sentito

Alzo gli occhi al soffitto, disgustata. «Potreste smetterla di parlare come se non ci fossi?»

Due identiche paia di sguardi si appuntano su di me e devo ammettere che è strano e pure un po' inquietante trovarsi davanti due versioni dello stesso uomo.

Edoardo si rivolge ancora ad Alexis, ignorandomi. «Hai una bella faccia tosta, sai? Accusi me di fingere, però tu sei il re degli inganni. Credi che la tua vera natura sia meno rivoltante?»

«Almeno io non ho bisogno di indossare i panni di un altro per convincere una donna a stare con me. Lavinia» Da sopra la spalla di Edoardo, lo sguardo di Alexis trova il mio e lo cattura. «Sono venuto a prenderti. Andiamo.»

Mi tende la mano e io devo fare uno sforzo per impedirmi di afferrarla. Scuoto il capo, i denti che affondano nel labbro inferiore, mentre penso a mio padre e a quel che sarà di lui se adesso me ne vado. «No.»

Edoardo sorride soddisfatto e mi tira a sé. «Hai sentito, professore? Adesso le mie guardie ti accompagneranno gentilmente all'esterno.»

Come evocati da quelle parole, tre uomini fanno irruzione nella stanza, braccia tese e pistole in pugno, pronti a sparare. «Prendetelo!» Ruggisce Edoardo indicando Alexis, mentre quest'ultimo esclama: «Quell'uomo è un impostore, portatelo via!»

Disorientati e confusi, i nuovi arrivati puntano le armi su entrambi a turno. Edoardo infatti possiede ancora le sembianze di Alexis e a parte l'abbigliamento nulla lo distingue dall'originale.

Approfittando della confusione, Alexis si avventa sui tre armati. Ne mette due fuori gioco con poche e rapide mosse, ma il terzo riesce a premere il grilletto una volta prima di finire al tappeto.

Il rumore dello sparo è assordante. Istintivamente mi piego sulle ginocchia, tappandomi le orecchie con i palmi, ma il proiettile sfiora una delle colonne del baldacchino e si conficca nel muro senza fare danni.

Dita lunghe si serrano attorno al mio polso. Sussulto e mi ritrovo con il viso di Alexis a un soffio dal mio. «Ne arriveranno altri, dobbiamo andarcene!»

Getto un'occhiata alle sue spalle e scorgo Edoardo riverso sul pavimento. Mi sfugge un grido strozzato. «Lo hai ucciso?!»

La mia preoccupazione sembra infastidirlo. «No, l'ho solo tramortito. Adesso vuoi muoverti?» Non attende una risposta: mi afferra per i fianchi e mi solleva con un braccio solo, come fossi senza peso.

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