Capitolo Undicesimo

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Un raggio di sole illumina il mio viso, riscaldandolo. Stringo gli occhi, infastidita dalla luce, e nascondo il volto sotto il cuscino.

-Alberto, le cazzo di tende, porca troia, le devi chiudere- esclamo con la voce ancora impastata di sonno.

Silenzio.

Non una risata, non un alzati tu, non un ronfo. Niente.

Silenzio. Vuoto.

Senza avere il coraggio di scoprire il viso dal cuscino, allungo un braccio verso l'altra metà del letto.

Le dita sfiorano la sola stoffa di cotone delle lenzuola. Nessuna carne, nessun corpo. Nessun Alberto che dorme accanto a me.

Esco fuori dal mio nascondiglio solo per avere la conferma con gli occhi di quello che le mie dita hanno percepito. Non c'è nessuno dall'altra parte del materasso.

Mi appoggio con la schiena allo schienale del letto e passo le mani sulla fronte, appigliandole tra i capelli.

Dio, che mal di testa.

Per un'istante, nel mio cervello, si visualizza il pensiero di aver immaginato ogni cosa, tutto.

Di aver sognato le mani di Alberto, le sue labbra, il suo corpo, questa notte che sapeva di desideri e mancanze. Tutto frutto della mia fantasia, malata aggiungerei.

E forse sarebbe meglio, è stato uno sbaglio. Non dovevo cedere fino a questo punto. O forse si.

Ma i segni rossi sul mio corpo, lasciati dalla sua bocca, sono la prova che tutto è stato reale. C'è stato, ora non più. Se n'è andato e mi ha lasciata sola in un letto con mille domande che opprimono la testa.

Eppure, prego che Alberto sia ancora qui, o almeno per un ultimo bacio.

Fa che sia così, fa che sia in cucina a preparare la colazione. Come succede in quei film vomitevoli che tanto gli piacciono.

Non riesco, però, a percepire un solo suono proveniente dall'altra stanza.

Bene, perfetto, neanche mi sono svegliata e già mi viene voglia di urlare contro il mondo.

Mi alzo dal letto e recupero la mutanda nera che è sparsa sul pavimento insieme agli altri miei vestiti. Non c'è nessuna traccia di quelli di Alberto.

Fa che non sia così, fa che sia in cucina a preparare la colazione.

Vado verso l'armadio e prendo una sua vecchia maglia verde. Una vita fa indossavo quella che durante la notte avevo sfilato. Ma visto che questa volta non la trovo, cerco di colmare così la mancanza.

Non ha più il suo profumo, però, questa. Sbuffo e, pestando piedi scalzi a terra, raggiungo la cucina.

Vuota.

Ma, alla vita, quanto le piace prendermi per il culo?

Cerco di trattenere tutte le imprecazioni che oscillano sulla punta della mia lingua e faccio un respiro profondo.

Se trovo il telefono, lo chiamo e lo insulto in tutte le lingue che conosco, e anche in quelle che non so parlare.

Ma che scherzo è?
Vuole tanto riprovarci con me e poi se ne va. Ma non è che... No, Alberto non è così.

È iniziata proprio male questa giornata.

Mi guardo intorno, alla ricerca del cellulare.

Lo individuo sul piano della cucina. Mi avvicino e sblocco lo schermo con il codice.

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