3. DA BELFAST CON FURORE
“Where the road is dark and the seed is sowed,
where the gun is cocked and bullet’s cold,
where the miles are marked in the blood and gold
I’ll meet you further on up the road.”
(Further on up the road, Johnny Cash)
Tre settimane dopo
Tommy fissava il soffitto ingiallito e consunto dagli anni, il silenzio invadeva la stanza. Non aveva dormito, era rimasto tutta la notte a guardare Charlie sonnecchiare nella culla accanto a lui. Il bambino ogni tanto sorrideva, e Tommy sorrideva con lui. Polly una volta glia aveva detto che i bambini sorridono nel sonno perché sognano gli angeli, ma Tommy non ci credeva. Anzi, lui non credeva più in molte cose. Non credeva nella giustizia, nella bontà, nella pace, e stava anche smettendo di credere nell’amore. Erano tre settimane che non vedeva Amabel, sembrava una eternità. Non si erano parlati, non si erano incrociati a Small Heath, e lei non aveva neanche chiesto informazioni sulla sua salute. Amabel lo aveva scacciato come si fa con i cani randagi, sporchi e spesso aggressivi. E lui era proprio così, sporco di sangue e dominato dalla violenza. Tommy era una pistola costantemente carica, pronta a sparare chiunque lo ostacolasse. La porta si spalancò e Polly entrò con le mani sui fianchi.
“Alza il culo, Tommy. E’ successo di nuovo.”
“Quanti?”
“Due ragazzi di Small Heath, i gemelli di Clay. Avevano solo diciassette anni.”
L’eroina che Tommy aveva assunto stava uccidendo sempre più persone. I morti aumentavano ogni giorno. Lui era vivo solo grazie all’intervento tempestivo di Amabel, altrimenti si sarebbe già trovato sotto terra affianco a Grace. Quando scese in cucina, Arthur e Michael avevano già stappato una bottiglia di whiskey. Finn mangiava i biscotti che Ada aveva comprato per la colazione, con tutta l’innocenza dei suoi diciannove anni.
“Ah, ecco il recluso. Finalmente sei uscito dalla tua cazzo di stanza.” esordì Arthur ridendo. Tommy sbuffò, prese un bicchiere dalla credenza e si versò una esagerata quantità di alcol.
“Chiudi quella fogna, Arthur. Non rompermi il cazzo alle sette di mattina.”
“Esiste un orario per rompere il cazzo?!”
Tommy ignorò il fratello, non era in vena di scherzare.
“Qualcuno mi dice che cosa è successo o devo tirare ad indovinare?”
“L’eroina questa settimana ha ucciso una dozzina di persone in tutta Birmingham. Stamattina Charlie Strong ha trovato i figli di Clay morti lungo il canale. La droga è arrivata anche a Small Heath, Tommy.” Disse Michael, che fumava placidamente e sorseggiava il whiskey.
“Chi è che sta spacciando nel nostro quartiere senza il nostro permesso?” chiese Polly, i ricci lunghi sulle spalle, la sigaretta tra le dita.
“Forse qualche altra gang ha deciso di farci innervosire. Dovremmo fracassare qualche cazzo di pub!” disse Arthur. Tommy si accese una sigaretta nella speranza ci calmare i nervi, ma la nicotina non era d’aiuto.
“L’eroina è una nuova droga, mi sembra strano che le altre gang spaccino roba che non conoscono. Credo che in città qualche idiota voglia racimolare un po’ di soldi vendendo droga.”
“Beh, questo idiota sta decimando la città. Se i Peaky Blinders cominciano a fare uso di eroina, entro due settimane saremo a corto di uomini.” Gli fece notare Polly con il suo solito tono tagliente.
“Avvisiamo i nostri uomini di non comprare quella merda e di usare la solita roba. Nel frattempo mandiamo qualcuno a parlare con gli spacciatori per cercare di avere qualche informazione.” Disse Tommy. Arthur si scolò gli ultimi sorsi di whiskey dalla bottiglia e poi raccattò una nuova bottiglia dal frigo.
“E noi che facciamo? Ci grattiamo le palle?”
Tommy gli rivolse uno sguardo annoiato, le provocazioni del fratello non lo divertivano mai.
