8. IL NOBIL GIUOCO (PT.I)
“The boy I love is up in the gallery,
the boy I love is looking now at me,
there he is, can’t you see, waving his handkerchief
as merry as a robin that sings on a tree […].”
(The boy I love is up in the gallery, Nelly Power)
Una settimana dopo
Ada pettinò i capelli di Amabel e li appuntò sulla nuca con un fermaglio, era brava a sciogliere i nodi senza arrecare troppo dolore. Amabel era stata dimessa quella mattina, poteva lasciare la clinica in quanto si sarebbe potuta prendere cura di se stessa a casa.
“Grazie, Ada. Con questi polsi malconci non posso fare niente per almeno un mese.”
“E’ un piacere aiutare un’amica. Vieni, ti abbottono il cappotto.”
Quando uscirono dal bagno, Amabel sorrise nel vedere Tommy entrare.
“Che ci fai qui?”
Tommy le baciò la guancia e le mise un braccio intorno alle spalle.
“Sono venuto a prenderti. Dobbiamo parlare di una cosa.”
“C’è sempre qualcosa che bolle in pentola nella famiglia Shelby. Il mondo va costantemente a fuoco.” Disse Ada, che stava chiudendo la valigia dell’amica. Amabel si sedette, era ancora debilitata, e bevve un sorso d’acqua.
“Di cosa dobbiamo parlare? Ti ho raccontato quello che è successo alla centrale.”
“Io vado. – disse Ada – Ci sentiamo più tardi. Buon ritorno a casa, Amabel.”
Le due amiche si abbracciarono, dopodiché Ada si chiuse la porta alle spalle. Tommy si sedette di fronte ad Amabel e le mise le mani sulle spalle, un modo per rassicurarla.
“Non devi avere paura di niente, Bel. Io sono qui con te.”
“Lascia perdere le belle parole. Di cosa dobbiamo parlare?”
“Ho un piano per liberarci di Campbell. In realtà l’ho già messo in atto una settimana fa, ma per completarlo ho bisogno della tua collaborazione.”
Amabel si rabbuiò, ogni volta che si parlava di collaborare con i Peaky Blinders finiva nei guai con la legge.
“Deciderò solo dopo aver saputo i dettagli del piano.”
“Per ora non devi conoscere il piano. Ti serve solo sapere che non tornerai a casa, bensì ti porterò fuori città in una delle mie proprietà.”
“Perché?”
“Perché Campbell ti spia da mesi, segue ogni tua mossa. Se torni a casa, farà piantonare casa tua in attesa di un tuo errore. Non sei al sicuro dopo l’arresto. Io devo proteggerti ad ogni costo.”
“Campbell si insospettirà se ce ne andiamo. Oppure hai pensato anche a questa eventualità?”
Amabel sbuffò quando Tommy annuì. Doveva aspettarselo da uno stratega come lui che avesse la soluzione al problema.
“Ho assunto due persone che somigliano a noi due per illudere l’ispettore che siamo a Birmingham. La ragazza che finge di essere te non uscirà di casa perché tu sei in convalescenza e devi restare a letto per circa un mese.”
“Odio il modo in cui curi i particolari.” Disse lei, e Tommy fece spallucce.
“Sono sempre un passo avanti agli altri. Inoltre, Campbell sarà distratto da una donna mentre noi saremo via.”
“Chi è la poverina?”
Tommy deglutì, era arrivato il momento di confessare il suo segreto anche ad Amabel.
“E’ Lena.”
Amabel sgranò gli occhi e gli diede un pugno sul braccio.
“Tu, Thomas Shelby, hai molte cose da confessarmi!”
“Ti dirò tutto mentre siamo in viaggio. Dobbiamo andarcene prima che Campbell possa capire lo scambio di persone.”
“Andiamo.”
“E che cosa, dopotutto, è la morte? E’ solo una cessazione dalla vita mortale. E’ solo la fine di un corso stabilito. La locanda ristoratrice dopo un viaggio faticoso. La fine di una vita di preoccupazioni e problemi. E, se felice, l’inizio di una vita di felicità immortale.”
Erano le parole che Diana stava leggendo a Finn mentre stavano sdraiati sul letto, l’uno nelle braccia dell’altro. Pioveva a dirotto, il cielo era grigio, e le coperte erano un rifugio invitante. Era il loro ultimo giorno insieme e volevano approfittare di ogni momento.
“Che libro è?” domandò Finn, affondando il naso nel collo della ragazza.
“Si intitola ‘Clarissa’, scritto da Samuel Richardson. E’ la tragica storia di una eroina che lotta per conservare la propria libertà, ma il desiderio di possesso di un uomo la costringe ad uccidersi. E’ uno dei libri preferiti di Amabel. Lo leggeva a me e ad Evelyn quando eravamo bambine, voleva che prendessimo esempio dal coraggio di Clarissa. La lotta per le donne è fondamentale.”
“Clarissa era proprio una tipa tosta.”
Diana scoppiò a ridere e depose il libro sul comodino, poi si girò verso di lui e gli pizzicò il naso.
“Finn, tu sei davvero adorabile. Dai, scegli un libro e leggi qualcosa.”
Finn spulciò la libreria piena di libri di ogni genere, sbirciò le copertine, e infine scelse un libro dalla copertina azzurra decorata dal disegno di una nave, era ‘La ballata del vecchio marinaio’ di Samuel Taylor Coleridge . C’era un pezzo di stoffa blu incastrata tra le pagine, e Finn lesse quel passo.
“E una sorgente d’amore scaturì dal mio cuore, e istint … istan …”
“Istintivamente.” Lo aiutò Diana.
“Istintivamente. – ripeté lui – li benedissi. Certo il mio buon Santo ebbe allora pietà di me, e io inconsciamente li benedissi.”
Finn arrossì quando Diana batté le mani per complimentarsi riguardo alla lettura.
“Bravissimo! Hai fatto dei grandi progressi nella lettura anche senza di me.”
“Grazie. Ma che significa?”
La ragazza lo invitò a tornare a letto e si accoccolò sul suo petto, intrecciando le loro dita.
“In questa parte si fa riferimento alla maledizione della Vita-in- Morte che costringe il marinaio a una settimana di sofferenza e solitudine. Le parole che hai letto riguardano il momento in cui il marinaio, dopo i sette giorni, resta ammaliato dalla vista dei serpenti marini e prega. Dio si impietosisce e interrompe la maledizioni, liberandolo dalla sofferenza.”
“Tu conosci tutti questi libri?”
“Mio padre e Amabel ci leggevano tantissimi libri, anche due al giorno. Secondo loro leggere e conoscere sono due armi potenti.” Spiegò Diana, e Finn le sistemò una treccia sul cuscino.
“Le nostre famiglie sono diverse. Per i miei fratelli contano solo armi vere con cui ferire la gente.”
“Siamo un po’ come Romero e Giulietta!”
Finn non capiva perché Diana ridacchiasse, non aveva senso quello che diceva.
“Io non li conosco Romeo e Giulietta. Vengono a scuola con te?”
Diana smise di ridere e si fece scura in viso, così si alzò e prese un altro libro. Mostrò a Finn la copertina che raffigurava un ragazzo sotto un balcone che tendeva la mano ad una ragazza.
“Sono loro Romeo e Giulietta, i personaggi di una tragedia di William Shakespeare. Amabel dice che è una storia scontata e banale ma a me piace molto.”
“Perché ti piace tanto?” domandò Finn mettendosi seduto. Diana era talmente bella mentre parlava di libri che tutta la sua attenzione era focalizzata su di lei.
“E’ la storia di due famiglie di Verona contrapposte, i Montecchi e i Capuleti, e che si odiano da sempre. La situazione peggiora quando Romeo dei Montecchi e Giulietta dei Capuleti si innamorano, inasprendo così i conflitti fra le due famiglie. Giulietta è obbligata a sposare un altro uomo ma il suo amore per Romeo è troppo forte, perciò beve una pozione che la farà sembrare morta per due giorni, il tempo necessario per sfuggire al matrimonio combinato. Romeo, venendo a sapere che la sua amata è morta, accorre da lei e si uccide per disperazione. Poco dopo, però, Giulietta si sveglia e vede che il suo amore è morto. Decide di trafiggersi col pugnale di Romeo per unirsi con lui in eterno. Nella morte nessuno li separerà e il loro amore vivrà in eterno.”
Fin rimase senza parole, la bocca dischiusa in un chiaro atto di sorpresa. Non aveva mai sentito una storia del genere, di solito a Small Heath si raccontavano avventure di guerra e bordelli, ma quella era una novità.
“Che cosa triste. Loro volevano solo amarsi, non facevano del male a nessuno.”
“L’amore vero richiede sempre un sacrificio, Finn.”
“Sì, ma che schifo!” commentò il ragazzo, le sopracciglia corrugate. Diana aprì il libro al secondo atto, scena seconda, quando a parlare è Romeo.
“Con le ali dell’amore ho volato oltre le mura, perché non si possono mettere limiti all’amore e ciò che amor vuole amore osa.”
“Io sono innamorato di te, Diana.”
Finn si tappò la bocca l’attimo dopo, sebbene fosse troppo tardi per rimangiarsi le parole. Diana fece cadere il libro per terra, scioccata da quella confessione. Non era affatto preparata.
Evelyn le aveva consigliato di sbattere le ciglia in questi momenti, mentre Amabel le aveva sempre suggerito di rispondere con sincerità senza stupidi indugi.
“Anche io. Cioè, sì, ehm ….”
Finn la prese per i fianchi e la baciò con una tale intensità che gli tremò il cuore.
“Volevo dire che anche io sono innamorata di te.” mormorò Diana con un sorriso.
Amabel non capiva per quale motivo fosse finita a Bakewell nella contea del Derbyshire, noto per l’omonima torta. Era un paesino caratteristico risalente al XII secolo, immerso nel verde e lambito da uno splendido fiume. Tommy aveva affittato uno dei cottage che dava sul fiume, dotato di due sole stanze e isolato dagli altri.
“Perché siamo qui? E’ uno dei paesini più sperduti d’Inghilterra.”
“Appunto. – disse Tommy – Dobbiamo restate lontani da Birmingham il più possibile.”
“Io ancora non capisco quale possa essere il tuo piano. Dovremo restare qui per un mese? Nel frattempo Campbell avrà raccolto altre prove contro di noi.” Disse Amabel massaggiandosi il polso dolorante. Tommy parcheggiò di fianco al cottage, spense il motore ma non si mosse.
“Bel, devi capire che la tua salute è più importante di qualsiasi cosa. Ti sei buttata giù dalle scale, direi che un mese di riposo te lo sei meritato.”
“Parlate di questa cosa come se fossi diventata matta all’improvviso! Mi sono buttata giù dalle scale perché avevo paura.”
Tommy rimase interdetto da quell’ammissione perché lei non sembrava avere paura di niente. Le prese dolcemente le mani e le passò i pollici sui polsi bendati.
“Di cosa avevi paura?”
“Che Campbell facesse quello che suo zio ha fatto a Polly. Andiamo, Tommy, sono una donna e gli uomini costituiscono una minaccia per me. Campbell era talmente furioso che temevo mi avrebbe … aggredita sessualmente. Nessuno crede ad una donna che accusa un poliziotto di violenza.”
Amabel aveva gli occhi umidi, una lacrima scivolò sulla guancia e Tommy la raccolse.
“Lui ti ha fatto qualcosa? Ti ha toccato in qualche modo?”
“No! Non è successo. Mi sono buttata proprio per evitare che lui mi facesse del male. Mi ha solo picchiato.”
“E ha commesso un grave errore. Io gli farò pagare caro ogni fottuto dito che ti ha messo addosso!”
Amabel accennò un sorriso, era stanca di minacce e violenza. Voleva solo un po’ di pace.
“Lo so. Adesso entriamo, ho bisogno di stendermi.”
Tommy aprì la porta, prese i bagagli e poi aiutò Amabel a mettersi a letto. Il piano era appena stato innescato.
Isaiah salutò Linda e tornò sulla strada per il Garrison. Erano le dieci di sera e Arthur era già ubriaco marcio, perciò lo aveva accompagnato a casa per evitare eventi spiacevoli. Quando entrò nel locale, notò subito che Oliver era in compagnia di Lizzie e Ada. Dopo lo screzio in clinica della settimana prima non si erano più visti, e sentirlo ridere era una delle cose migliori che gli erano capitate in quei giorni. Finn era a Londra e Michael era indaffarato con John Adrian, pertanto il massimo divertimento di Isaiah era fare da balia ad Arthur.
“Ehi, Isaiah! Ti offro da bere!” disse una ragazza, Sarah, che lavorava come filatrice nel quartiere. Isaiah accettò il boccale di birra e lo tracannò in poche sorsate, un modo per non guardare l’oggetto del suo desiderio.
“Americano, cantaci una delle tue canzoni!” strillò la cameriera che girava tra i tavoli come una trottola. Oliver scosse la testa, il viso rosso per l’imbarazzo, mentre Lizzie e Ada lo spingevano verso il pianoforte. Isaiah sollevò lo sguardo su Oliver e gli sorrise, ma il dottore non ricambiò. Prese posto sullo sgabello, stiracchiò le dita e poi incominciò a suonare.
“Young man fair, young man free …”
La canzone si interruppe a causa di un’esplosione di vetri. Due uomini avevano rotto i loro boccali disseminando birra dappertutto. Uno di loro mise una mano sulla spalla di Oliver esercitando un’eccessiva pressione.
“Allora, dottore, è vero che sei una checca?”
Ada lanciò un’occhiata ad Isaiah, l’unico dei Peaky Blinders presente quella sera, ma il ragazzo era pietrificato. Oliver era sotto la protezione degli Shelby, ma temeva che qualcuno li avesse scoperti e preferiva tenersi lontano dai guai.
“Signori, per favore, non è il momento.” Disse Oliver mantenendo un tono gentile. L’uomo, ubriaco marcio, gli sferrò un pugno che lo fece cadere dallo sgabello. L’altro gli tirò un calcio allo stomaco. Erano Dave e Darren Miller, ex tirapiedi di Sabini.
“Smettetela! – si intromise Ada – Questo pub appartiene ai Peaky Blinders. Voi non siete i benvenuti.”
“Uh, che paura!” scherzò Dave. Fu allora che Isaiah, che temeva di più l’ira di Tommy, si fece avanti.
“Su, stronzi, uscite dal pub. Non vi conviene mettervi contro i Peaky Blinders.”
“E dov’è mister Shelby stasera? Si starà scopando la sua bella dottoressa in qualche fottuto buco del vostro quartiere schifoso!” disse Darren, e diede un altro calcio ad Oliver. Il dottore stava a terra agonizzante, il naso spaccato e le mani sullo stomaco. Ada e Lizzie tentarono di soccorrerlo ma Dave tagliò loro la strada, bloccandole al tavolo. Isaiah tirò fuori la pistola e la puntò alla nuca di Darren.
“Se non lasciate il pub entro dieci secondi, ti buco questa fottuta testa con un proiettile.”
“Colpisci alle spalle, ragazzino? Evidentemente ti piace prendere le persone da dietro, come nel caso del tuo amichetto.”
“Che cazzo hai detto?” domandò Isaiah caricando l’arma. Darren scoppiò a ridere, la puzza di birra lo seguiva come un mantello.
“Lo sanno tutti che ti fai fottere da questa checca. Tuo padre deve essere deluso di avere un figlio mezzo uomo.”
“Questa checca, come la chiami tu, è più uomo di te e di tutti quegli stronzi che si definiscono uomini!” strillò Ada portandosi le mani sui fianchi. Impettita e irriverente, erano queste le caratteristiche che zia Polly aveva sempre riconosciuto in sua nipote. Dave fece un passo verso di lei con un sorriso squallido.
“Tu sei la troietta dei comunisti, vero? In giro si dice che fai le orge con tutto il partito.”
“Sarà che i comunisti sono più bravi di te a letto!” replicò Ada.
“Adesso basta. – riprese Isaiah – Andatevene. Subito.”
Darren si girò e fece spallucce, sembrava poco più sobrio di prima.
“Dì a Tommy Shelby e alla sua puttanella che il nostro amico ai piani alti sa che cosa hanno fatto.”
“Ciao, signorine.” Disse Dave salutando Ada e Lizzie con la mano.
I due uomini lasciarono il Garrison svanendo del buio di Small Heath.
Erano le otto di sera quando Amabel decise che un bagno caldo sarebbe stato un buon modo per sciogliere i muscoli indolenziti. Aveva trascorso il pomeriggio a leggere, mentre Tommy aveva confabulato al telefono con Polly e Arthur, e poi aveva ammirato alcune barche di pescatori slittare sulla superficie del fiume. Si affacciò in cucina e vide Tommy che leggeva il giornale, il suo volto era appena illuminato da una fiammella. La corrente non era collegata, perciò il cottage era pieno di candele sistemate a destra e a sinistra per rischiarare gli ambienti.
