Cannonball - Damien Rice

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Sono tanti i modi di dire che ascolti quando soffri per un lutto: ora è in un posto migliore, non soffrirà più, Dio aveva bisogno di lei, si è spenta una stella in cielo, c'è un angelo in più in paradiso...
In realtà, seppure queste parole siano molto dolci, quando stai soffrendo una perdita, niente è propriamente consolatorio.
Qualsiasi cosa succeda quando si muore, quello che egoisticamente pesa agli amici e ai familiari è che la persona cara, anche se è bello pensare che sia in un posto migliore, non è più al nostro fianco e mai tornerà.
Un giorno prima ci sei, studi, ridi e corri, il giorno dopo non sei più niente ed è terrificante.
La ragazza che amavo, e che tuttora amo profondamente con tutto me stesso, si spense il venti marzo, il primo giorno di primavera, quando, assieme alla natura e a tutti i fiori nei prati e negli alberi, avrebbe dovuto sbocciare nel pieno della sua bellezza.
La incontrai per la prima volta tre anni prima, per puro caso.
Quell'anno rischiavo la bocciatura in letteratura, così, per salvare la materia, la professoressa mi disse che in estate avrei dovuto leggere tre o quattro libri a mia scelta di diversi autori, studiati durante l'anno accademico, e lei mi avrebbe interrogato su quelli al mio ritorno a scuola a settembre.
Conoscendo la mia svogliataggine e il mio odio per la lettura, decisi che avrei iniziato quel supplizio di punizione già il primo giorno di vacanza, sperando in una fine tempestiva, la parola 'fine' interpretata sia come il termine del mio compitino, manco avessi dodici anni, sia anche come la mia morte, valida scusa per non leggere!
Disgusto letterario a parte, quello era il prezzo che dovevo pagare per la promozione e studiare soltanto una volta quella roba mi era bastata, non volevo di certo essere bocciato e replicare l'agonia.
Fu con l'entusiasmo sotto le scarpe che entrai nella piccola e stretta biblioteca di paese.
Notai subito l'enorme quantità di polvere, che giaceva sulle mensole delle varie librerie, distribuite per tutta la stanza, e lo scricchiolio del legno marcio del pavimento non migliorava di certo il mio spirito, semmai ero sempre più convinto della mia associazione tra la letteratura e l'anti-modernità.
Decisi subito che avrei richiesto l'assistenza della bibliotecaria, dato che non avevo idea di quale libro potessi prendere – rischierò pur la bocciatura per qualcosa -, e non volevo perdere troppo tempo in una simile decisione, utile solamente a salvarmi le chiappe dalla rabbia funesta di mio padre, se avessi fallito la "preziosa seconda possibilità, datami dalla prof".
Come bibliotecaria mi aspettavo la classica vecchietta stile nonna dei Looney Tunes, forse guardo troppi film e anime. Invece, la persona, che trovai dietro la vecchia e noiosa scrivania di ciliegio scuro, fu una ragazza che sembrava della mia età!
Non solo mi sorpresi di trovare una ragazza giovane – e, considerando il lavoro, con "giovane" avrei definito qualsiasi persona under 50, ma forse sono solo troppo stereotipato io nella mia mente chiusa e malata -, ma era carina e molto, ad essere onesti, così decisi di provarci, anche considerato che ero single da almeno l'estinzione del dinosauro Spyke della Valle Incantata.
Mi avvicinai a lei con fare deciso, cercando di sembrare il più figo e attraente possibile, mi presentai – mi chiamo Damien, btw – e le spiegai la mia pietosa situazione scolastica, buttandola sul ridere, da bravo pagliaccio quale sono, modestamente.
Lei si chiamava Sarah, aveva diciassette anni, due in meno di me, anche se frequentava la mia stessa classe – ma questo non è un punto di merito suo, semmai sono io che non studio –, ma lei studiava a casa da privatista - ed ecco spiegato perché mi sembrava di non averla mai vista – e lavorava in quella topaia, dimenticata dal Dio a cui non credo, per aumentare i crediti scolastici, anche se le piaceva leggere, tutto sommato.
Fin tanto che parlammo, rimase seduta sulla sua sedia e l'unica cosa che potevo ammirare era la sua bellezza.
Fu solo quando si alzò per prendermi il libro "non noioso e, possibilmente, il più corto che ti viene in mente" per me, che notai la pesante bombola verde d'ossigeno, che si portava appresso. Avevo notato prima i tubicini di plastica sul naso, ma non mi ero messo a pensare a un loro ipotetico scopo.
Ammetto che provai un certo senso di tristezza, pena e curiosità, ma mi sembrava saggio ignorare, almeno temporaneamente, la domanda scomoda.
Mi consegnò "La fattoria degli animali" di George Orwell, consigliandomi di non giudicare il libro dalle sole prime trenta pagine, ma di scavare nel messaggio dell'opera, scritto nel millenovecentoe-se ricordassi la data, sarei stato probabilmente promosso –, ma comunque contemporanea nel suo messaggio.
Sarah centrava sempre il bersaglio, i libri che mi consigliava erano sempre abbastanza brevi e carini e io avevo una nuova ragione in più per leggere in fretta: vederla e poterci parlare.
Io non le chiesi mai il suo numero di telefono o un appuntamento diretto perché, sì, mi considero una persona abbastanza estroversa e socievole, ma non così sfacciata e sicura di me, da chiedere un appuntamento a una ragazza dopo così poco tempo, d'altronde sapevo dove trovarla, quindi non era un problema.
Lei era al corrente che dovevo finire almeno tre libri prima del mio esame e, ancora prima che andassi da lei per la terzo opera, me l'aveva già scelta e messa da parte nell'angolino della sua scrivania.
Mi fece piacere sapere che mi aveva già anticipato la mossa, ma mi fece ancora più felice quando mi accorsi che mi aveva scritto leggero in matita il suo numero di telefono all'ultima pagina.
Le scrissi nell'immediato secondo dopo aver realizzato la mia incredibile botta di culo e parlammo fino a notte fonda, anche se io sarei sinceramente andato a dormire almeno un'oretta prima.
Il nostro primo appuntamento fu all'acquario e fu lì che mi parlò del perché vivesse ancorata e schiavizzata a una bombola d'ossigeno: soffriva di tumore al polmone destro.
<<Mi sento come un pesce fuor d'acqua nel mio stesso habitat, capisci?
Questo mi limita in tantissime cose che vedo o sento e vorrei fare, ma non posso. Non posso correre, non posso fare alcuno sport, non posso ballare, non posso ...>>
<<Come fai a farti la doccia?>>
<<Cosa?>>
<<Lavarti sai farlo, almeno sembra di sì, profumi. Bene, la mia domanda è: come fai a farti la doccia? E a dormire? Se ti rigiri nel letto non rimani legata?>>. Riuscii a farla sorridere.
Decisi di baciarla davanti alla vasca degli squali. Lo so, non è proprio il pesce più dolce e romantico dei fondali marini, ma è questo il bello!
Le dissi: <<Sai come stabiliscono la loro forza gli squali?>>
<<Come?>>
<<Puntano una preda, la più debole e indifesa del gruppo, e inseguono solo lei, finché non riescono ad azzannarla con i loro trecento denti aguzzi>>.
La presi dai fianchi, la girai di scatto verso di me, mi avvicinai al suo viso e la baciai per la prima volta.
Quando la guardai, notai che mi guardava storto e le chiesi cosa avesse, perché mi stavo sinceramente preoccupando di aver fatto una immensa figura di merda e che mi volesse respingere.
Sarah rispose che non sapeva se essere felice del bacio oppure tirarmi un calcio nelle palle perché l'avevo definita una preda indifesa.
Sollevato, accettai la sua minaccia che il secondo bacio avrebbe deciso lei quando e come darmelo.
Me lo diede nemmeno venti minuti dopo davanti alle stelle marine, facendomi il verso di quello che avrei dovuto dire: <<Vedi Sarah, tu ti definisci un pesce fuor d'acqua. Infatti, è così: la stella marina sta in acqua, tu una stella in cielo, che illumini la notte col tuo dolce sorriso>> e mi baciò.
Non mi seppi trattenere, risposi pacato che: <<Punto numero uno, la stella marina non è un pesce, ma un invertebrato.
Punto numero due, assecondare una sdolcinatezza del genere sarebbe stato troppo mainstream e poco da me, visto che così è stato molto più improvviso e, ammettiamolo, ti è piaciuto.