“Tu non sai nemmeno grattarti le palle, Arthur. Sta buono per una cazzo di volta.”
“Quanto cazzo sei depresso da quando la dottoressa ti ha piantato. Fatti una cazzo di vita, fratello.”
“Che cazzo hai detto?”
Polly scosse la testa per impedire ad Arthur di parlare ancora ma il nipote non le diede retta.
“Lo sappiamo tutti che tu e Amabel scopavate di nascosto, e adesso fai il depresso perché lei non te la dà più.”
Tommy, accecato dalla rabbia, sferrò un pugno in faccia al fratello. Arthur cadde dalla sedia con il naso sanguinante.
“Tommy, smettila!” lo rimproverò Polly. Tommy si scrollò di dosso le mani della zia e di Michael, e si massaggiò la mano.
“Non parlare mai più di Amabel in quel modo. Sono stato chiaro?”
“Vaffanculo, Tommy.” Grugnì Arthur attraverso i baffi sporchi di sangue.
Amabel arrivò in clinica puntuale come un orologio svizzero. Indossò il camice e iniziò subito il giro di visite nel proprio reparto, voleva conoscere tutti i bambini di sua competenza.
“Buongiorno, mia bella signorina.”
Amabel sorrise quando Oliver l’affiancò in corridoio.
“Buongiorno a te. Come procedono le tue visite?”
“Io non visito, io dialogo con le persone.” Replicò Oliver con un sorrisino. Amabel gli diede un buffetto sul braccio.
“In pratica ti impicci degli affari altrui.”
“Sì, è un modo carino per definire il lavoro di uno psicologo.”
Amabel si soffermò sul nome di una bambina, era pallida e tossiva. Stando alla sua cartella, era Stacey Adrian, dieci anni, affetta da pertosse.
“Accidenti, siete ovunque!”
“Parli da sola, amica mia?”
Amabel portò Oliver lontano dalla bambina per evitare orecchie indiscrete.
“Questa bambina è la figlia di John Adrian*, il capo della gang degli Cheapside Sloggers del quartiere di Cheapside.”
“Conosci tutti i gangster di Birmingham?”
“Ne conoscono uno e mi basta, fidati. Comunque, Adrian è il proprietario dei pub ad ovest della città ed è uno dei maggiori allibratori a Londra.”
“Dottoressa Hamilton.” La richiamò una infermiera, e Amabel si voltò.
“Dimmi.”
“C’è un signore che vi aspetta in giardino. Dice che ha urgente bisogno di colloquiare con voi.”
Amabel temeva che fosse Tommy, non era pronta a rivederlo, ma lui era troppo orgoglioso per parlarle.
“Arrivo.”
Amabel vide un uomo che passeggiava in giardino con le mani dietro la schiena. Era ben vestito, indossava il cappello che nascondeva una cascata di ricci biondi, e un prezioso orologio da taschino gli pendeva sul panciotto. L’uomo la riconobbe e sorrise, le labbra sottili erano sormontate da baffi biondi ben curati.
“Dottoressa Hamilton, è un piacere fare la vostra conoscenza.” Disse, e le baciò il dorso della mano. Amabel avvertì una strana agitazione serrarle lo stomaco.
“Sarebbe un piacere anche per me se sapessi il vostro nome.”
“Certo, perdonatemi. Il mio nome è Eugene Campbell, ispettore capo della polizia di Belfast.”
Amabel ritrasse la mano con uno scatto, quasi si fosse ustionata.
“Da Belfast, avete detto? Non capisco.”
“Sono stato inviato qui per indagare sugli omicidi di Dominic e Jacob Cavendish.”
“Credevo che il caso fosse stato archiviato.”
L’ispettore sorrise, i baffi mostrarono un canino d’oro affilato.
“Dottoressa, non siate ingenua. Un caso viene archiviato quando il colpevole viene arrestato. Non volete scoprire chi ha ucciso brutalmente vostro cognato?”
Amabel si guardò intorno alla ricerca di un volto amico che andasse in suo soccorso, ma non c’era nessuno nelle vicinanze.
“Jacob non era ancora mio cognato. Lo conoscevo molto poco, e anche mia sorella lo conosceva poco. Il loro fidanzamento era stato molto affrettato.”
“Ma la morte di un uomo resta un evento spiacevole a prescindere dal legame che avevate con lui.” Disse l’ispettore con tono pacato, un’aquila che tastava il terreno dove avrebbe colto la propria preda.
“Perché siete qui, ispettore Campbell?”
“Vorrei porvi qualche domanda, se non vi dispiace.”
Amabel si allarmò quando l’uomo tirò fuori dalla giacca un taccuino e una penna, voleva annotare ogni sua parola per poterla analizzare in seguito. Prese un bel respiro e si costrinse a calmarsi, doveva apparire serena all’esterno.
“Certamente.”
“Com’era il rapporto fra Jacob e vostra sorella?”
“Come quello di tutti i giovani innamorati, dolce e idilliaco.”
L’ispettore ridacchiò mentre scriveva e ogni tanto sollevava gli occhi sulla donna.
“Non litigavano mai? Anche nelle relazioni idilliache c’è del marciume.”
“Non hanno mai litigato. Evelyn e Jacob passavano poco tempo insieme perché lei studiava e lui lavorava con il padre.”
“A proposito di famiglia, siete voi la tutrice delle vostre sorelle?”
Amabel non si lasciò condizionare da quel cambio di argomento che mirava solo a confonderla, mantenne lo stesso tono di voce risoluto.
“Sì. Mio padre ha espressamente voluto che fossi io ad occuparmi delle mie sorelle, nonostante fossi lontana per lavoro.”
“Per lavoro, dite? Io ho qui un certificato medico che vi colloca in una clinica privata di New York tra il settembre e l’ottobre nel 1921. Vi è capitato qualcosa?”
“Siete venuto per indagare sulla morte dei Cavendish o per indagare sulla mia vita personale? Sappiate che non vi è correlazione tra le due cose.” Rispose Amabel con fare nervoso, al che l’ispettore ghignò.
“In città si mormora del vostro caratterino, ma non pensavo che le voci fossero tanto vere. Siete un bel tipetto, dottoressa. Quello che si vocifera su di voi è assai allettante.”
“Non mi interessa. E ora, con permesso, devo tornare a lavorare.”
Amabel stava per dargli le spalle quando la risata dell’ispettore la obbligò ad arrestarsi.
“Si vocifera che siate coinvolta negli affari sporchi dei Peaky Blinders, una gang di Small Heath. Inoltre, dai documenti emerge che il maggiore investitore della vostra clinica è proprio il signor Shelby, il leader dei Peaky Blinders.”
“Siccome non vi è chiaro, vi ribadisco che le chiacchiere sul mio conto non mi interessano. Se volete interrogarmi sui Cavendish, sarò ben disposta a rispondere nelle sedi opportune.”
Amabel rientrò in clinica con i tacchi che picchiavano sul lucido pavimento come chicchi di grandine. Aveva fretta ma non voleva che l’ispettore, ancora in giardino, comprendesse il suo disagio. Rintanatasi nel suo ufficio, chiuse la porta a chiave e dalla finestra osservò Campbell uscire dal cancello. Digitò un numero con le mani tremanti, non aveva altra scelta se non contattare l’unica persona che poteva aiutarla.
“Shelby Limited Company. Parla Lizzie Stark, la segretaria.”
“Lizzie, sono Amabel Hamilton. Devo parlare con Tommy immediatamente.”
“Tommy non vuole essere disturbato per nessuna ragione.”
“Digli che è importante, per favore.”
“Mi dispiace, Tommy non è qui.”
Amabel sbatté la cornetta al muro quando Lizzie riagganciò.
Tommy stava seduto alla sua scrivania al buio, con la porta chiusa e le persiane a coprire le finestre. Si rigirava tra le mani il fazzoletto di Amabel mentre fumava. Era a pezzi. La morte di Grace lo aveva prosciugato, e la vendetta su Lena non aveva sortito nessun effetto. Il buco al centro del petto era sempre più profondo. Perdere anche Amabel lo aveva destabilizzato. Non era lucido, non era in grado di pensare, non era più se stesso. Gli incubi sulla guerra erano tornati prepotenti, lo tenevano sveglio e con il respiro mozzato. Era schiavo della propria mente scombussolata.
“Arthur ha ragione sulla tua depressione.”
Polly entrò nell’ufficio portando con sé una ventata di odore di alcol.
