1. Odio aspettare

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Dario

- Sì mamma, sono con Francesco. - rispondo a mia madre, che dall'altra parte del telefono vuole comunque tenermi sotto controllo.
Dall'altra parte sento solo bla, bla, bla.
Lei non sa che in realtà sono qui, davanti all'entrata ad aspettare il mio turno. Non sa che Francesco mi copre sempre, questo giorno della settimana.
- Va bene, ho capito. Ci sentiamo dopo. - riattacco e mi accendo una sigaretta.
Dovrei entrare e sedermi ad aspettare, ma star fermo lì mi fa venire l'ansia, quindi preferisco rimanere qui fuori ed osservare attraverso le porte di vetro.
La dottoressa dice che le persone si possono osservare da vicino e che non sempre stando lontani si vede meglio.
Forse ha ragione, ma io resterò qui finché non saranno le 14:00 in punto e lei chiamerà il mio nome.

Il fumo della sigaretta mi appanna la vista mentre guardo oltre la porta di vetro. Fuori dallo studio della dottoressa, tantissime persone fanno su e giù continuamente per quei corridoi, e nessuno di loro sembra fare caso a me.

Finisco la sigaretta e la spengo sotto la suola delle mie adidas nere.
Guardo l'orologio: 13:59.
In perfetto orario, come sempre.
Mi incammino verso l'entrata e supero le porte trasparenti.
Guardo di nuovo l'orologio: sono le 14.

Aspetto.

Ma la dottoressa non esce a chiamarmi.

Aspetto ancora.

Sono le 14:10 e ancora quella porta non si è aperta.

Odio aspettare.
Questa cosa mi fa innervosire a tal punto che vorrei andarmene, ma poi la porta si apre lentamente.

La dottoressa esce e mi sorride con uno di quei sorrisi che si fanno per scusarsi. Subito dietro di lei c'è una ragazza che non guarda neanche dove va, perché si fissa i piedi, le mani strette fra di loro davanti a sé.
La dottoressa le sta dicendo qualcosa sottovoce, mentre lei sembra sprofondare nel pavimento.
È piccola e pallida, non saprei dire la sua età ma sicuramente è più giovane di me.
Non riesco a vederle bene il viso, ma sembra avere gli occhi e il naso arrossati e porta un grosso bracciale nero sul polso sinistro.
Anche i suoi vestiti sono neri e molto larghi, come se fossero due taglie più grandi.

Ecco un'altra di quelle pischelle darkettone, penso.

La dottoressa la saluta e la accompagna ad una sedia vicino alla porta.
- Tua mamma arriverà tra poco, tu aspettala qui ok?- si raccomanda.
La ragazza annuisce senza dire niente e si siede.
- Io adesso ho un altro paziente, ma per qualsiasi cosa puoi bussare. -
La ragazza annuisce ancora, ma qualcosa mi dice che non busserebbe a quella porta neanche se ci fosse un terremoto, un'emergenza, un serial killer allo sbando per i corridoi.
Probabilmente neanche io lo farei.

- Dario, ora puoi entrare. - mi richiama la dottoressa, e mi tiene la porta aperta.
Prima di entrare nel suo studio, lancio un'altra occhiata alla ragazza vestita di nero che è seduta lì.
Ha la testa china e sta fissando lo schermo del suo cellulare. I capelli biondi le ricadono sul viso e lo coprono, non riesco a guardarla meglio e la cosa mi fa innervosire.
Lascio perdere.

E io che pensavo di essere quello strano.

La supero ed entro nello studio.

- Scusa tanto per il ritardo, so che deve averti dato fastidio. Ma ora passiamo a noi...- dice mentre si siede sulla sua poltrona.
Io mi accomodo sul divanetto, come ormai sono abituato a fare da almeno due mesi.

-Allora, c'è qualche novità che vorresti raccontarmi?- mi chiede lei, con il suo blocchetto in grembo e la penna in una mano.
La dottoressa Gabrielli è l'unica che può permettersi di farlo, con me: guardarmi, osservarmi, analizzarmi.
Quando sono qui dentro passo da osservatore ad osservato.

Le racconto della mia settimana monotona, in cui non è successo niente degno di nota: mi alzo alle 6, vado a correre un'oretta, torno a casa a farmi la doccia e alle 9 vado a lavorare, poi quando esco alle 19 torno a casa, ceno, e ogni tanto mi vedo con Giulia, ma solo il tempo di una scopata.
- Sei riuscito a scrivere qualcosa?- mi domanda la dottoressa Gabrielli.
- No.-
- Da quant'è ormai che non riesci più a scrivere delle tue emozioni?-
Ci penso un po'.
- Circa 6 mesi.-
Non avevo realizzato quanto tempo fosse passato.
- Pensi che ci sia un motivo particolare dietro a questa situazione?-
- Sono qui per scoprirlo, dottoressa.-
Lei mi fa un sorriso di circostanza.
Io ricambio.

Due mesi e questa non ha ancora capito un cazzo.

Dopo poco più di un'ora, la seduta settimanale dalla strizza cervelli si è conclusa.
Quando esco dalla porta ho già in mano il mio pacchetto di sigarette.
Passo accanto alla sedia e supero la ragazza darkettona.
Poi mi fermo.
Un momento, ma che ci fa ancora qui?

Salve!
L'altra sera stavo pensando a quanto mi sarebbe piaciuto scrivere una Fanfiction un po' più "dark" e con temi più cupi, e oggi eccomi qui col primo capitolo!

L'ho scritto di getto, ma spero vi piacerà!

Un bacio 😘

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