Capitolo 8

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Jungkook si sentiva uno schifo, la piccola stanza di quell'anonimo locale di periferia si divertiva a girare prima verso destra e poi verso sinistra, disorientando ulteriormente la sua testa già offuscata dal troppo alcol, e quella situazione lo fece ridere ed imprecare allo stesso tempo.

Non era raro che il modello si riducesse così, lontano dagli occhi di chiunque, persino da quelli dei suoi più cari amici. Aveva un curioso modo per smaltire lo stress, Jungkook, costituito da sesso occasionale con il primo ragazzo che trovasse disponibile, ma, quando le aspettative diventavano troppe da poter essere sopportate, l'unico modo che conoscesse per scappare dall'immagine asfissiante che tutti volevano vedere era bere così tanto da non reggersi in piedi, non ricordarsi il proprio nome.

Lanciò dei soldi sul bancone senza nemmeno contarli né attendere il resto e barcollò verso l'uscita, ridacchiando. Come sarebbe tornato a casa? Non poteva guidare, in quelle condizioni che riconosceva pietose ma di cui non si pentiva affatto, ma se avesse preso un taxi, il mattino dopo avrebbe corso il rischio di trovare su ogni giornale di gossip una dichiarazione del tassista che lo aveva accompagnato a casa. E non poteva chiamare Jimin o Taehyung, non poteva rendere loro noto come avesse trascorso quella serata, senza farli preoccupare o, peggio ancora, arrabbiare, e non aveva neanche voglia di ascoltare, soprattutto da ubriaco, le loro parole che, per quanto dolci e piene di sincero interesse, alla fine erano solo l'ennesima paternale inutile.

Come diavolo avrebbe fatto?

Non lo sapeva, non lo sapeva e gli venne da imprecare ad alta voce, mentre si trascinava verso la macchina. Ed imprecò nuovamente, quando inciampò addosso a qualcuno, i suoi pensieri che si congelarono l'istante successivo. E se fosse stato qualcuno che poi avrebbe parlato, avrebbe rovinato il suo nome, la sua immagine?

«Mi scusi, io... Jungkook?»

Il corvino rise, nel riconoscere la voce di Yoongi, e si rilassò all'idea di non essere stato visto da nessuno di particolare, da una persona che, invece, avrebbe potuto manipolare con facilità, se ce ne fosse stato bisogno.

«Jungkook, come ti sei ridotto?»

«Secondo te?» domandò acido. «Non è abbastanza evidente?» Era così quella volta. C'erano sbronze allegre, in cui il ragazzo si sentiva il re del mondo, sbronze in cui avrebbe voluto bruciarlo, il mondo, e con esso ogni suo abitante, ritenendosi fin troppo superiore per quell'umanità che definiva come una banda di incompetenti. «Renditi utile, per una volta: prendi le chiavi della mia macchina e portami a casa.»

«Non ho la patente...»

Il modello accennò una risata, una risata piena di scherno. «Ma seriamente?! Dio, come cazzo ci torno a casa?! Sei inutile, cazzo, inutile!» si allontanò dal corpo del pianista, provò a camminare nonostante la poca stabilità, ma si ritrovò in fretta tra quelle braccia magre, che lo presero impedendogli di cadere e lo strinsero più di quanto desiderasse, una presa dalla quale si divincolò con rabbia, pur di allentarla un po'.

«Be', puoi sempre prendere un taxi...» borbottò l'altro mentre lui si contorceva tra le sue braccia.

«Ma scherzi?! E la mia macchina?! Costa più di casa tua, cazzo!» sapeva di essere stato crudele, se ne rendeva conto, ma era così naturale per lui, in quelle condizioni, dire certe cose, e di certo non se ne sarebbe pentito.

E pensava che Yoongi se ne sarebbe andato, lui lo avrebbe fatto, se qualcuno lo avesse trattato in quel modo, invece non si ritrovò privato di quella presa flebile che lo reggeva in piedi. Lo sentì sospirare, un sospiro lento e pieno di dolore, seguito da un breve silenzio, come se il castano avesse dovuto riordinare i propri pensieri.

Gold - {Yoonkook}Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora