14. Lavinia ♀ Vicino a te

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«Aspetta.»

Il cuore mi batte forte, le gambe sono ancorate al pavimento.

«Che cos'hai lì?»

In due passi mi ha raggiunta. Con estrema delicatezza, come si trattasse di un neonato, mi sfila il quadro dalle mani e lo esamina. La sua espressione, prima stupita, diventa dura. «Chi ha fatto questo?»

Per un attimo sono tentata di dirgli la verità, ma non servirebbe a nulla, perciò scrollo le spalle.

«Ero distratta e mi ci è caduto sopra dello smalto.»

Prima che possa nasconderle, guarda le mie unghie mangiucchiate e contrae un sopracciglio. Anche se non dice nulla, credo abbia intuito che sto mentendo.

Sempre in silenzio, si mette il dipinto sotto il braccio e apre la porta del laboratorio. Poi si gira verso di me. «Che fai lì impalata? Vieni o no?»

Lo seguo in un corridoio apparentemente interminabile, su cui si affacciano numerose porte, quasi tutte chiuse. Passando sbircio attraverso un uscio socchiuso e scorgo una stanza con un grande tavolo nel mezzo, illuminato da luci al neon, che la rendono simile a una sala operatoria. Un paio di ragazzi, con indosso un camice bianco identico a quello del professore, stanno lavorando al restauro di una pala d'altare che ha l'aria di essere molto antica.

Resto incantata a fissarli e non mi accorgo che il Professor Gerace si è fermato per aspettarmi.

«Il laboratorio d'arte e restauro di questa università è tra i più avanzati nel mondo. Qui abbiamo tutti gli strumenti utili per riportare in vita le opere d'arte danneggiate.» spiega, notando il mio interesse.

Sono stupita, non sapevo che la USB fosse così all'avanguardia. «Da dove arrivano questi oggetti?» chiedo, accennando alla pala d'altare che abbiamo appena superato.

«Un po' dappertutto, varie parti d'Italia, ma anche dall'estero. Ultimamente abbiamo il magazzino pieno di manufatti che provengono dalle zone terremotate e aspettano il loro turno per essere restaurati.»

La mia meraviglia è palese e il mio accompagnatore solleva un sopracciglio e mi osserva da sopra la spalla. «Credevo lo sapessi. Non è forse per questo che hai portato qui il quadro?»

«Ehm, no, in realtà non sapevo nulla. Ero in collera perché si era rovinato, ho cominciato a camminare e sono finita qui per puro caso: mi sono persa.» Arrossisco d'imbarazzo e mi complimento con me stessa: bel modo di scavarti la fossa, Lavinia, adesso penserà che sei un'idiota!

Accidenti, vorrei prendermi a calci, ma non ho modo di sapere cosa pensa il professore, perché il suo sguardo mi abbandona e lui si ferma davanti a una porta. La apre con le chiavi che tira fuori dalla tasca e mi fa cenno di entrare.

L'interno è molto simile a quello che ho già avuto modo di vedere nelle altre stanze: ci sono un tavolo col piano in metallo, un cavalletto, una grossa lampada e una scrivania, oltre ad un carrello ingombro di fiale e contenitori di ogni forma e dimensione. Do un'occhiata alle etichette e scopro che si tratta di solventi.

Il professor Gerace appoggia il dipinto sul cavalletto e prende a esaminarlo con una grossa lente. Dimentico della mia presenza, infila un paio di guanti di lattice, si avvicina al tavolo dei solventi e soppesa le boccette fino a sceglierne una, vi intinge dentro uno straccio e lo accosta alla superficie rovinata del quadro. Non riesco a trattenere un sussulto e nonostante mi dia le spalle, lui sembra percepire il mio turbamento, perchè si volta e mi rivolge uno sguardo rassicurante.

«Stai tranquilla, so quello che faccio.» Forse mi vede ancora preoccupata, perché mi fa cenno di avvicinarmi. «Vieni qui, guarda tu stessa.» Obbedisco e mi ritrovo accanto a lui, spalla a spalla. Beh, quasi, visto che mi sovrasta di almeno venti, venticinque centimetri.

