5. Facciamo una scommessa

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Lena

È Giovedì e ho promesso a mia madre che sarei andata dalla dottoressa Gabrielli, da sola. Ovviamente era una bugia, ma mia madre lo sapeva ancora prima che glielo dicessi.
Speravo davvero di potermi evitare un'altra ora dalla psicologa, ma a quanto pare non potrò, "altrimenti butterò via tutti i tuoi libri" è stata precisamente la minaccia di mia madre. E io tengo troppo ai miei libri per rischiare.

Arrivo davanti all'entrata del consultorio che sono le 13:10 e non ho pranzato, perché l'idea di venire qui mi ha fatto passare la fame.
La Gabrielli mi fa entrare subito, col suo solito sorriso di circostanza stampato in faccia.
Io non ricambio, perché vorrei essere ovunque, ma non qui.
- Quando è stata l'ultima volta? - mi chiede, cercando di avere del tatto, anche se non credo se ne possa mai avere abbastanza quando si domanda a qualcuno da quanto tempo non si taglia.
- Un paio di settimane fa. - le rispondo.

Sono seduta sulla sua poltrona verde, mentre lei è davanti a me col suo blocchetto. Questa situazione di subordinazione mi mette a disagio: dovrei confidarmi con questa donna che mi fa sentire come un topo da laboratorio.

- Quindi non è successo dopo l'episodio dell'ultima volta che ci siamo viste? - si sta riferendo a ciò che è successo circa una settimana fa, quando mia mamma mi ha dovuto portare qui con la forza.
- No. - ribadisco, irritata.
Quello dell'ultima volta è stato solo un attacco, un crollo emotivo. Non lo definirei un attacco di panico, piuttosto un attacco d'ansia: lacrime su lacrime che sembravano non finire più, come se il mare mi stesse sgorgando dalla testa fuori dagli occhi, innacquandomi la gola senza farmi respirare, ma solo urlare dalla disperazione. Mi capita, ogni tanto, quando penso troppo.

- Va bene, Lena. - continua la dottoressa, scrivendo qualcosa sul suo taccuino.
Rimango a guardarmi intorno, a distrarmi osservando i quadretti appesi alle pareti che dovrebbero essere lì apposta per metterti a tuo agio, ma a me sembrano solo tanti scarabocchi messi in una cornice.
- Com'è il tuo rapporto con Silvia, ultimamente? -
- Come sempre. Si sa com'è fatta mia madre. - e lei annuisce, comprensiva.
- So che tocco un tasto dolente, ma vorrei parlarti di Roberto, tuo padre...-
Pausa.
Faccio finta di niente e quindi lei continua.

- Hai risposto al messaggio di Ginevra? - vuole sapere.
Ginevra è la figliastra di mio padre, la figlia della nuova tipa con cui sta e con cui ha creato la sua nuova meravigliosa famiglia. Giustamente, affinché ciò potesse realizzarsi, ha dovuto abbandonare me e mia madre quando avevo circa 13 anni. Non lo vedo da allora, non che prima fosse molto presente: sempre impegnato a sputtanare i suoi soldi alle slot machine o ad addormentarsi davanti alla tv piuttosto che passare del tempo con sua figlia.
Lui e la sua nuova famiglia vivono a Firenze, mentre io mi sono trasferita a Bologna ormai 5 anni fa, dopo la visita all'ospedale voluta da mia madre, che pensava di rimediare a tutto cambiando aria.
Poco tempo fa Ginevra mi ha contattata per provare a riallacciare i rapporti con mio - nostro - padre, ma non potrà mai capire la mia situazione, perché lui per lei c'è sempre stato. Per me no.

- No, e non ho intenzione di farlo. - rispondo, secca.
- Non pensi che potrebbe aiutarti a chiudere con questa tua parte del passato? - dice la dottoressa, mentre mi guarda compassionevole, come sicuramente le avranno insegnato a fare.

Penso che non sono cazzi tuoi.

Poi mi ricordo che è pagata per fare l'esatto opposto.
- Non credo ci sia niente, al momento, che possa aiutarmi a fare pace col mio passato. - rispondo acida.
La dottoressa capisce che l'argomento mi irrita e non lo tira più fuori fino alla fine della nostra seduta.
Quando esco da lì sono più stanca e nervosa di quando sono entrata, ma almeno ho salvato i miei libri dal cassonetto.

Dario

Spengo la sigaretta e mi dimentico di schiacciarla sotto la suola della scarpa quando lei esce dalle porte di vetro e mi vede.
- Ciao. - mi saluta, timida.
- Mi sa che hai sbagliato persona. - le rispondo, giusto per ricordarle la figura di merda che mi ha fatto fare. Per qualche motivo pensavo di risultare simpatico, e che magari le avrei strappato un sorriso, ma lei sembra mortificata.
- Scusami per quello. - ribatte allora lei.
- Stavo scherzando, tranquilla. -
La osservo: oggi indossa dei jeans scuri lunghi e una t-shirt larga e grigia con sopra stampato Otto Disk dei Simpson, i capelli sono legati in una coda. È un po' diversa dall'ultima volta, ma il bracciale al polso è sempre lì.

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