Capitolo Terzo

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Le luci di Milano risplendono sotto i miei occhi. Le automobili scorrono rapide mentre calano le prime luci del tramonto. L'arancione,il rosso e il giallo si mescolano in cielo e il sole riflette i suoi ultimi raggi sui vetri delle finestre dei grattacieli.

Sospiro, poggiando la testa sulle ginocchia. Seduta sul davanzale della finestra della casa di Mameli, penso alla notizia che mi è stata rivelata oggi a pranzo.

Evitare per una sera Alberto sarebbe stato anche possibile. Ma fare finta che non esista al matrimonio del mio migliore amico è un po' più dura. Non posso neanche nascondermi dato il mio ruolo da testimone.

Maledizione, Mario, non potevi chiedere ad Alvise?

Non ho inoltre nessun accompagnatore. Puntavo tutto su Alvise, ma la notizia del suo fidanzamento ha stravolto i miei piani.

Alberto.

Non si visualizzava questo nome nella mia mente da un bel po'. Era facile pensare che egli fosse solo un pronome.

"Lui". Senza contorni, senza colore. Era quasi come negare la sua esistenza.

Ma dal momento in cui Mameli ha pronunciato il suo nome, tutto ha ripreso forma nella mia testa, nel cuore.

I ricordi hanno iniziato a travolgermi come un'onda durante il mare agitato. E ora sono qui, dopo quattro anni da quando ci siamo lasciati, a ripensare a lui. Non che non l'abbia mai fatto in questi anni, ma era come se non fosse reale. Come un fantasma che abita la mia testa.

C'era ma al contempo non c'era.

In ogni mia mossa, in ogni mio passo, lo sentivo vicino ma non era lì.

Pensavo a lui quando alla radio riproducevano sue canzoni o canzoni che aveva dedicato a me.

Pensavo a lui la mattina a colazione, tra un sorso di latte e caffè.

Lo sentivo ridere quando per sbaglio inciampavo mentre camminavo.

Egli era nella mia testa quando passeggiavo per le strade di Milano, e lo sentivo a fianco ogni qual volta tornavo in Sicilia per qualche evento.

Poi qualche mese fa, ero a Milano per incontrare il mio discografico, ed ero scivolata mentre scendevo le scale della metropolitana. Mi aspettavo di sentire la voce di Alberto rimbombare nel cervello e invece niente.

Blackout.

Anche l'unico modo che avevo per sentirlo vicino era scomparso.

È stato come lasciarlo una seconda volta.

Da lì ho provato ad andare avanti ma in quattro mesi la situazione è la stessa di quella che è stata per quattro anni.

Io che lo penso inevitabilmente.

È ridicolo tutto questo.

Ci siamo amati troppo, io e lui, forse nella maniera sbagliata.

O nel momento sbagliato.

All'inizio, nella mia mente di ventenne, ho sempre affibbiato la causa della nostra rottura a lui. Ora mi rendo conto che è stata colpa di entrambi se ci siamo persi.

In fin dei conti, in una relazione, la lista degli errori da scontare è sempre in due.

Mi ero appena trasferita a Londra, ero emozionata per la piaga che aveva preso la mia vita e avevo iniziato il ciclo di studi. Alberto, d'altro canto, si godeva in Italia i successi che stava ottenendo.

C'era poco tempo per noi.

C'erano le videochiamate la sera, le chiamate durante il giorno.

Ma eravamo entrambi consapevoli che la distanza ci stava massacrando.

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