«Adesso provo a usare il solvente su un angolo del dipinto, appena sotto la cornice, così siamo sicuri che i colori resistono e che sia quello giusto.» esegue quanto appena detto e lo vedo assumere un'espressione soddisfatta. «Visto? Questo solvente è perfetto, non intaccherà il colore, ma solo lo smalto che lo ha coperto.» Mi da un'altra dimostrazione e stavolta un pezzetto di smalto delle dimensioni di una briciola viene via dal dipinto, seguito da un secondo e poi un terzo.

Una gioia indescrivibile mi sboccia nel petto e senza che possa evitarlo mi ritrovo con gli occhi lucidi. «Grazie, grazie infinite!» balbetto, asciugandomi una lacrima solitaria all'angolo dell'occhio e sperando che lui non se ne accorga.

Speranza vana, quest'uomo sembra avere occhi anche di lato e dietro la testa.

«Non vuoi proprio dirmi chi è stato?»

Scuoto il capo, troppo turbata per parlare, e lui per fortuna non insiste.

«Sei molto affezionata a questo dipinto.»

Annuisco e ritrovo finalmente la voce. «Me l'ha regalato mio padre quando avevo quindici anni. Lo ha acquistato a Londra, in una galleria, e anche se è solo una copia è esattamente identica all'originale.»

Il Professor Gerace pare soppesare le mie parole. «"La Bella Addormentata" di John Collier. Una scelta interessante.» osserva infine.

Sorrido mio malgrado. «Papà diceva che le somiglio – alla protagonista del dipinto cioè – e che quando lo ha visto appeso in quella galleria è stato come vedere una mia foto.»

Il Professor Gerace mi studia, l'espressione guardinga e leggermente stupita e mentre io mi sento sempre più a disagio, mormora: «Ha ragione.» Poi più forte: «Sei proprio la Bella Addormentata.» Il sorriso con cui accompagna quelle parole mi fa sentire le gambe molli.

Ho le guance in fiamme e sono consapevole del fatto che le luci impietose non mi aiutano a nasconderlo. Forse per togliermi dall'imbarazzo, il professore mi porge la pezzuola imbevuta di solvente. «Prova tu.»

Mi avvicino, titubante. Non posso sottrarmi a quell'ordine, ma temo di combinare un disastro. Infilo un paio di guanti e la mia mano trema mentre stringo la pezzuola e la passo su una piccola porzione del dipinto, come ho visto fare a lui. Il Professor Gerace posa una mano sulla mia e la guida con delicata fermezza. «Ecco, così, brava.» È dietro di me, sento il suo calore sulla schiena, il suo braccio che sfiora il mio e la stretta della sua mano, anche attraverso il guanto, scatena in me una reazione che non posso ignorare. Sono attratta da lui come mai da nessun'altro prima.

Un altro po' di smalto viene via e le mie labbra si atteggiano in un sorriso di autentica felicità. «Vado bene così?»

«Sei perfetta.» Il sussurro roco nell'orecchio mi provoca un brivido che non riesco a trattenere. Mi volto di scatto e mi trovo faccia a faccia con il Professor Gerace. I suoi occhi si sono scuriti e mi osservano con voracità. Tutto in lui mi attrae: la perfezione dei lineamenti, la bellezza statuaria della sua figura, il timbro della voce, il suo profumo speziato che in questo momento mi avvolge e mi impedisce di pensare lucidamente. Sono ebbra di lui, della sua vicinanza. E forse è questo che mi spinge a protendermi verso il suo volto, annullando la breve distanza che lo separa dal mio e a posare le labbra sulle sue. Sono morbide, calde, invitanti, del tutto diverse da quelle di Manuel.

Riapro gli occhi che non mi ero accorta di aver chiuso e lo guardo in viso. La torbida oscurità delle sue iridi viene squarciata da un lampo. È un'esplosione di collera quella che gli leggo nello sguardo e non posso fare a meno di tremare di paura. Improvvisamente mi rendo conto di ciò che ho fatto e della gravità del mio comportamento. Ho appena baciato un mio professore! Come mi è venuto in mente?

Istintivamente mi ritraggo, mille parole di scuse si affollano sulle mie labbra, ma prima che possa pronunciarne anche una soltanto, lui emette un basso suono di gola – un ringhio – il suo braccio mi serra la vita e mi riporta contro di sé.

Schiacciata sul suo petto, sento rimbombare nelle orecchie ogni singolo battito del mio cuore che, come me, sembra impazzito. Poi la bocca del Professor Gerace cala sulla mia, marchiandomi per sempre e segnando la mia resa.










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