“Perché non indossi gli occhiali? Il tuo occhio continuo ad avere lo spasmo, a breve la tua vista peggiorerà.”
“Allora mi consolerò con il whiskey.” Rispose Tommy senza alzare lo sguardo. Era irritante il modo in cui non venisse mai colto di sorpresa, sapeva sempre come si muovevano gli altri.
“Sei davvero cocciuto, Shelby.”
“Lo so. Ti serve qualcosa?”
“Sì. Ho voglia di un bagno caldo ma con i polsi rotti non riesco ad aprire la manopola della vasca. Inoltre, dovresti anche aiutarmi a spogliarmi.”
Tommy richiuse il giornale e la guardò con le sopracciglia inarcate.
“Finalmente una richiesta ragionevole.”
“Non in quel senso! Per la miseria!”
Amabel arricciò il naso quando Tommy si mise ridere, a volte sapeva essere davvero infantile.
“Ti aiuto in tutti i sensi che vuoi. Vieni, dai.”
Dieci minuti dopo il vapore aveva inondato il bagno, la vasca era circondata da candele e sul lavandino pendeva un asciugamano. Amabel aveva raccattato i propri oggetti – sapone, spazzola e pigiama – mentre Tommy l’aspettava in bagno.
“Sono pronta. Fa attenzione ai cerotti e alle costole, per favore.”
“Tranquilla, non ti farò male. Promesso.”
Amabel odiava trovarsi nei panni del paziente dopo che per anni aveva sempre vestito i panni del medico. Odiava che qualcuno si prendesse cura di lei come se non ne fosse più capace.
Tommy aveva visto centinai di ferite, tagli e fori di proiettili senza battere ciglio, eppure la vista del corpo martoriato di Amabel era difficile da digerire. Le sbottonò il cardigan con attenzione, i lividi sulle braccia erano come macchie di colore su una tela, ma non erano affatto artistici. Quando le tolse la canottiera, notò le costole poco sporgenti e altri lividi e graffi.
“Oh, Bel …” sussurrò con voce affranta, quasi provasse lui stesso quel dolore. Amabel scosse la testa e sorrise, basta pensieri tristi.
“Ehi, sto bene. Sono solo un po’ ammaccata.”
La donna rabbrividì quando Tommy sfiorò un livido sulla pancia con la punta delle dita.
“Scusa.”
“No, non ti preoccupare. Presto spariranno e tornerò a sembrare una persona normale.”
Tommy le abbassò la zip della gonna e fece ruzzolare a terra l’indumento, e ai suoi occhi si presentarono altri lividi rossi e violacei e un lungo taglio sulla coscia destra. Amabel sgranò gli occhi nel vedere Tommy inginocchiarsi, poi trattene il respiro quando lui le baciò i lividi sulle cosce.
“Ahia.” Disse lei, e Tommy si staccò immediatamente.
“Tu non meriti tutto questo.”
“E’ successo ed è passato. Non è colpa tua, Thomas. Siamo in questo guaio insieme. L’acqua si sta raffreddando.” Disse lei ridacchiando. Tommy terminò di spogliarla in fretta, cercando di tenere gli occhi puntati sul viso della donna, e l’aiutò ad entrare nella vasca. Amabel sospirò di sollievo quando il calore dell’acqua le percorse il corpo dolorante. Tenne i polsi sui bordi della vasca per non bagnare le fasciature.
“Tommy, potresti lavarmi i capelli? Se non ti dispiace.”
“Lo faccio con piacere.” Rispose lui, e riempì un piccolo recipiente di latta per bagnarle i capelli. Si versò un poco di shampoo sui palmi e iniziò a insaponarle i capelli. Era decisamente maldestro, ma faceva del suo meglio.
“Hai mai pensato di abbandonare gli affari illegali e diventare parrucchiere? Sei piuttosto bravo.” Disse Amabel con un sorriso divertito. Tommy le risciacquò i capelli un paio di volte per essere sicuro che lo shampoo fosse stato rimosso del tutto.
“Quando e se deciderò di abbandonare i Peaky Blinders, potrei seguire il tuo consiglio.”
Tommy si sedette per terra accanto alla vasca e si mise a sfiorare la superficie dell’acqua osservandone le increspature. Al di sotto il corpo nudo di Amabel era coperto da un velo di schiuma.
“Qual è il piano?” chiese Amabel, e si sporse di poco oltre il bordo per farsi più vicino. Tommy ne approfittò per darle un bacio a stampo sulle labbra.
“Hai presente il gioco degli scacchi?”
“Sì. I ricconi dell’alta società giocano tutti a scacchi E’ chiamato anche ‘il nobil giuoco’.”
Amabel ridacchiò quando Tommy le diede un secondo bacio.
“E’ quello il mio piano: adattare le regole degli scacchi al nostro gioco. Il pezzo più importante, sia negli scacchi sia nel nostro caso, è la regina. La strategia di Campbell è identica a quella di suo zio, entrambi hanno sempre puntato sulla regina. Grace, Polly, tu, siete le regine del gioco. Campbell e lo zio hanno fatto scacco matto ogni volta che la regina era da sola, quando gli altri pezzi non potevano difenderla. Grace era smarrita quando ha accettato il lavoro sotto copertura; Polly era disperata quando ha dovuto trovare un modo per far uscire Michael di prigione; e tu eri sola quando io ero alle corse. Loro isolano la regina dal resto perché sanno di poter vincere. Il problema è che la regina in poche mosse elimina gli avversari e fa scacco matto, ed è su questo fattore che si basa la mia strategia.”
Amabel era affascinata dal ragionamento di Tommy, arguto e accattivante, studiato nei minimi dettagli.
“E come pensi di sfruttare la regina?”
“Non è ancora il momento per muovere la regina. Per ora mi limito a spostare le altre pedine in modo da fare scacco matto quando il gioco sarà quasi giunto alla fine.”
Tommy le accarezzò la clavicola scoperta. Amabel, però, si ritrasse.
“Perché non hai ucciso Lena? Hai lasciato Charlie per vendicarti.”
“Perché lei era solo un’altra vittima di Noah. Quello stronzo aveva lasciato scritto nel testamento di uccidere mia moglie nel caso in cui lui fosse morto. Avrebbero dovuto uccidere te, ma hanno pensato che Grace fosse mia moglie perché avevamo avuto un figlio. Ho portato Lena con me di nascosto perché sapeva che prima o poi mi sarebbe tornata utile. Infatti, è lei la prima pedina che ho mosso per distrarre Campbell.”
“Oh, fantastico, anche gli svizzeri mi volevano morta!” esclamò Amabel, allibita. Tommy si accese una sigaretta e reclinò la testa sul bordo della vasca.
“Non importa più. Restiamo concentrati sui nostri attuali problemi.”
“Va bene. Allora, come intendi usarmi nel tuo piano?”
“Ne parleremo più avanti quando ti sarai ripresa. Hai bisogno di riposare ancora un po’.”
Trascorsero i venti minuti successivi in silenzio, lui a fumare e lei a mollo nell’acqua. Le preoccupazioni appesantivano l’atmosfera, sembrava che il pericolo potesse balzare fuori da qualsiasi angolo della casa e attaccarli quando meno se lo aspettavano.
“Puoi chiudere gli occhi, per favore?”
Tommy inarcò il sopracciglio, a stento tratteneva un ghigno.
“Sul serio? Ho visto il tuo corpo nudo troppe volte perché tu possa vergognarti adesso.”
“Chiudi quegli occhi prima che te li cavi dal cranio, Shelby!” lo rimproverò lei. Tommy sollevò l’asciugamano e chiuse gli occhi, poi lo avvolse intorno al corpo della donna.
“Ho il permesso di guardarti o devo fare una richiesta scritta?”
“Puoi guardare.”
Amabel d’improvviso si ritrovò davanti allo specchio intrappolata tra le braccia di Tommy. Il riflesso rimandava l’immagine di una coppia come tante altre, eppure tra di loro serpeggiava il veleno di Birmingham. Tommy le baciò il collo un paio di volte facendola sorridere.
“Hai bisogno di altro?”
“Dovresti pettinarmi i capelli e aiutarmi a vestirmi.”
“Agli ordini, mia signora.”
“Thomas …” disse lei in tono pentito, lo sguardo fisso sulle mattonelle.
“Non mi dispiace aiutarti. Ogni tanto anche tu meriti che qualcuno si prenda cura di te.”
“Grazie.”
Amabel si sedette sul letto e Tommy le pettinò le punte sciogliendo i nodi, era una bizzarra sensazione piacevole. Lui non era il tipo che si dava a gesti affettivi di quel tipo, tendeva a vivere i sentimenti in modo freddo e calcolatore, ma Amabel gli suscitava un’insolita dolcezza che non aveva mai conosciuto prima. Tommy depose il pettine nella custodia, qualcosa aveva spezzato quel clima sereno. La schiena di Amabel era cosparsa di lividi, piccoli e grandi, violacei e verdognoli; era una vista che gli faceva venire il voltastomaco.
“Dimmi che c’è qualcosa che posso fare per te.”
Amabel si voltò con espressione confusa, il rapido cambiamento di Tommy era preoccupante.
“Di che parli?”
Tommy le toccò le spalle come se si trattasse di un vaso prezioso in procinto di frantumarsi.
“Devo fare qualcosa per alleviare il tuo dolore, oppure impazzisco.”
“Thomas, basta. Io sto bene. Sono soltanto lividi, è una normale condizione medica.”
“Non stai bene! Hai entrambi i polsi spezzati perché ti sei tolta delle fottute manette! Cazzo, Bel, sei ricoperta di ematomi! Non è normale!” sbraitò Tommy, dando sfogo alle sue ansie.
“Lo so che non sto bene! Però piangermi addosso non è un’opzione contemplata!”
Tommy scaraventò una candela contro la parete, e la fiammella si estinse in un baleno.
“Thomas!”
Tommy la ignorò e uscì dalla stanza, doveva stare da solo per scaricare la rabbia.
Amabel inciampò in uno dei rami che costellavano il giardino del cottage. Imprecò a bassa voce e scacciò il legnetto col piede. La lanterna che reggeva precariamente con i gomiti illuminava il tragitto di ciottoli dal cottage all riva del fiume. Tommy stava seduto su una barca attraccata ad un ceppo, fumava e sorseggiava whiskey direttamente dalla bottiglia.
“Hai intenzione di deprimerti per tutto il tempo? La malata tra i due sono io.”
Tommy alzò gli occhi su di lei e scosse la testa, quella donna alle volte lo irritava. Agguantò la lanterna prima che cadesse e la poggiò sul fondo della barca, poi con un cenno del capo la invitò a sedersi. Amabel, che si era caricata in spalla una coperta, se la sistemò intorno alle spalle per ripararsi dalla fredda brezza di ottobre.
“Vuoi sapere perché io e Warren ci siamo lasciati?”
Tommy smise di fumare, quell’argomento era un’esca a cui lui voleva abboccare da tempo. Amabel era sempre stata riservata al riguardo, quasi volesse dimenticarsi dell’esistenza di Warren, e parlarne era un grande segno di fiducia.
“Sì.”
“Quando la guerra è finita, il mio team era stato mandato a New York per una valutazione fisica e psicologica. Ed è stato allora che ho conosciuto Warren e Oliver. Ho deciso di restare a New York per specializzarmi in pediatria, ho diviso l’appartamento con Oliver e ho iniziato ad uscire con Warren. Dopo un anno di frequentazione mi ha chiesto di sposarlo e io ho accettato, in fondo stavamo bene insieme e New York mi piaceva. Durante i preparativi del matrimonio, mentre provavo l’abito in un atelier, sono svenuta. E’ stato allora che ho scoperto di essere incinta. Ero al secondo mese di gravidanza. Certo, le mestruazioni si erano interrotte ma davo la colpa al trauma causato dalla guerra, invece mi sbagliato. Io e Warren abbiamo affrettato i preparativi perché volevamo sposarci prima che il bambino nascesse. Era domenica mattina quando un forte dolore addominale mi ha provocato una emorragia. Quando sono arrivata in ospedale, sono stata ricoverata d’urgenza. Era un aborto spontaneo. Dopo quattro mesi avevo perso il mio bambino. Sono stata male, così male da tentare il suicidio con un mix di pillole. Purtroppo ero ancora viva ma dentro di me ero morta, e Oliver mi ha consigliato una casa di cura psichiatrica. Ho lasciato Warren, ho annullato il matrimonio, ho mentito alle mie sorelle dicendo loro che avrei fatto un viaggio in Austria. Dopo un anno mi sono ristabilita, il mio corpo e la mia mente sono tornati in salute. Ho ripreso a lavorare, ho viaggiato per il mondo, ho assistito donne che avevano abortito. Ecco perché sono così ossessionata dal voler aiutare gli altri, soprattutto i bambini. Perdere il mio bambino mi ha fatto capire che nella vita potevo rendermi utile e sostenere chiunque fosse in difficoltà. I polsi rotti, i lividi, le minacce di Campbell sono nulla in confronto al dolore che ho vissuto quando ho perso mio figlio. Queste ferite non sono un valido motivo per lamentarsi. L’Inferno mi ha divorato e mi ha risputato su questa terra perché ho la forza per sopravvivere. Tu, come me, sei un sopravvissuto che ogni giorno lotta per se stesso e la propria famiglia. Mai arrendersi.”
“Bel …”
Tommy non sapeva che dire, era un racconto troppo tragico perché qualche stupida parola potesse consolarla. Amabel fece spallucce e rise, una risata amara.
“Quando Warren venne in ospedale dopo l’accaduto, mi disse che era colpa mia perché le mie ovaie sono putride. Oggi la cosa mi fa molto ridere.”
Tommy, invece, non rideva affatto.
“Potrai avere ancora figli?”
“Non lo so. I medici dicono di sì, ma Oliver è convinto che io sia frenata da un trauma emotivo. Io non ho più pensato alla possibilità di diventare madre perché credevo che dopo Warren non mi sarei più innamorata.”
“E’ cambiato qualcosa adesso?”
Amabel distolse lo sguardo lucido di lacrime, l’acqua del fiume strisciava sotto la luce come una pozza di catrame. Avrebbe voluto essere risucchiata.
“Ho conosciuto te e mi sono innamorata per la prima volta nella mia vita.”
Tommy le circondò il collo con la mano e la baciò, assaporando le sue labbra senza incidere sul taglio. Si baciarono piano, con amore, e un pizzico di paura.
“Sei forte, Bel.”
“Vorrei che fosse vero, ma sono ancora troppo fragile. Entriamo, fa freddo.”
Amabel odiava dormire supina, di solito dormiva sul fianco, e il soffitto ingiallito non era una bella visuale. Sbuffò per l’ennesima volta.
“Bel, smettila.”
“Non riesco a dormire in questa posizione!”
Tommy si passò le mani tra i capelli e si mise seduto per guardarla meglio. Sembrava una bambina con quel broncio che le piegava le labbra.
“Conta le pecorelle, magari ti addormenti.”
“Nah, le pecorelle sono passate di moda.”
Amabel scoppiò a ridere per l’occhiata torva che le lanciò Tommy.
“Charlie è più maturo di te, diamine.”
“Non ne ho dubbi. E’ colpa delle costole e dei polsi che non possono muovere. Su, Shelby, trova una soluzione!”
“Come vuoi.”
Amabel sobbalzò quando Tommy le sollevò la camicia da notte per curvarsi a baciarle le cosce.
“Thomas! Che stai facendo?!”
“Ti faccio rilassare per facilitarti il sonno.”
“E ti sembra questa la maniera?” disse lei, gli occhi spalancati, le gote arrossate.
“Sta zitta, Bel.”
Tommy spostava le labbra con cura, attento a non farle male, e baciava la pelle calda segnata da macchie scure mentre con le mani le stringeva appena i fianchi. Amabel voleva afferrare le lenzuola nei pugni ma non poteva per via dei polsi, perciò si fece sfuggire un gemito. Quella notte proseguì tra carezze di fuoco e baci famelici, fino a quando non si addormentarono l’uno nelle braccia dell’altro.
Salve a tutti!
Abbiamo scoperto il grande – e tragico – segreto di Amabel. E nel frattempo la loro strategia è stata messa in atto, ora non bisogna che attendere.
Fatemi sapere cosa ne pensate.
Alla prossima.
Un bacio.
STAI LEGGENDO
Red right hand 2 || Tommy Shelby
FanfictionErnest Hemingway ha scritto «l'uomo non è fatto per la sconfitta. Un uomo può essere distrutto ma non sconfitto». Thomas Shelby e Amabel Hamilton sono stati distrutti dalla guerra, da Birmingham, dalle loro stesse menti. L'unico barlume di speranza...