“Non sono depresso.”
“Tu non stai bene, Tommy.”
Tommy nascose il fazzoletto nel cassetto e spense la sigaretta.
“Non è una novità. Perché sei qui? Non dirmi che è morto qualcun altro.”
Polly spalancò una finestra per rinfrescare la stanza satura di fumo e polvere, poi si sedette sulla scrivania e accarezzò la spalla del nipote.
“Sono qui perché tu hai il cuore spezzato. Lo so che tra te e Amabel era più che semplice sesso. Lo so che sei innamorato di lei.”
“Lei non la pensa così.” Disse Tommy socchiudendo gli occhi stanchi.
“Non è tutto bianco o nero, Tommy. Esiste una zona grigia dove vengono confinate tutte le incertezze.”
“Ti ricordi quando mi hai detto che dopo Grace ci sarebbe stata un’altra donna? Ecco, ti sbagliavi. Non poteva esserci nessuno dopo Grace perché Amabel era venuta prima di tutte. E’ dopo Amabel che non ci sarà nessun’altra.”
Polly non aveva mai visto Tommy così distrutto, era una persona diversa dall’uomo a capo di una gang di criminali. Quelle parole appartenevano al Tommy che era stato prima di partire per la guerra.
“Il duro Tommy Shelby ha davvero perso la testa, a quanto pare.”
“Lei è quella giusta. Malgrado tutto, è lei.”
Quella conversazione intima fu interrotta dalle urla di Lizzie. La porta si aprì e Amabel comparve sulla soglia con la rabbia stampata in faccia.
“Ma sei impazzito? Non puoi evitarmi quando ho bisogno di te!”
“Sei tu quella che non vuole avere niente a che fare con me.”
La sicurezza di Amabel scemò in un attimo, l’imbarazzò le attanagliò l’imboccatura dello stomaco. Polly ridacchiava sotto i baffi per quella scenetta patetica.
“A parte le nostre divergenze personali, abbiamo un problema che riguarda tutti noi. Un ispettore è venuto da Belfast per indagare sulla morte di Dominic e Jacob. E’ Eugene Campbell.”
L’espressione di Tommy si tramutò in shock, poi diventò furia.
“Campbell?! Quella famiglia del cazzo ci sta alle costole!”
“Sa cose di me che non dovrebbe sapere e che non attengono al caso.” Disse Amabel, mordendosi le labbra. Polly stava tremando, si era appoggiata alla scrivania con ambo le mani e respirava a fatica.
“Quel bastardo di Campbell non aveva figli. Chi è questo?”
“Quanto ci dobbiamo preoccupare?” Chiese Amabel. Tommy non osò guardarla, però la postura rigida delle spalle preannunciava la sua risposta.
“Ci dobbiamo preoccupare parecchio. Bel, vattene prima che qualcuno ti veda qui. Ci vediamo stasera al solito posto e ne parliamo.”
Amabel annuì e, con un ultimo sguardo a Tommy, lasciò l’ufficio.
Amabel era già arrivata quando Tommy accostò lungo il ciglio della strada.
“Sali. Ci facciamo un giro.”
La donna salì a bordo con riluttanza, non aveva voglia di stare tanto vicina a lui. Si mise a guardare fuori da finestrino mentre l’auto ripartiva. L’azzurro del cielo stava cedendo il passo al rosso del tramonto, presto sarebbe diventato nero. Faceva fresco, la brezza settembrina penetrava attraverso il soprabito di Amabel facendola rabbrividire.
“Ebbene, perché ci siamo incontrati qui?”
Tommy picchiettava le dita sullo sterzo, era nervoso e accigliato.
“Perché qualcuno in città si sarebbe accorto di noi. Se Campbell indaga sugli omicidi, di sicuro potrebbe spiarti. Vederci fuori città ci dà una minima occasione di privacy.”
“Campbell è pericoloso, l’ho avvertito come uno spillo nella pelle. Quell’uomo è a Birmingham per una ragione che esula dai Cavendish.”
Tommy frugò sui sedili posteriori e le diede una cartellina blu che proveniva dall’ufficio militare.
“Ho scoperto che Eugene è il nipote dell’ispettore Campbell che ci ha perseguitato anni fa. E’ il figlio del fratello. Faceva parte dell’aviazione inglese e ha servito durante la Guerra, poi è stato nominato ispettore capo a Belfast dopo la morte dello zio.”
Amabel lesse le informazioni su Eugene, aveva trentacinque anni, era scapolo ed era un soldato pluridecorato.
“Non mi aspettavo niente di diverso da un tipo come lui.”
“Oggi hai detto che lui sa cose di te che nessuno dovrebbe sapere. Che intendevi?”
Amabel si agitò sul sedile, non era un argomento di cui voleva parlare, specialmente con lui.
“Sono stata ricoverata per un po’ in una clinica privata dopo la guerra. Era Oliver a curarmi.”
Tommy si meravigliò del fatto che Amabel fosse stata curata in una clinica psichiatrica, lei che sembrava avere tutto sempre sotto controllo.
“Colpa della guerra?”
“E’ sempre colpa della guerra, Tommy.”
“Già. – convenne Tommy – Hai già interrogato le tue sorelle?”
“No, o almeno non ancora. Le ho chiamate per comunicare loro la notizia e hanno detto che nessuno le ha contattate. Ho detto loro che devono stare attente e che, nel caso in cui qualcuno le interroghi, devono ripetere la versione che abbiamo accordato.”
“Saggia mossa.” Disse Tommy, e dovette reprimere un sorriso. Era in auto con la donna che amava a discutere di omicidi, non c’era niente da sorridere. Amabel appoggiò la testa contro il finestrino e sospirò, era esausta dopo quella sfiancante giornata.
“E’ qui per vendicare lo zio, vero?”
“Possibile. All’epoca abbiamo corrotto la polizia per evitare di incriminare Polly, e nessun colpevole è mai stato trovato. Il caso è decaduto senza fare scalpore.” Disse Tommy, e fermò l’auto a pochi metri da un ruscello.
“Scommetto che Eugene ha tutta l’intenzione di scoprire chi ha ammazzato lo zio. Inoltre, la morte dei Cavendish è una ferita ancora fresca per la città.”
Tommy smontò e fece cenno ad Amabel di seguirlo. Si addentrarono nella fitta boscaglia per raggiungere il ruscello che mormorava una placida cantilena. Amabel si abbassò a immergere la mano nell’acqua fredda, una sorta di ristorazione per il corpo e la mente.
“Lui lo sa che siamo stati noi ad uccidere i fratelli Cavendish. È questione di tempo prima che ci arresti.”
Tommy si passò la sigaretta sulle labbra prima di accenderla, sebbene i suoi polmoni faticassero a respirare bene.
“E’ ovvio che lo sa. Conosce i Peaky Blinders, sa quello che facciamo, e suo zio lo avrà di certo aggiornato mentre era a Birmingham. Per sbatterci dentro gli servono soltanto le prove.”
“Esistono prove di quello che abbiamo fatto?”
Amabel lanciò uno sguardo fugace a Tommy, che osservava la superficie del ruscello incresparsi al passaggio dei pesci.
“Tu non hai fatto niente, Bel. Io e Arthur abbiamo torturato e ucciso quei bastardi dei Cavendish. E Polly ha ucciso quel verme di Campbell.”
“Hai ucciso quei due anche per me, per salvare mia sorella, e perciò sono in debito con te.”
“L’ho fatto per vendicare John, questo è il motivo principale.”
Quando i loro sguardi si incrociarono, una scintilla scattò. Era un misto di rabbia, pentimento e passione. Loro si capivano anche senza parlare.
“Non vi lascerò affondare, Tommy. Io resterò al vostro fianco.”
“Mi avevi detto di non voler essere più cercata. Perché dovrei coinvolgerti nell’ennesimo casino dei Peaky Blinders?”
Amabel strappò un filo d’erba e lo attorcigliò in modo da creare una specie di anello. Lo mostrò ad un Tommy scettico.
“Perché non possiamo fare a meno di metterci nei guai insieme.”
Tommy inarcò il sopracciglio quando lei gli prese la mano e gli fece scivolare l’anello all’indice destro.
“Regalo economico. Mi aspettavo di più da una riccona.”
“Questa è la promessa che ti guarderò le spalle qualunque cosa accada. Anche se non stiamo insieme, siamo amici. Io ci tengo a te, Tommy.”
Tommy la strattonò per attirarla a sé, erano così vicini che riusciva a vedere le crepe del rossetto causato dalle labbra screpolate.
“Non posso essere tuo amico quando l’unica cosa a cui penso sono tutte le volte che ho baciato la tua bocca, che ho toccato il tuo corpo nudo, a tutte le volte che ti ho sentito gemere nel buio della nostra camera.”
Tommy le accarezzò la bocca con il pollice, un lento e sensuale movimento. Amabel deglutì, incapace di staccarsi.
“Non farlo, Tommy. Non incantarmi con le belle parole, non dopo quello che hai fatto a Warren.”
Tommy si scostò bruscamente, annoiato da quel riferimento.
“Ho ordinato ai miei di dare una lezione a quel fottuto dottorino? Sì. Me ne pento? No. Siamo stati noi? No. Quando i miei sono arrivati alla pensione di Warren, lui non c’era. Non siamo stati noi.”
“E allora chi è stato?”
“Non lo so.”
Amabel si produsse in una risata amara, era ridicola la giustificazione di Tommy.
“Certo, fingerò di crederci. Adesso devo tornare a casa.”
Tommy l’agguantò per il polso ma Amabel si liberò con uno strattone.
“Bel, ti prego, devi credermi.”
“Tu sei tossico. Sei come l’eroina, rovini tutto quello che tocchi. E io mi sono lasciata risucchiare nella tua spirale di violenza come una bandiera sbatacchiata al vento. Però sono stanca di essere una bandiera al vento, ora voglio mettere i piedi a terra.”
“E non pensi a me? Non pensi a come sto io senza di te? Cazzo, Bel, la mia testa è un fottuto inferno. Sento che sto per crollare e non posso dirlo a nessuno perché per loro sono soltanto Tommy Shelby – il gangster. Tu sei l’unica che mi vede per quello che sono. Tu vedi Thomas.”
Tommy aveva gli occhi lucidi di lacrime e rossi, il suo petto si alzava e abbassava con violenza, la rabbia gli scorreva nelle vene mescolandosi al sangue.
“Tommy …”
“No! Non tu, Bel! Non chiamarmi così. Ti supplico, guardami. Guarda Thomas. Il tuo Thomas. Ho bisogno di te. Ho fottutamente bisogno di te!”
Amabel non lo aveva mai visto tanto disperato, era fuori di sé. Il gangster era scomparso, davanti a lei c’era solo un uomo distrutto. Una scia del Thomas che era stato in passato.
“Ma io sono qui! Ti ho appena promesso che sarò al tuo fianco.”
“Hai promesso di restare al mio fianco in un cazzo di omicidio! Io ti voglio nella mia vita! Voglio svegliarmi la mattina e sapere che tu mi ami, che ci sarai tutti i giorni, che mi bacerai per consolarmi, che farai l’amore con me tutte le volte che ne avrai voglia. Non me ne faccio un cazzo di una amica!”
Tommy rimase ferito dal silenzio di Amabel, se ne stava ferma come una statua a guardare il ruscello per non guardare lui.
“Andiamo. Ti riporto alla tua auto.”
Amabel rincasò intorno alle otto di sera. Jalia l’attendeva in sala da pranzo con una gustosa cena a base di carne e verdure.
“Bentornata, signora. La cena è servita.”
“Grazie, Jalia. Ti prego, unisciti a me. Non voglio cenare da sola.”
La ragazza sbarrò gli occhi, di solito le cameriere mangiavano gli avanzi in cucina e non sedevano insieme al proprio datore di lavoro. Amabel, invece, ribaltava tutte quelle cerimonie discriminatorie.
“Grazie, signora.” Disse Jalia inzuppando il pane nella crema di patate. Amabel si sciolse i capelli e si massaggiò la testa.
“Chiamami ‘Amabel’, per favore. Sei mia amica, e gli amici si chiamano per nome.”
Amabel strinse la mano della ragazza in una presa ferrea, in fondo era solo una diciottenne in un paese straniero che aveva bisogno di essere accolta.
“Grazie, Amabel.”
“Dai, adesso mangiamo.”
