L'ora esatta in cui atterro non sono in grado di dirla, il mio corpo è ancora impostato biologicamente sugli Stati Uniti e per lui sono circa le due e un quarto di notte. L'unica cosa di cui sono piuttosto sicura è che il mio cervello ha bisogno di riposo e in fretta.
È l'imponente struttura aeroportuale a darmi il benvenuto non appena i miei piedi toccano il suolo inglese, così come le parole Welcome to Heathrow. Sono abbastanza frastornata per le ore di volo subite e l'unica cosa che posso fare in tutto quel caos generato dall'aeroporto è seguire la massa di persone che mi trovo davanti, dirette tutte al ritiro bagagli.
Non so esattamente dove andare, mi limito semplicemente a percorrere la stessa strada intrapresa da centinaia di persone diverse; l'aeroporto è pieno zeppo di gente, chi va e chi viene, chi semplicemente aspetta qualcuno.
Devo chiedere scusa un paio di volte di troppo, il cellulare lo sto cercando a tentoni nella borsa e non riesco a prestare attenzione a chi mi cammina vicino o controcorrente. Disattivo la modalità aerea dall'iPhone e sono giusto un paio i secondi che passano prima che lo squillo intermittente di notifiche e messaggi non letti echeggino nelle mie immediate vicinanze.
Ci sono tanti avvisi quante le chiamate che ho perso: nove ore e mezzo di silenzio totale non sono poche. Non ho bisogno di controllare i mittenti né tanto meno il contenuto dei messaggi che ancora non ho letto; se solo abbassassi gli occhi, troverei semplicemente i nomi di Evan e di Matt.
Attorno al rullo trasportatore riconosco qualche viso presente sul mio stesso volo; così come non ho idea di che ore possano essere al momento, non sono in grado di capire quanto tempo io debba aspettare prima che le valigie facciano finalmente la loro comparsa. Un bagaglio giallo canarino viaggia avanti e indietro per quella che deve essere la quindicesima volta; una ragazzina, la proprietaria, arriva di corsa poco dopo, lanciandovisi quasi sopra tanto ha fretta di recuperarla per uscire finalmente dall'aeroporto.
I miei due bagagli arrivano qualche minuto più tardi e fortunatamente non sono poi così pesanti come ricordavo; un ragazzo dai capelli biondo chiarissimo è così gentile da aiutarmi con la seconda valigia, così da non dover attendere che faccia nuovamente il giro del rullo. Lo ringrazio con un semplice sorriso, non sono poi così sicura che parli la mia stessa lingua.
Mi incammino verso l'uscita prendendo un profondo respiro; i tabelloni presenti all'interno dell'aeroporto mi danno finalmente indicazione su quale sia l'ora locale. Sono stata a Londra qualche volta, principalmente in compagnia di mia madre, ma mai sola. Non ho assolutamente idea della distanza aeroporto - casa di zia Elaine. So di dover prendere un taxi, ma li detesto tanto quanto la calca e il dover trascinare due valige prestando estrema attenzione a non fare del male alle persone che inevitabilmente mi circondando.
L'uscita la raggiungo quella che mi sembra essere un'infinità di tempo dopo, persino accanto alle porte automatiche c'è folla; l'aria fredda di metà Novembre non mi entusiasma, mi fa semplicemente rimpiangere la giacca pesante lasciata a casa.
La corsia dei taxi è gremita di gente in attesa e non mi resta che camminare per qualche metro, evitando buona parte di loro; perché nessuno ha mai il buon senso di spostarsi e diminuire così la calca e non dover quindi aspettare tutti nello stesso punto?
Intercetto un taxi disponibile, ma non sono abbastanza svelta da raggiungerlo - non quando mi devo trascinare dietro due valige, almeno; qualcuno lo è comunque più di me e forse nemmeno si è accorto della mia presenza, tanto è impegnato in una conversazione telefonica.
L'uomo in questione apre semplicemente la portiera, scavalcano la valigia che tengo sulla destra e lasciandomi ferma sul posto con un'espressione poco carina dipinta in viso. Poco più in là noto un altro taxi libero e questa volta non ho nessuna intenzione di farmelo rubare.

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HIDEAWAY
FanfictionHo ancora lo sguardo basso, rivolto verso l'àncora tatuata sul polso di Harry e sorrido. Sorrido alla vista delle nostre mani giunte, alle nostre dita intrecciate le une alle altre. Persino al suono della voce di Harry sorrido, diventata ormai così...