CAPITOLO I
La mente è un sistema perfetto di controllo e di comunicazione tra lo spirito, l'interiorità, l'essenza della persona stessa, e l'ambiente circostante. Una camera nascosta, il paradiso e l'inferno, la razionalità e il dubbio. È l'elemento di connubio fra l'"io" e la realtà tangibile, ma è anche il punto di separazione. La distinzione fra i due mondi è tanto sottile quanto rimarchevole e saliente. Restare nell'area giusta, ci consente di essere accettati, di non essere considerati malamente di essere fuori dal comune oppure fuori di zucca. Ma cosa succede se il confine si spezza o si confonde amalgamando tutto in un limbo buio, freddo e privo di uscite? La pazzia. Ecco cosa accade. Ma cos'è la pazzia infondo? Uno stato mentale? Un trauma? Una caratteristica? Una conseguenza? Un impulso o una reazione a qualcosa di terribile che risiede nei meandri più nascosti, nelle aree più intime di noi stessi? Un grido o una risata delle viscere della nostra anima?
- Come ti senti oggi, Alice?- Era la solita domanda che si sentiva ripetere ogni giorno, ormai da chissà quanto tempo. Alice Liddell, diciotto anni, pallida e capelli cortissimi, era seduta sulla sedia dallo schienale dritto e scomodo nello studio del Dottor Wright. Era un uomo dall'aspetto ordinario, rispettabile e dalla voce monotona. Ma era considerato il miglior psichiatra della città. L'ospedale Whitechapel non era una delle strutture più rinomate o decenti di Londra. Era un luogo oscuro e dimenticato, nonostante gli ettari di terreno che si estendevano immensi per chilometri, ricoperti di vegetazione fertile ed in fiore. Ma per un'orfana come Alice, andava più che bene. Infondo non era poi così indecente. Stiamo parlando di un manicomio, non di un hotel di lusso. E si sa, la vita scorre diversamente, viene scandita da ritmi regolari e controllati, benché questo sia un paradosso. Ma i medici sostengono che il tempo è la chiave, la condizione ottimale per ristabilire le facoltà utili dell'essere umano.
- Penso bene. Non ho avuto attacchi ultimamente.
- Che mi dici dei sogni? L'infermiera Chapman mi ha detto che parli ancora nel sonno. Stai prendendo correttamente le tue medicine?
- Sì.
- Penso di doverti prescrivere qualcosa di più forte. Il disturbo del sonno è un impedimento per la tua guarigione.
- Ma...Non dovremmo parlarne di questi sogni?
- Alice, ne abbiamo parlato così tante volte. Sono proiezioni confuse della tua mente. Immagini che il tuo cervello usa per mascherare la realtà. Te l'ho già spiegato. È solo e soltanto la realtà che conta.
Il Dottor Wright posò una mano sulla coscia di Alice che rabbrividì.
- E se fossero ricordi? Qualcosa che mi permetterebbe di ricomporre i pezzi del mio passato?
- A cosa servirebbe? Non si può ritornare al passato. Bisogna andare avanti. Il cambiamento è un obiettivo, la crescita è progresso. L'essere umano e l'ambiente in cui si trova si evolvono. Niente è mai come prima.
- Ma io chi sono?
- Tu sei Alice Liddell, una giovane donna che si affaccia all'età adulta. In questo momento stai già mettendo a posto molte cose dentro di te. Perché distruggere questo equilibrio già precario? Non sbarri più gli occhi, non sei assente. Rispondi alle mie domande così come ti vengono poste. Non ti basta? Credimi Alice, rivangare il passato non serve a nulla, se non a logorarci dentro. Prendi questi gocce. Ti serviranno.
Così Alice lasciò la stanza. Ancora medicine, ancora il limbo. Le medicine posso mettere a tacere il fisico, ma non la memoria. Essa continuerà a lottare, fino a quando ogni singolo frammento di ricordo non verrà a galla. Fino a quando noi non accetteremo di aver avuto un passato. Di qualsiasi natura si tratti.
La notte arrivò lenta, sempre uguale. Ma si potevano scorgere le stelle che brillavano nel cielo. La mezzaluna faceva capolino fra gli alberi, come se stesse giocando a nascondino. E se fosse stato il sorriso di qualcuno residente in un'altra dimensione? Che sciocchezza. Forse doveva smettere di pensare a queste cose così impossibili ed infantili. Sorrise, prese le gocce e andò a letto.
Fece sogni strani. Non era la prima volta. Chissà se quel dolore sarebbe tornato, se quella sensazione di disgusto e ansia si sarebbe impadronita di lei il mattino seguente. Poi, ad un certo punto sentì sussurrare il suo nome. Una voce familiare, qualcosa simile ad un ricordo. Si svegliò. Ma nella sua stanza non c'era nessuno, a parte un gatto nero. Aspetta! Un gatto? Che cosa ci faceva mai lì? Le finestre erano chiuse, e poi non erano ammessi animali nell'istituto. Fu molto buffo. La creatura la guardava incuriosita, con il musetto vivace rivolto verso di lei. Sembrava che stesse sorridendo. Alice si alzò dal letto. La porta era aperta. Qualcuno doveva essersi introdotto nella sua camera. Non poteva essere quel micio, giusto? Così piccolo com'era sembrava quasi impossibile. Il dottor Wright diceva che doveva smettere di pensare a cose tanto bizzarre alla sua età. Giocare ad immaginare era infondo il suo passatempo preferito. A volte si chiedeva se la sua sanità mentale non dipendesse da ciò, o se il semplice fatto di esistere nel mondo reale, non fosse un riflesso di quello surreale. Il gatto uscì correndo dalla porta. Alice doveva sbrigarsi se non voleva perderlo di vista! Chissà cosa sarebbe successo se lo avessero scoperto! Prese così a seguirlo. Lui la aspettava, ma non appena era troppo vicina, con un balzo scappava via. Alice pensò che fosse divertente, ma aveva paura di svegliare qualcuno. L'isolamento non era certo una bella esperienza. Con lei avevano adottato spesso questo genere di "cure". Ma forse ciò che più le mancava era un volto amico. Sta di fatto che quella notte, l'ospedale sembrava deserto. Nessun infermiere, nessun caporeparto in vista. Che stesse sognando? Il gattino la condusse fuori nel giardino. C'era un'aria fresca e deliziosa. I piedi nudi che correvano liberi sul prato. Poi il micetto si fermò.
- Finalmente!- Esclamò Alice divertita e con il respiro affannato per la corsa.
Ma ecco che la bestiola scomparve in un buco scavato in una quercia. La ragazza ci infilò la testa, è buio pesto ma può passarci tutto il corpo. Sembrava che non ci fosse un fondo chiuso dall'altra parte, che cosa bizzarra! Si affacciò curiosa, ma cadde giù, giù, sempre più in basso. Lentamente, come se stesse fluttuando, prese a volteggiare in uno scenario cangiante, con libri, quadri e opere d'arte. Era un pezzo che le sembrava di volteggiare in un mondo sottosopra, perciò si chiese a che latitudine e longitudine fosse. Rise e si sentì sciocca. La differenza non l'aveva mai compresa.
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Malice in Wonderland
Mystery / Thriller"Come ti senti, Alice?" Era la domanda che si sentiva porre ogni giorno. Il Dottor Wright era un uomo rispettabile, calmo, attento. Alice era la sua paziente da ormai tanto tempo. Non era neanche capace lei di ricordare gli albori di quella conoscen...