Un’ora dopo Jalia lavava le stoviglie e Amabel le asciugava, mentre chiacchieravano di tutto e di più. Jalia le aveva raccontato del piccolo villaggio africano in cui era nata, della propria famiglia, di come era giunta in Inghilterra su un peschereccio e di come era finita in un orrido orfanotrofio.
“Voi mi avete salvato la vita, Amabel. Sarei finita per strada se voi non mi aveste presa in casa.”
“E sono davvero felice di averlo fatto. Ci sono troppe donne nella tua condizione, dovremmo fare qualcosa.”
“Non c’è soluzione alla cattiveria del mondo.”
Amabel stava per replicare quando suonò il campanello. Si augurò che nessun Shelby ferito sanguinasse ancora sul tappeto costoso del soggiorno. Davanti alla porta giaceva una busta bianca su cui c’era scritto il nome di Amabel. Quando esaminò il contenuto, fece cadere la busta per lo shock. Al suo interno c’erano un paio di boxer da uomo bianchi con due impronte di mani insanguinate sul didietro; appartenevano a Tommy. Sotto le impronte qualcuno aveva attaccato un biglietto scritto con la macchina da scrivere: io so.
Tommy si era defilato in camera dopo aver dato il bacio della buonanotte a Charlie, che avrebbe dormito a casa di Ada e Karl. Trangugiò una bottiglia intera di whiskey, fumò tre pacchetti di sigarette, e si accasciò in un angolo. Tastò nel cassetto in cerca della pipa e dell’oppio, ma non ne fece usò. La parete opposta, quella a cui era appeso un quadretto, sembrava restringersi. Il rumore delle pale che cozzano riempivano la stanza.
Tommy spalancò gli occhi boccheggiando. Si era addormentato e gli incubi avevano invaso i suoi sogni. Non erano le pale a cozzare, bensì qualcuno che bussava alla porta. La casa era immersa nel buio, Michael e Arthur erano tornati a casa, così come Ada, e Finn russava sul divano ancora vestito. Polly stava dietro la porta con la pistola sguainata.
“Che succede, Pol?”
“Non lo so. Un tizio ha lasciato qualcosa fuori.”
Aperta la porta, ai piedi di Tommy si presentò una busta bianca. Rovistò all’interno e ne estrasse un reggiseno bianco ricamato. Sulle coppe c’erano due impronte di mani insanguinate. Al gancio dell’indumento era attaccato un biglietto scritto con la macchina da scrivere: io so. Polly si sporse oltre la spalla del nipote e aggrottò le sopracciglia.
“Tommy, di chi è questo reggiseno?”
“E’ di Amabel.”
“Ne sei sicuro?”
“E’ il suo.”
“E il sangue di chi è?”
Tommy ignorò la zia, si precipitò in cucina e compose il numero di casa Hamilton.
“Pronto?”
Emise un sospiro sollevato nell’udire la voce di Amabel.
“Dimmi che stai bene.”
“Presumo che anche tu abbia ricevuto quel macabro regalo. Comunque, io sto bene. Di chi è quel sangue?”
“Penso che sia sangue animale. Scommetto che è stato l’ispettore a farci questo regalo del cazzo. E’ un avvertimento, lui sa che cosa abbiamo fatto.”
“Ci stanerà come fossimo topi di fogna.” Disse Amabel, e Tommy annuì anche se lei non poteva vederlo.
“Ascolta, domani sera incontriamoci al solito posto per una riunione di famiglia. Dobbiamo escogitare un piano per coprire le nostre tracce.”
“D’accordo. A domani, Tommy.”
“A domani, Amabel.”
Salve a tutti!
Beh, questo ispettore ha appena messo una grossa quantità di sale su ferite ancora fresche.
Fatemi sapere cosa ne pensate.
Alla prossima.
Un bacio.
*John Adrian è un gangster realmente esistito; a capo dei Cheapside Sloggers, operava a Birmingham negli stessi anni dei Peaky Blinders.
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Red right hand 2 || Tommy Shelby
FanfictionErnest Hemingway ha scritto «l'uomo non è fatto per la sconfitta. Un uomo può essere distrutto ma non sconfitto». Thomas Shelby e Amabel Hamilton sono stati distrutti dalla guerra, da Birmingham, dalle loro stesse menti. L'unico barlume di speranza...