Capitolo 5: Il tempo che corre

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-Tom, sei sicuro di stare bene?

Il suo volto era impallidito, gli occhi a malapena riuscivano a rimanere aperti. Li guardavo e mi sentivo in colpa, ma la sabbia scorre. Non ne rimane più così tanta...

-Tom, stai bene? Sei svenuto?

Tom non reagiva. Era immobile, si sdraiò a terra e il sangue grondava a fiotti dal naso. Erano passati gli anni da quelle botte che ci resero sempre più vicini, ma no, era ancora forte abbastanza per uscirne più forte.

Cercò di sollevare la testa, cercando con gli occhi lo sguardo della ragazzina

-Susan...

Dolo...

-'re

Tom mi sentiva sempre più vicina... Ma qualcuno passò e Susan lo pregò di fermarsi.

-Prof, non si rialza. A malapena ha riconosciuto la mia voce quando ho provato a svegliarlo...

-Fila in segreteria a chiamare sua madre. 

La sentì correre via. Riecheggiavano delle urla dalle scale, sempre più lontane. Temeva di incontrarmi, era un'urgenza, zampillava sempre più sangue dalle fredde narici. Pensava, schifato all'idea di avere meno futuro degli altri, che presto ce ne saremmo andati lontano. A interromperlo però furono le mani di Susan, che lo prendevano per il naso e gli soffiavano la medicina. In lontananza le trombe delle ambulanze, una voce sconosciuta che gli parlava vicino.

-Signora, Tommaso potrebbe morire da un momento all'altro, a breve non potrà nemmeno più muovere braccia e gambe.

Il dottore parlava con un tono lugubre, come se a breve sarebbe finito il mondo. Il bagliore del bianco camice lo accecava, nonostante fosse ormai notte.

-Sarà necessario fargli indossare degli occhiali, in modo da evitare la perdita della vista per l'affaticamento degli occhi.

Sentì cadere sulla fronte una lacrima, la madre stava singhiozzando. Che ne sarebbe stato di suo figlio a distanza di pochi giorni? Tremava, cercando di essere forte, nonostante volesse urlare e gli sforzi del pianto la stessero spingendo a farlo.

-Mamma... non mi muovo...

Un filo di voce uscì a fatica dalle coperte del lettino. La madre cessò di piangere e accennò un flebile sorriso, almeno Tom era ancora vivo.

-Da domani dovrà usare la carrozzina, è urgente. Io ora vi congedo, ma fatemi sapere come sta.

Una leggera pioggia appesantiva la fatica nel reggere la testa, i lampioni lo forzavano a chiudere gli occhi. Susan, fuori dall'ambulanza, lo stava aspettando pazientemente, cercando di soffocare le urla di rabbia nel vederlo in sedia a rotelle. Alla fine però, anche lei si lasciò andare al pianto.

L'indomani, durante l'intervallo, Tom riposava in infermeria. L'idea di tornare a scuola forse non era la migliore, ma non voleva rassegnarsi. Si sentiva solo, mentre gli altri ridevano e giocavano nei corridoi. Dal sonno profondo, sentiva però che qualcosa non andava. In lontananza percepiva delle urla più familiari. Susan, ma non era sola, c'erano altre persone fuori dalla porta.

-Ci hai traditi!

Era indubbiamente Robb.

-Voi dovevate lasciarlo stare sin dal primo giorno in cu...

Uno schiaffo zittì Susan. Fu allora che Tommaso aprì gli occhi, decidendo di intervenire, sapendo che non avrebbe prodotto nulla di eccessivamente eroico.

-La smettete? Sto riposando...

Si reggeva a stento su delle stampelle, poco distante da loro, all'entrata della porta. Un docente intervenne appena passò per il corridoio.

-Che succede? Lasciate riposare Tommaso e tornate immediatamente in classe.

Tutti tacquero alle dure parole dell'uomo, che torvo li guardava. Susan sembrò assumere un'aria più rilassata. Prese Tom sulle spalle, accompagnandolo al lettino. Ancora non si spiegava come potesse tenere a lui, nonostante tutto gli stava accanto e non lo lasciava mai. Una fitta lo stordì, ma non si preoccupava, era abbracciato a lei. Era al sicuro. Non sarebbe successo niente.

L'ansia però lo tormentava negli anni, non poteva fare a meno di pensare quando tutto sarebbe finito, quando sarebbe stato libero dalle catene che la vita gli aveva tristemente imposto senza chiedergli niente. Ormai aveva imparato a convivere con l'assillante sensazione di morte, ma volle chiedere al padre almeno il quando.

-Papà, tu sai tra quanto morirò?

Lui lo guardò, cupo e con l'aria di chi sa ma vuole mantenere. Sistemò sul naso adunco gli occhiali, cercando di affogarsi nelle pagine del giornale.

-Sì, ma non ti piacerà saperlo...

-Lo so papà, ma tanto accadrà comunque, no?

-Beh, non puoi cambiare il corso del destino...

Una lacrima solcò una ruga sullo zigomo. Anche lui soffriva, nonostante la sua forza che in quanto padre doveva avere. Cercava da anni di nascondere le sue emozioni, per mostrarsi più forte di fronte all'addio di suo figlio, ma alla fine era anche lui un essere umano. Mai avrebbe immaginato di perdere colui che più voleva tenersi stretto, il bambino che portava sempre al mare a fare immersioni, con cui ha passato la parte migliore della sua vita.

-Vuoi comunque saperlo?

Tom, dal suo lettino, annuì, silenzioso. Voleva rendere felice suo padre, non essere la causa dei suoi pianti.

-Mancano solo cinque anni Tom... Poi troverai la pace...

Tom si fece cupo. Se l'aspettava, ma detto così fa male. Il padre iniziò a piangere, chiudendosi nel suo giornale, chinato sulle ginocchia. Come avrebbe reagito Susan? Se lo venisse a sapere? Doveva dirglielo, anche se probabilmente avrebbe rovinato la relazione. Aprì la chat con Susan, ma non era più così emozionante. Tanto ne mancano solo cinque...

-Ciao tesoro, come va?

Una parte di lui si sentiva in dovere di dargli la triste notizia, ma non ne era convinto.

-Ciao cara. Non va tutto per il meglio...

-Come? Cosa intendi?

-S...

Dirlo o non dirlo?

-Non credo di poter tacere. Tanto accadrà tutto comunque. Tra cinque anni...

Susan rimase ferma per un attimo, senza scrivere. Nella foto profilo era felice, in vacanza in Sicilia con lui... Quel sorriso, lo voleva ancora dentro di sé fino alla fine.

-Susan, non posso farci niente...

-Sì invece! Eccome! Tu hai sempre tenuto testa a tutti coloro che ti odiavano! Tu puoi fare tutto!!!

Voleva lanciare lontano il telefono, mentre i singhiozzi lo soffocavano.

-No. Non voglio rovinarti l'immagine che ti sei fatta di me negli anni, ma non sono un supereroe.

-Tu SEI immortale.

-Ma non posso durare per sempre. Tutti sono destinati a tornare ciò che erano, anche i ricordi. 

Esitò nel scriverlo.

-Anche io.

Aveva esagerato. Non doveva dirglielo, ma se non l'avesse fatto non sarebbe cambiato nulla, sarebbe stato solo più straziante per lei. Perché il tempo a volte corre più di quanto dovrebbe. Se ne pentì, lasciandosi cadere sul letto, soffocando le urla nel cuscino. A volte si chiedeva perché tutto questo fosse capitato a lui, perché la malattia, perché le prese in giro, perché le botte. Perché quella vita? Perché a lui?

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