6. La fortuna è sempre con noi

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«Benvenuti ragazzi!»
Ci giriamo sconcertati verso l'ingresso, dove troviamo una strana donna che ci sorride sgargiante.
«Io sono Sonia, la vice-direttrice di questo magnifico posto!» allunga la sua piccola mano ricca di anelli colorati verso di me, che la stringo incerta, per poi fare lo stesso con mio fratello.
«Tu devi essere Dave? Tua madre continua a parlare di te, sempre!»
Lui si gira verso di me, alzando leggermente gli occhi al cielo.
«Ehm, si. Sono qui per sostituire il fisioterapista, in campo.»
«Comincerete domani, state tranquilli! Ora vi mostro la sede, venite!».
La signora si incammina all'interno dell'edificio, con i suoi abiti glitterati che mi stanno facendo venire mal di testa.
«Tua madre parla sempre di te, bla bla bla.» comincio a scimmiottarla, seguendola, rivolgendo uno sguardo a Dave.
«Invidia, Isa?» chiede, aggrottando le sopracciglia con un sorriso.
«Di te? Mai.»
«Certo, certo» e si avvia accelerando il passo, sorpassandomi, scuotendo leggermente il capo.
Dopo averlo raggiunto, veniamo accolti da una serie di segretarie che, con i loro occhialoni rosa, ci squadrano per poi tornare di nuovo a concentrarsi sul computer davanti a loro.
Continuamo a camminare, raggiungendo l'ascensore trasparente, che riecheggia al centro della sede.
«Il vostro ufficio sarà all'ultimo piano, come ha richiesto vostra madre.» mormora Sonia, guardando fuori dai spessi vetri.
«Un ufficio? Addirittura?» domando, arricciando il naso.
«Esatto. Lo condividerete, ma credo che servirà più a tuo fratello» risponde, e noto un ghigno di divertimento sul suo viso, che subito scompare.
La guardo, accigliata e confusa, per poi girarmi verso Dave.
«Capirai domani, stai tranquilla.»
Tranquilla?
Seriamente?
Veniamo interrotti dal campanello dell'ascensore, avvisandoci che siamo arrivati al 6º piano.
Seguiamo Sonia in silenzio, sotto gli occhi scrutatori dei dipendenti, finché non entriamo in una grande stanza colorata. È arredata in maniera molto moderna, con poltroncine di pelle azzurre e mobili di legno coordinati. Al centro risiedono due grandi scrivanie attaccate, con due grandi computer e svariati fogli anch'essi impilati in maniera ordinata. Al muro sono appesi diversi quadri con vari passaggi come soggetto, con delle sgargianti cornici di tutte le tonalità di blu possibile.
«Ehm, è ... tutto nostro?» domando, girando su me stessa e indicando la stanza.
«Certo. Potete riposarvi per oggi, domani inizierà il vero lavoro, preparatevi!» risponde, uscendo dalla stanza.
«Sono confuso anche io, non guardarmi cosi.»
«Certo, certo. Non mi fido, caro.», mormoro, sedendomi su una sedia vicino al tavolo.
Dave sta per dirmi qualcosa, ma la suoneria del suo telefono comincia a riecheggiare nell'aria.
«Pronto» socchiude gli occhi, per poi annuire distrattamente.
«Si. Certo, siamo pronti. Va bene, ciao.»
«Chi era?» domando, curiosa.
«Nessuno che ti interessi. Fatti dare un passaggio, devo andare.»
Senza nemmeno guardarmi se ne va, lasciandomi li, sola, a non saper cosa fare.
E ora come ci torno a casa?
•••

«Dai, muoviti! Muovi quei fianchi!»
Vaffanculo.
«Non dovrei nemmeno essere qui, cazzo!»
«Zitta e corri!»
Lasciatemi spiegare. Sono normale, giuro.
Dopo che Dave mi ha mollato li, sola, come se c'entrassi io con il suo umore da donna in menopausa, ho dovuto tirar fuori i mezzi pesanti.
Ho attivato i miei pochi neuroni, e sono andata in giro per tutti gli angoli dell'azienda a pregare qualcuno di darmi un passaggio in un posto che non fosse sperduto.
Il risultato?
Beh...
Al momento sono travestita da palla gigante, non pensate male, e sto cercando di essere una mascotte decente durante questa partita, o meglio dire guerra, di calcio.
Sto correndo, senza guardare dove sto andando, rivolgendo continuamente lo sguardo a ciò che accade dietro di me. Ed è forse per questo che non mi accorgo di essere in mezzo al campo, e di essere placcata senza ritegno da un giocatore.
«Ma che cazzo?!» la mia voce stridula è ovattata, il mio viso è schiacciato con il fresco e sporco prato.
Cerco di alzarmi invano, come se sentissi un peso che non mi lascia muovere, finché qualcuno mi prende per la vita con forza, e mi ritrovo davanti ad un ragazzo, con la tipica divisa calcistica.
«Cazzo, ti pare il modo! Toglimi le mani di dosso, stronzo.» alzo lo sguardo dal suo petto fino a vedere i suoi occhi, scuri, come se nascondessero qualcosa.
«Ooh, calma, furia. È tutta colpa tua, cazzo. Sei in mezzo al campo, e hai interrotto la partita, quindi vattene. Ora.»
Mi irrigidisco, e mi avvicino ancor di più al suo corpo, sicura di me, e continuo a guardarlo dritto negli occhi.
«Prima scusati.» dico, con naturalezza.
«Vaffanculo.»  mormora, con un ghigno in faccia.
Che vita di merda.

•••

Nulla, non sono ancora convinta di questo capitolo, sono consapevole che forse avrei potuto scrivere di questo incontro diversamente, ottenendo un miglior risultato. Ma boh, le mie dita hanno scritto da sole, senza bisogno dell'aiuto dei miei neuroni (lol).
Ditemi voi cosa ne pensate.
Baci❤️

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⏰ Ultimo aggiornamento: Aug 30, 2019 ⏰

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