Tre, la mia prima scelta in realtà era baciarti davanti alla vasca con i pesci del film Disney "Alla ricerca di Nemo", ma non credo, in realtà, che un vero acquario sia tanto stupido da farla veramente.
Quattro, io ti bacio quando voglio>> e lo feci.
In realtà, credo che quello si potesse in minima parte considerare come un litigio, un record, considerando che stavamo assieme da venti minuti e ci eravamo scambiati solamente due baci, ma noi siamo sempre stati così: due vulcani attivi, in procinto di eruttare da un momento all'altro.
Sarah aveva la fantastica capacità di capirmi. Riusciva a comprendere quando stavo scherzando, quando ero serio, quando tenevo davvero a una cosa o non mi importava. Persino mia madre invidiava la sua dote, perché lei tendeva a prendermi sempre troppo sul serio, non ha ancora capito che io sono un pagliaccio non travestito, mentre Sarah faceva finta di incazzarsi e mi rispondeva a tono, però non ci cascava veramente.
La ammiravo. Ci sono persone che si fingono forti per non attirare l'attenzione della gente, se non per ottenere stima. Lei non voleva niente, né complimenti per la sua tenacia, né compassione, era forte davvero.
Una sera eravamo sul letto a casa mia, Sarah aveva studiato tutto il giorno e tutta la notte precedente per un esame inaspettato e di cui aveva saputo l'esistenza solo all'ultimo e lo affrontò quella mattina stessa, dopo aver dormito solamente tre ore e aver affrontato quattro ore di treno tra andata e ritorno.
Credo di non averla vista più stanca di quella sera, anche se sembrava soddisfatta del risultato, e ricordo che stava crollando dal sonno, mentre le accarezzavo delicatamente i capelli e il viso.
Ricordo perfettamente quel momento: la luce spenta, lei sopra di me e che, sinceramente, mi pesava anche un po', i suoi capelli morbidi e appena lavati un'ora prima perché, quando arrivò da me, dopo la notte insonne, l'esame e il viaggio, aveva <<urgentemente bisogno di una doccia, l'esame è andato relativamente bene, per aver studiato così poco.
Portami una tua felpa e i tuoi pantaloni della tuta, per piacere.
I miei vestiti li butto a lavare da te, tanto tu la lavatrice nera la fai almeno una volta alla settimana>> senza nemmeno salutarmi con un bacio, però non me ne lamentai subito perché, con la scusa di portarle i vestiti, sono entrato in bagno quando lei era già nuda e, beh, mi sono imbucato in doccia, non potevo sprecare un'occasione.
Le dissi che non la consideravo né un pesce piccolo, né indifeso. Anche perché io, quella volta, ho solo detto una stronzata prima di baciarla, ma non avevo mai stabilito le parti perché, in realtà, lo squalo era lei e sono io lo stupido pesciolino rosso che è caduto nella sua rete, che mi ha incastrato.
In realtà, quando le parlai, non sapevo nemmeno se fosse ancora sveglia e se mi fosse già collassata addosso con tutto il suo dolce peso, ma mi sorprese quando mi rispose: <<Ti amo anch'io Dam>>.
Chi è stato il primo, quindi, ad aver detto "ti amo" all'altro? Non lo so, ma, romanticamente, è stata l'unica volta per cui non siamo stati in conflitto per il primato di qualcosa.
Tre anni, Sarah era tutto il mondo, aveva finalmente messo in ordine i pezzi mal incastrati del mio puzzle e l'aveva completato, mi aveva reso un uomo, più con la testa sulle spalle, più responsabile. Soprattutto, Sarah mi fece sentire il mio cuore battere non di paura e nemmeno di stanchezza fisica.
Io ero sicuro che ce l'avrebbe fatta, che ce l'avremmo fatta come coppia, che la sua malattia fosse soltanto un piccolo ostacolo da oltrepassare, un po' come quando stai facendo una passeggiata sul bagnasciuga in spiaggia e, a un certo punto, ti imbatti in una colonna di scogli. È difficile, hai paura magari di tagliarti i piedi nella roccia o di cadere e sbattere la testa, ma presti attenzione e arrivi incolume dalla parte opposta.
Io credevo che la mia vita con Sarah potesse essere una passeggiata sul bagnasciuga e la sua malattia fosse solo uno scoglio...
Alla chemioterapia Sarah aveva reagito con successo.
Sapevamo che l'intervento chirurgico era pericolo e aveva un alto rischio di insuccesso, ma io ero fiducioso.
Ricordo che l'unica volta che vidi Sarah vacillare fu il giorno prima dell'intervento, quando disse a me e i suoi genitori, presenti anch'essi nella stanza: <<Grazie a tutti voi ho avuto una bella vita>>.
Fu l'unica volta che mi incazzai seriamente con lei perché non volevo che pensasse alla morte perché l'intervento sarebbe andato bene e lei avrebbe potuto fare tutto quello che voleva poi, pure ballare, come aveva sempre sognato.
Mi arrabbiai penso per la paura perché scoppiai a piangere due secondi dopo le sue parole, urlavo tra le lacrime per la disperazione e mi calmai solo quando mi prese in un abbraccio ed era ironico perché, in quel momento, era lei che stava per morire, eppure ero io quello che aveva bisogno di essere consolato.
Passammo insieme tutta la notte, svegli, ovviamente, perché nessuno riusciva a dormire.
Prima di entrare in sala operatoria mi disse: <<Ti amo, vada come vada>>.
Le baciai la fronte, il naso e le sue morbide labbra e le risposi: <<Ti amo, ma "vada come vada" un cazzo, perché ci vediamo tra poco>>, ma solo io riuscii a rivederla, lei non ce la fece.
Quando soffri per una perdita, la parola preferita di chiunque interagisca con te è "il tempo": il tempo guarisce ogni ferita, il tempo ti aiuterà a superare e dimenticare, col tempo imparerai a conviverci. Sinceramente, non so se davvero io riuscirò mai a farlo.
C'è ancora un po' del suo sapore nella mia bocca.
C'è ancora un po' del suo fantasma nella mia testimonianza di lei.
Mi pento ogni giorno, tanto che vorrei tornare indietro nel tempo, perché c'è ancora una piccola parte del suo viso che non ho baciato, c'è ancora un po' della sua canzone nel mio orecchio, ci sono ancora un po' di sue parole che desidero sentire, come un "sì" o un "lo voglio".
Nessuno sa davvero cosa si celi dopo la morte e questa ignoranza mi tortura giorno e notte, perché vorrei almeno sapere: Sarah continua ad esistere? Se sì, è davvero in un posto migliore, dove può ballare e non ha limiti?
Ma la risposta è che non c'è modo di sapere ed è quando sei semplicemente consapevole di non sapere che capisci che non è difficile cadere.
Ancora non riesco a capire cosa stia succedendo in me, mi sento talmente male da non sentire niente, se non un profondo e interminabile senso di vuoto, che mi avvolge ed è un freddo, deserto, interminabile supplizio. L'amore mi ha insegnato a piangere.
Per portarla sempre con me, mi sono tatuato sul pettorale destro, in prossimità del polmone, una stella e una stella marina, unite da una linea tratteggiata a forma di S, la sua iniziale.
Come quando fluttui come una palla di cannone, tu sei solo la conseguenza di un atto, perché è stato un altro agente ad aver preso la mira per te e ad aver acceso la miccia. Fluttui in aria, sapendo che esploderai da un momento, ma non sai cosa colpirai e distruggerai.
Come quando lanci un sasso a filo d'acqua per sfidare le tue stesse capacità. Se sei bravo il sasso non affonderà, ma salterà. Con questo concetto, le pietre mi hanno insegnato a volare.
Come quando Sarah si aspettava una risposta precisa, che in realtà io non pensavo davvero, ma che sentirla l'avrebbe resa felice. Con quel concetto, l'amore mi ha insegnato a mentire.
Facendomi conoscere Sarah, la vita mi ha insegnato a morire.

***

Note d'autrice:

Heii, vi volevo consigliare, oltre ad ascoltare le canzoni che vi linko, come sempre, di ascoltare anche la cover di "Cannonball" delle Little Mix, che considero addirittura migliore dell'originale.
Per il resto, come vi sembra? Vi piace?
Commentate in tanti! xx

- Fabiall

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