"Oh, perdonami vita, ci deve essere stato un errore... E questa, solo questa può essere la più felice o la più amara delle tue giornate...!"
Gli applausi, ferventi, echeggiarono nella grande sala da pranzo, non appena Lord B. terminò di declamare alcuni frammenti del Romeo e Giulietta di William Shakespeare. Alcuni dei suoi ospiti, una decina in tutto, batterono il tavolo con il dorso dei coltelli, facendo sobbalzare le altre stoviglie, finché Percy (Shelley, ndA) non fece tintinnare il suo calice con il cucchiaino, attirando l'attenzione di tutti su di sé.
Mentre Lord B. tornava a sedersi, spiegando il tovagliolo nuovamente sulle ginocchia e apprestandosi a gustarsi il delizioso brasato di cinghiale con salsa di mirtilli che era stato appena servito, il poeta, suo amico, si alzò in piedi e condusse con sé sua moglie Mary a fare lo stesso.
"Vogliate scusare questo piccolo attimo di vanità e di gloria, ma sia io che Mary chiediamo a voi la cortesia di concedercelo," prese la mano della donna e con l'altra sollevò il calice, anticipando un brindisi "ci è appena giunta notizia, quest'oggi, che Frankenstein, il romanzo scritto dalla mia signora è in testa alla classifica dei libri più venduti in Inghilterra e in Europa degli ultimi due anni e non c'è ancora romanzo che riesca ad eguagliarlo, né a spodestare l'opera della mia dolce moglie." Sollevò il calice nuovamente e tutti gli astanti fecero il medesimo gesto. "E' in testa alle classifiche da ben un mese e mezzo e credo che rimarrà il capolavoro indiscusso per ancora molto tempo. A Mary!"
"A Mary!" Risposero tutti, all'unisono.
E il suono dei calici che si toccavano nel brindisi andò a riempire l'intera stanza.
Al che fu la donna a prendere la parola e dopo aver guardato ad uno ad uno tutti gli astanti, si soffermò su Lord B., che si trovava all'altro lato della lunga tavolata.
Accennò un sorriso e i suoi occhi, quando incontrarono quelli del padrone di casa, scintillarono di una luce enigmatica.
Sollevò anche lei a sua volta il calice nella sua direzione. Sorrise ancora.
"A George, senza il quale il mio romanzo non avrebbe mai visto la luce!"
Lord B. rispose al brindisi e, alzatosi in piedi, circuì il tavolo e raggiunse la scrittrice. Le prese una mano nella propria e, senza smettere di guardarla, l'avvicinò alle labbra, sfiorandola appena in un bacio gentile. Non ottenne altro se non che le guance di lei si tingessero di un rossore discreto.
"Le vostre parole mi lusingano, mia signora, e sono musica per le mie orecchie." Sorrise "Avete ragione, in effetti, se non vado errato, Frankenstein è stato da voi ideato la scorsa estate, quando eravate sempre qui nella mia casa..."
"Sì, Milord," soggiunse lei, visibilmente destabilizzata da quel contatto con il poeta che ancora stringeva la sua mano "ricordate? Era quella notte in cui pioveva terribilmente e il vento soffiava senza sosta. Fuori era buio e s'intravedevano le chiome degli alberi che, come spettri neri, si muovevano scomposti e irrispettosi..."
Lord B. abbozzò nuovamente un sorriso e, con il pollice, sfiorò la pelle nivea di lei.
"Avete proprio la poesia nel sangue, mia signora, è... meraviglioso sentirvi parlare..." mormorò accattivante "Ricordo bene quella notte, avevo lanciato una sfida! Ognuno di noi avrebbe dovuto scrivere un racconto, dell'orrore ovviamente, lasciandosi ispirare dalla bufera che imperversava, dal fatto che eravamo prigionieri in questa casa," ancora uno sfiorare della sua mano "spaventati dall'oscurità e dalle ombre, da ciò che non sapevamo cosa ci fosse fuori e se ci stesse osservando, e voi, Mary, avete creato una tale mirabile opera..."
"Pubblicata grazie alla fama del mio cognome, però!" Saltò su, d'improvviso, Shelley, evidentemente infastidito da quella comunicazione tra sua moglie e il suo amico che aveva un così di esplicitamente intimo.
"Suvvia Percy, non siate insolente!" Lo rimbrottò Lord B., congedandosi dalla donna con un piccolo inchino del capo "Siamo tra amici qui e non c'è bisogno che sottolineate quanto questo Paese sia ancora oggi così retrogrado da non consentire ad una donna, di grande intelletto peraltro, di potersi costruire, da sola e senza l'ausilio di un marito famoso, la strada per il successo!"
"Ora siete voi, l'insolente, mio caro George!" Ribatté quello, chiaramente punto sul vivo del suo orgoglio, ma non ottenne altro che un sorriso beffardo e compiaciuto dipingersi sulle labbra di Lord B. e Mary che continuava a guardarlo con ammirazione.
"Oh ma forse per uscire da questa incresciosa conversazione potremmo chiedere al nostro nuovo ospite che cosa ne pensa di tutto questo?!" Riprese il padrone di casa, rivolgendosi ora alla sua destra dove sedeva un Luke Ivory elegantemente vestito e drammaticamente a disagio.
Perché sì, Lord B., dopo il giorno della cavalcata e del bagno condiviso insieme sotto la cascata si era mantenuto distante da un ancor più recalcitrante stalliere e per giorni si erano semplicemente ignorati. Poi, probabilmente per uno dei suoi ennesimi vezzi o per la semplice ragione che aveva a che fare con il suo orgoglio ferito, aveva preteso che Luke presenziasse almeno all'ultima cena in cui c'erano i suoi ospiti, sedendo a tavola come uno di loro.
Ovviamente Ivory si era fortemente rifiutato, terrorizzato alla sola idea di ritrovarsi in mezzo a quegli intellettuali e non saper profferire parola, spaventato per l'umiliazione cui sarebbe dovuto andare incontro, disarmato in ogni sua decisione. Perché Lord B. lo aveva infine obbligato, senza dubbio per sedare la sua supponenza, pena il licenziamento in tronco.
Così lo stalliere quel giorno aveva terminato di lavorare poco dopo il mezzogiorno e aveva trascorso il resto del pomeriggio non nella sua abitazione, ma in una sontuosa stanza predisposta per lui nella tenuta e si era concesso un lungo bagno rigenerante e profumato, un massaggio da parte di due donne chiamate lì appositamente che avevano cosparso il suo corpo di olio di lavanda e si era infine vestito di tutto punto da sembrare, per quanto le sue fattezze lo tradissero, un giovane nobiluomo inglese.
Vide gli occhi di Lord B. indugiare su di lui, in attesa di una risposta alla sua domanda. Stava chiaramente godendo del suo rossore e del suo imbarazzo, il bastardo. Le dita del padrone di casa solleticavano distrattamente il collo del calice di cristallo, scivolando verso il basso e risalendo verso l'alto in un dolce sfregamento, moto perpetuo.
Anche gli sguardi di tutti gli altri presenti erano su di lui e sebbene sapessero chi fosse, perché durante quel mese lo avevano visto spesso passeggiare con i cavalli per il parco o impegnato nei lavori della stalla, restavano anch'essi in silenzio e in attesa, come se si fossero messi d'accordo con Lord B. di perpetrare nei suoi confronti una sadica tortura.
"Allora?" Riprese il poeta, attirando la sua attenzione. "Non volete proprio dirci niente in proposito, Luke Ivory?"
Gli dette volutamente del 'voi' e volutamente sottolineò il suo nome per intero, che, di nobiliare, non aveva assolutamente nulla.
Bastardo crudele!
Al che lo stalliere sollevò lo sguardo, tenuto basso fino a quel momento e gli lanciò un'occhiata sinistra, carica di amor proprio. Si pulì con fare calmo le labbra con il tovagliolo e lo poggiò sul tavolo accanto al suo piatto, in un gesto lento e privo di fretta. Sospirò, evidentemente impossibilitato a rifiutarsi ancora.
"Credo che, dopotutto, ognuno di noi dovrebbe essere libero di fare ciò che meglio crede," disse, iniziando vago, per poi rivolgersi a Mary "soprattutto se uno si sia meritato il successo che ha," si rivolse poi a Shelley "indipendentemente dalla fama altrui o dall'altrui status sociale," si strinse infine nelle spalle "Almeno così funziona nel mio Paese. Se lavori sodo ti meriti i frutti del tuo lavoro e della passione che ci metti. Se non lo fai, beh probabilmente il tuo successo non durerà a lungo."
Tutti gli astanti rimasero in silenzio per un lungo momento, fissando Luke come se fosse una creatura proveniente da un altro mondo.
Poi si udì il rumore di un applauso e tutti si voltarono in direzione di Lord B. che aveva preso ad applaudire a quel discorso con aria appagata e una luce, se possibile, ancor più provocatoria nello sguardo.
"Un perfetto, splendido, chiaro e semplice discorso da vero americano!" Esclamò il poeta, ammiccando "Ma evidentemente non ancora valido per la vecchia Inghilterra, qui non siamo così all'avanguardia come lo siete voi. Certo, siamo all'avanguardia per molte altre cose, noi abbiamo delle meravigliose città piene di cultura laddove voi, beh, avete ancora miglia e miglia di campi sterrati e praterie. Questo ovviamente influenza i nostri differenti modi di pensare."
"Probabilmente sì, Milord." Annuì con forzata cortesia, Ivory.
Ci stava provando ancora, Lord B. a farlo sentire a disagio, a farlo sentire in inferiorità tra i suoi amici, tentare di umiliarlo soltanto perché lui gli si era rifiutato o perché gli aveva parlato troppo schiettamente. Ma lo stalliere giurò a se stesso, in quel momento, mentre continuava a sostenere lo sguardo del poeta con accesa caparbietà, che non gliene avrebbe fatta passare una quella sera.
Se aveva accettato di partecipare a quella cena che altro non doveva essere che la manifestazione della sua alterigia e del suo desiderio di rivalsa, dopo che l'aveva mollato lì, accanto a quella cascata, beffandosi in qualche modo di lui, era solo perché non voleva, né poteva venir licenziato. Altrimenti avrebbe perso la possibilità di soggiornare in Europa e sarebbe dovuto tornare in America, cosa che, per i motivi che l'avevano spinto ad emigrare, era completamente fuori discussione.
"Comunque vi ringrazio, Luke, per la vostra sagace riflessione sui modi e i costumi della nostra Inghilterra," riprese, non ancora pago Lord B., iniziando ad innervosirsi, in quanto le cose sembravano non volgere come si era aspettato. I suoi occhi scintillarono ancora. "Del resto voi non vi definite un uomo rude e volgare nei modi, ma che sa parlare in maniera autentica e ancor più..." una luce baluginò nel suo sgaurdo "in grado di riconoscere ogni inutile orpello, ogni artifizio di linguaggio, in definitiva qualcuno che è incapace di mentire...?" Affondò, infine, riportando alla memoria di entrambi quelle ultime parole che Ivory gli aveva sbattuto in faccia poco prima di andarsene dal laghetto e che l'avevano fatto infuriare e bruciare al contempo di qualcosa di ben più indefinibile della rabbia stessa.
Guardò lo stalliere prendere il suo calice, impalmando la coppa interamente nella mano, come il più canonico uomo da taverna e ingollare un grande sorso di vino rosso. Poi, senza smettere di fissarlo, Luke si ripulì una goccia con la punta della lingua, asciugandosi gli angoli della sua bocca con le dita. Sorrise, sfacciato.
"Esattamente, Milord." Confermò, senza scomporsi "Avete descritto alla perfezione quello che sono e dal momento che so riconoscere qualcuno che è incapace di mentire, ora, dietro la vostra apparente cortesia, leggo pienamente il vostro disappunto nell'avermi ancora qui alla vostra tavola e in compagnia dei vostri ospiti, per cui, col vostro permesso..." scostò all'indietro la sedia e fece per alzarsi.
"Tu non vai da nessuna parte!" Lo bloccò Lord B. con un'occhiata e un tono perentorio quanto cupo nella voce che avrebbe inchiodato chiunque.
Tutti gli astanti si voltarono verso il poeta e lo guardarono con sommo stupore. Soltanto Shelley si portò una mano alla bocca e si soffocò la risatina di chi la sapeva lunga.
"Suvvia, George," sopraggiunse infatti "lascia in pace questo povero ragazzo. Liberalo della nostra presenza che lo mette in evidentemente a disagio – e come potrebbe essere altrimenti? - E lascialo tornare alla stalla o ai suoi alloggi senza dubbio più consoni ad uno come lui."
Luke lanciò all'altro scrittore un'occhiata torva, ma al contempo quasi lo ringraziò per aver dato il suo contributo a toglierlo da quella situazione imbarazzante, dalle grinfie di Lord B. e del suo gioco perverso.
Al che il poeta, dopo essere rimasto immobile seduto sul posto, preso in contropiede e incerto sul da farsi, si sollevò in piedi a sua volta e, aggirato il tavolo, raggiunse lo stalliere, fermandosi al suo cospetto. Lo guardò. A lungo. Intensamente. E in quegli occhi emerse, a differenza di poco prima, qualcosa di confuso, qualcosa di sfumato, una strana richiesta.
"E' vero, nella tua rudimentale schiettezza sei in grado di riconoscere molti comportamenti, molte maschere, molte menzogne e... quasi t'invidio per questo. Ma stavolta ti sbagli..." inclinò la testa da un lato, quasi per guardarlo meglio. I capelli corvini gli scivolarono morbidamente su una spalla. Aria indolente. Reale. "Con me, stavolta, ti sbagli. Non è affatto vero che io non gradisca la tua presenza qui."
Luke rispose con un lungo silenzio, gli occhi blu che si facevano ancora più profondi e si sospingevano, implacabili nelle iridi vibranti dell'altro.
"Vorrei che tu restassi, almeno... ancora un po'."
"Così potrete finire di prendervi gioco di me?" Commentò lo stalliere, con la voce incrinata da una sorta di strana delusione.
Lord B. si morse le labbra e per un istante abbassò gli occhi, poggiando una mano sul suo braccio, al solo scopo di trattenerlo lì. Ritornò su di lui, uno strano bisogno percettibile soltanto a lui si dipinse sul suo volto. Strinse un poco le dita, stropicciando l'elegante camicia di seta color rosso terra che Ivory indossava.
"Ti prego."
Uscì come un sussurro, quell'implorazione. Alle sue spalle gli sguardi degli astanti fissi su di loro, il disappunto di Mary Shelley nel vedere quel contatto che sapeva così di intimo, il sorrisetto compiaciuto e malizioso di Percy.
"Non lo farò. Non mi prenderò gioco di te." Aggiunse il poeta. Gli sfiorò appena il profilo del braccio, là dove pulsavano le evidenti venature dei suoi muscoli gonfi e sodi "E se ti sono nuovamente mancato di rispetto, giuro che stavolta riuscirò a farmi perdonare."
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The Dark Days of Lord B.
FanfictionInghilterra. 1811. In una calda e afosa estate di luglio, Lord George Gordon Byron, acclamato poeta inglese, popolare per il suo genio, eccessi e dissolutezze, conosce un giovane e umile uomo, lo stalliere Luke Ivory che, giorno dopo giorno, in una...