I. Da occidente a oriente

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Pietre. Ombreggiate da radi arbusti e, sulla sommità del promontorio, da qualche pianta più audace. Nelle remote terre d'occidente, oltre la placida laguna, oltre le solitarie isole gemelle, oltre il mare del colore del vino, sprofonda il sole. E ugualmente sprofondo io nel ricordo.

Sono trascorsi mesi da quando, stremato dalla compiacenza di un inverno troppo mite e dalla mia, al contrario, spietata sterilità creativa, mi risolsi ad acquistare un ameno podere in queste terre cariche di mito e di storia. Nell'eccitazione per il mio imminente trasloco in un luogo e in un'epoca per me più felici, vergai furiosamente un'ultima pagina con una grafia incerta. Li rammento ancora nitidamente:

"Mia dea! Dove, perché mi fuggi?
Correvamo insieme sui bianchi fogli
e nuotavamo nell'inchiostro nero,
che ora tu, amica fedele, mi togli,
mi dissangui con amore severo.
Che non sia un addio: questo spero.
Ché con l'assenza mi distruggi."

Gridavano frustrazione e forse un poco di cupa disperazione.  Ad ogni lettera un passo nell'oblio, dal quale ancora speravo di risalire: di qui, l'acquisizione della mia nuova dimora. Ma da allora più nulla. Nemmeno un effimero aneddoto, su un foglietto, ala d'uccello. Non miei, ma orfani, furono i primi versi a penetrare, quasi sei mesi dopo, la scorza che andava formandosi sul mio cuore. Un capitello spezzato che recitava così:

"Intonerò, Musa, un canto divino ed immortale
e finchè sarà sulla bocca dei popoli della vasta terra
allora io vivrò con lui in eterno, simile a un semidio."

Quei versi sussurrati dal passatoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora