Dodicesimo Capitolo

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Esistono attimi, nella vita, in cui è necessario fermarsi un secondo e prendere coscienza di come il mondo stia girando attorno a noi.

Ma, soprattutto, rendersi conto di che cosa si stia facendo della propria esistenza.

Quando si è immersi tanto nel vivere la vita, molto spesso le domande passano in secondo piano e solo le azioni assumono valore.

Essa scorre inarrestabile e noi insieme con lei. Ma, a volte, è necessario porre un freno, guardarsi intorno e chiedersi: "Ma sto vivendo come dovrei, come vorrei? Sono felice? Sono libera?".

E trovare una risposta non è facile, non è nemmeno difficile. È soltanto complicato. Si affoga in un mare di se e di ma, senza più riuscire a risalire a galla.

È per questo che molto spesso non mi soffermo a pensare, pensare fa male. Prendere coscienza di alcuni colori oscuri che mi avvolgono ancora di più.

Una volta Mario mi chiese se quando avevo conosciuto Alberto, avessi saputo come sarebbe finita, che cosa avrei fatto.
Mi sarei innamorata comunque di lui?
Gli risposi di no, il dolore della sua assenza, che opprimeva il mio cuore, era più forte dell'amore che lo avvolgeva. Era una frase pensata e ragionata, non dettata dall'istinto. L'opposto di quello che sono io.

Forse oggi cambierei quella risposta e direi di sì.
Senza Alberto non sarei niente.
Lui, la vita, me l'ha stravolta e l'ha dipinta con un colore del tutto nuovo. Un colore che rassomiglia tanto al colore dei suoi occhi.

È per questo che mi lascio andare all'impulsività, perché io quel groviglio di incertezze non lo so sciogliere. Preferisco lasciarlo lì, imprigionato nella mia testa, e rimandare.

Ma, una cosa che ho imparato negli anni, è che si può chiudere quanto si vuole tutto in un cassetto. Che sia la sofferenza, la gioia, la rabbia, la malinconica, l'ansia. Ad un certo punto, però, quel miscuglio di emozioni straborderà e la vita presenterà il conto.

E, a volte, potrebbe essere parecchio salato.

L'amore è stato qualcosa a cui non ho mai cercato risposta nel cervello. Ho cercato sempre di metterci al cento per cento il cuore soltanto. E con il senno di poi, dico che forse avrei fatto meglio a non farlo.

Più si concede il cuore ad una persona, più quello ne esce frantumato.

Avrei tanto voluto essere più riflessiva, forse oggi non avrei cicatrici a cucirmi tagli che le mancanze hanno creato.

Con Edoardo il cuore ce l'ho messo tutto, un po' perché era il primo, un po' perché ero contornata da amori duraturi e felici.

Ma il sogno e l'aspettativa sono stati più amari della realtà.
Quelle paure che Edoardo mi ha lasciato, mi tormentano ancora oggi.
È come quando si ha paura del buio e bisogna avere la luce accesa durante la notte. Il mio cuore ormai accende sempre la lampadina delle riserve prima di giocarsi il tutto e per tutto. Vivo la paura del fidarmi, del aprirmi con una persona e del lasciarmi andare.

E questo, invece, è successo con Alberto. Con lui non mi sono giocata tutto subito.

È stato un lento processo di fiducia, d'attesa e di crescita lenta dell'aspettativa. Senza fretta, senza troppi salti coraggiosi. Eppure, anche la riserva mi ha pestato il cuore. Forse anche più violentemente.

Un amore, quando finisce, assume l'aspetto di una caduta dalla bicicletta. Ci sono due modi per superarla: o rialzandosi e riprendere a pedalare oppure avendo la paura per sempre di risalirci sopra. Dopo Edoardo ho ripreso ad andare in bicicletta, dopo Alberto no.

E la differenza principale tra Edoardo ed Alberto è stata la dose di coraggio con cui ho combattuto la rottura. Edoardo sono riuscita a dimenticarlo, a mandarlo a fanculo. Alberto non ho mai avuto il coraggio di lasciarlo andare sul serio. Un po' per paura di non poterlo più stringere tra le mie braccia, un po' perché per me non è mai finita. E forse neanche per lui.

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