VI. Vetusto canto, nuovo amore

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Da settimane lavorano fianco a fianco, scambiandosi insieme agli attrezzi rapidissime occhiate ed appena accennati sorrisi. Lui è toscano, credo. Lei americana. E pare loro che la terra intera sia testimone e che ogni petalo caduto, ogni goccia di rugiada, ogni ape laboriosa parli loro e sia specchio con le sue mute parole, per quelli soltanto udibili, del loro amore.

Tra gli ultimi frammenti venuti alla luce me n'è giunto uno piuttosto lungo e ben conservato. Alla pari di un altro cui ho precedentemente accennato, si tratta della traduzione latina di un carme greco, un partenio, anche se, purtroppo l'autore è sconosciuto. Recita così:

"... ma io canto
la luce d'Astafi, splendente
più delle stelle della notte,
pari quasi al sole,
soave come luna.
Ma non per lei è il canto,
lo ordina la corifea,
mettendo a tacere quanti
bisbigliano il nome d'Astafi.

Oh, non vedi? È una puledra
trace, ancora indomita,
dal viso d'argento
e dal crine d'oro;
forse lei, Clesitera,
che guida il nostro inno,
ne prova odio nel cuore,
perché sa d'essere un destriero
inadatto ad ogni gara,
ormai sfiorito.

Mentre d'Astafi la voce
è più melodiosa d'un coro lidio,
e né le ricchezze di Creso,
né le chiome di Tilaci
o di Astimelusa o di Nanno
valgono quanto la sua.
Lei sola con la sua grazia
e con la sua indifferenza altera
mi strugge e mi lacera."

Non è un'opera dissimile dai parteni di Alcmane, ma possiede tutta la potenza visiva ed emotiva di Saffo. E mi ha spinto a riflettere, in versi. In quei versi che scorrono come fiumi.
Immagini ancestrali, eppure tremendamente reali, hanno fatto insorgere inaspettatamente in me questi versi claudicanti.

"È chiaro a chiunque:
l'apice del vivere
è amare all'insaputa dei molti,
sotto lo sguardo benevolo
ed intimo di pochi."

Quei versi sussurrati dal passatoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora