I fari di un vecchio furgone bianco illuminavano una piccola radura nel bel mezzo di una estesa pineta toscana. La luce giallastra e fioca marcava quattro uomini in piedi davanti al veicolo, due erano giovani e robusti, i loro corpi modellati da anni di allenamento fisico intenso, capelli corti e auricolare all'orecchio stavano schierati alle spalle del terzo uomo, vestito con un raffinato smoking bianco, l'uomo era sulla cinquantina, i capelli biondi bianchi non per la vecchiaia ma per il sole, gli occhi verdi studiavano la radura in modo attento, come se stesse aspettando qualcosa. Il quarto uomo era in piedi a qualche metro alla destra del terzetto, chiamarlo uomo era esagerato dati i suoi appena 19 anni d'età. Era vestito con uno smoking azzurro, che rimarcava il colore dei suoi occhi, in perfetto abbinamento con i suoi capelli biondi, schiariti dal sole. Non era grosso come i due alla sua sinistra ma sembrava molto più agile e snello. I quattro stavano in piedi, muti, ad aspettare, il vento che spostava lentamente gli aghi di pino secchi e ne spargeva l'odore acre. Dai gonfiori sotto le loro ascelle, era evidente fossero armati di pistole. L'uomo in abito bianco estrasse una fiaschetta dalla tasca interna dell'indumento e bevve un paio di sorsi, poi la allungò al ragazzo vestito di blu. <<Da quando così gentile capo?>> Rispose sorridendo <<Sono già gentile a non farti sparare per la tua sfacciataggine Alan >>. Alan Ferrante era nato a New York poco prima che i suoi si trasferissero in Italia, paese da cui provenivano i loro nonni, scelta che costò loro la vita quando lui era ancora piccolo. Una notte mentre lui era ancora in culla i suoi genitori vennero rapinati e uccisi da un gruppo di criminali. Rimasto solo Alan crebbe in una casa famiglia fino a fuggire per successivamente entrare nelle file del boss Antonino De Rosa. <<Ed eliminare chi ti para il culo? Sappiamo entrambi che non vuoi e che non ti conviene Antonino>>rispose Alan bevendo il forte whiskey contenuto nella fiaschetta, il calore che gli invadeva dolcemente le membra. Appena ebbe bevuto l'ultimo sorso, un'altra auto rischiarò con i suoi fari la radura, un grosso Mercedes nero blindato si fermò di fronte ai 4. Ne scesero due uomini, uno della stessa età di Antonino ma molto più imponente e massiccio, carico di tatuaggi in cirillico sulle braccia e con una grossa cicatrice sull'occhio sinistro. L'altro aveva la faccia coperta da una maschera bianca inespressiva, più per incutere timore che per nascondere il volto, impugnava una TAR 21 semiautomatica da 9mm. <<Hai ciò che vogliamo Antonino?>> Disse l'uomo con la cicatrice in italiano ma con un forte accento russo <<Ovvio che si, tutto dentro il furgone come anticipato al telefono Roman>> Senza aspettare un ordine le due guardie del boss presero una grossa scatola in legno, una di un mucchio di almeno altre 5 . La aprirono e il metallo dei 6 fucili AK-47 rifletté la luce dei fari. La famiglia De Rosa si occupava di vendere armi non tracciabili alla mafia russa, ricevevano rifornimenti da fabbriche libiche a prezzi bassissimi e le rivendevano ai russi. Mentre il boss scambiava le armi per una valigetta piena di soldi, Alan intravide un leggero riflesso nei cespugli appena in fondo alla radura. Fece un silenzioso cenno alle guardie che a loro volta avvisarono con impercettibili gesti anche Antonino , il boss russo e la sua guardia. Alan alzò tre dita e le abbassò una per volta lentamente. Quando l'ultimo dito si piegò un inferno di fuoco si propagò verso i cespugli addocchiati prima da Alan. Le beretta degli italiani facevano fuoco a colpo singolo, mentre il TAR sparava brevi raffiche con il rumore simile a una sega elettrica. I suoni di queste armi erano però coperti dal rombo della desert Eagle di Roman Savic. Il russo amava le cose appariscenti, per niente la sua arma era una desert cromata, che fece sorridere gli italiani. I proiettili impattarono su qualcosa e si sentirono alcune urla, subito soffocate dal fuoco delle armi. Finite le munizioni, gli uomini si avvicinarono ai cespugli. Un'Alfa Romeo Giulia dei carabinieri era nascosta dietro gli arbusti, crivellata di colpi, i corpi degli occupanti ancora seduti nei sedili anteriori. L'auto era stata cammuffata benissimo ad eccezione della serratura sulla maniglia davanti , il cui riflesso li aveva traditi. <<Cazzo Alan sei un fottuto falco>> disse Antonino con gioia <<Spie,ci mancava giusto questa, lascerò il resto dei soldi sui vostri conti, meglio non sentirci per un po'>> rispose il russo con tono stressato e leggermente arrabbiato. <<Come vuoi tu Roman>> rispose De Rosa << Alan ci hai evitato una gran rottura, prendi la tua BMW e torna pure alla villa, qui finiamo noi>> Alan non se lo fece ripetere due volte. Accese la sua moto BMW S1000 e partì con un forte rombo, felice di aver dato retta al suo infallibile sesto senso. Si sentiva al settimo cielo e il suo ego era gonfio come non mai, senza pensare che quella sera stessa avrebbe ricevuto circa altri 50.000€ sul suo conto e si aspettava sicuramente un bonus dal suo capo per quella storia delle spie. Alan Ferrante non stava guidando quella notte, volava per le strade sterrate di quella solitaria pineta che tanto gli aveva dato quella sera stessa. Non si era fatto scrupoli a uccidere, pensava, d'altronde era solo questione di affari no? E i carabinieri non lo preoccupavano, Antonino aveva contatti ovunque e la polizia italiana non era certo nota per la incorruttibilità. Affari, Alan, solo affari, si continuava a ripetere il giovane mentre il vento impattava sul parabrezza della moto e gli faceva svolazzare i costosi vestiti.
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Teste di serpente
General FictionIl giovane Alan è un criminale al servizio di una potente famiglia mafiosa, tuttavia l'unica cosa a cui tiene è la sua ragazza, con la quale vive felicemente sulla riviera toscana, ma presto la loro vita perfetta verrà distrutta e Alan stesso si tro...