Harry Styles sonnecchiava sul suo lettino, nella solita e triste camera del solito e triste ospedale di Holmes Chapel.
La finestra, lasciata aperta, lasciava penetrare nella stanza piccoli raggi luminosi di un sole piuttosto pallido, che illuminavano il volto di Harry, risaltandone i contorni morbidi.
La sua famiglia, sua madre Anne e Gemma, quel giorno non sarebbero venute per via di un imprevisto con l’avvocato.
Il padre naturale di Harry infatti, aveva smesso di mandare soldi per le sue cure, troppo costose e inutili, così le aveva definite.
E Anne era subito intervenuta per via legali, e Gemma si sfogava non smettendo di piangere, e Harry stava male.
Sua madre continuava a definirlo un ‘bastardo senza cuore’ ma Harry lo aveva capito, aveva capito la reale natura di quel gesto.
Da quanto si trovava in quell’ospedale? Quanti anni dietro a punture o cure ‘miracolose’? Quanti giorni si era svegliato lì dentro, senza assaporare l’odore di pancake appena preparati che faceva sempre Anne?
O quanti pomeriggi aveva passato tra un corridoio e l’altro, tra una sala operatoria e l’altra, senza magari andare a consolare Gemma con un abbraccio e andare a pestare a dovere quello stronzo che l’aveva fatta soffrire?
Da quanto non usciva con amici?
Troppi, troppi era la risposta ad ogni domanda.
E suo padre chissà quanto ci aveva riflettuto su questo, prima di decidere di non pagare più le sue cure.
Tutti lì stavano combattendo una battaglia già persa in precedenza e i più deboli o sopraffatti, stavano lentamente cadendo.
Uno a uno.
E prima o poi tra quelli ci sarebbe stato anche Harry.
Per questo adesso sonnecchiava nel suo letto, solo, soffocando i ricordi delle parole di sua madre, o l’immagine di suo padre.
Per questo adesso aveva un disperato bisogno di Louis.
Voleva sorridere un po’.
Non troppo, giusto un poco.
Louis Tomlinson non aveva smesso di pensare alle parole di Harry riguardo la sua malattia, o alle sue lacrime mentre parlava, o ai suoi occhi disperati.
Ci pensava giorno e notte, quando aveva un momento libero dal lavoro, quando era a casa dalla sua famiglia.
Glielo aveva promesso che lo avrebbe aiutato, preso dalla forza di non volerlo più vedere soffrire, solo che, appena uscito dalla stanza del riccio, era ritornato velocemente alla realtà, con un brusco salto nel vuoto, realizzando quanto in realtà le sue parole fossero state stupide e illusorie.
E si sentiva in colpa anche di questo.
Harry aveva bisogno di tutto, tranne che di illusioni.
Ma era anche vero che Louis non si era mai tirato indietro di fronte a nulla.
Troppo orgoglioso, troppo testardo.
Ed era questo che lo spinse, quella mattina sul tardi, verso le dieci, a dirigersi a lavoro con la sua macchina finalmente riparata, nel bagagliaio uno zaino, dei soldi, dei vestiti di ricambio.
Aveva salutato tutti i membri della sua famiglia con un bacio, quasi partisse e li lasciasse per andare in guerra, tanto che sua madre, abituata alla mancanza di affetto del figlio, ne era rimasta sconvolta.
Lui si era stretto nelle spalle di fronte i loro sguardi interrogativi, quindi era partito sgommando con la sua auto verso l’ospedale, con un unico pensiero in testa: Harry.
Ed ora si trovava di fronte la stessa stanza di qualche giorno prima.
I medici che in quel momento svolgevano il loro turno lo guardavano con curiosità, ma nulla di più, e Louis aveva risposto loro con uno dei suoi migliori sorrisi, stringendosi sempre nelle spalle, quasi non sapesse realmente cosa stesse facendo e perché.
E in effetti, le uniche domande che ora gli occuparono la mente, mentre apriva la porta di quella stanza erano: ma che cazzo sto facendo?
Il vedere Harry Styles sonnecchiare, con la luce del sole che risaltava ancora di più la sua pelle candida e i suoi ricci scomposti, furono sufficienti a far fremere Louis all’ingresso della camera e a farlo sorridere.
Sei qui per aiutarlo, questo basta.
- “Harry…” un sussurro lontano, una voce familiare.
- “Ehi, sveglia…” sto sognando, Louis oggi non ha il turno qui…
- “va bene Harry, se non ti svegli al mio tre dovrò costringerti a farlo.” Si, sto decisamente sognando.
- “Uno…. Due….tre!” Ma che cazz…
Il riccio aprì di colpo gli occhi, sentendo il suo corpo scosso da fremiti spontanei e una voglia irrefrenabile di ridere.
- “L-Louis, p-piantala!” davanti al suo lettino la figura di Louis, in jeans e maglietta, che muoveva velocemente le dita sulla sua pancia, facendogli il solletico.
Dio, odio il solletico.
- “Riccio ti avevo avvisato, almeno ora sei sveglio!” commentò allegro l’altro, non smettendo di sorridere.
Veder ridere Harry era per lui una gioia.
- “S-si, sono sv-sveglio! Bas-basta ti prego”
Harry stava per piangere, non smettendo di scalciare e dimenarsi sotto il tocco di Louis, che smise di colpo, facendolo sospirare.
Il riccio chiuse un secondo gli occhi, sfinito, riaprendoli curioso verso il nuovo arrivato.
- “ ‘giorno Louis, è una nuova procedura medica fare il solletico ai pazienti?” commentò con il solito tono ironico, mettendosi a sedere e non distogliendo lo sguardo dall’altro.
Il liscio scosse la testa, divertito, incrociando le braccia al petto per poi dirigersi ad un armadio consumato all’angolo della stanza ed iniziando a svuotarlo.
Il ghigno di scherno di Harry si spense, per lasciare posto a una fronte corrucciata.
- “Ehm, cosa stai facendo se posso saperlo?” il riccio quindi scese dal suo lettino, sentendosi indolenzito, e avvicinandosi all’altro, che non smetteva di prendere medicinali e vestiti e li metteva in un borsone.
- “Ti ricordi la mia promessa, Harry? Io mantengo sempre le promesse” rispose Louis con tono deciso.
Harry assottigliò un attimo lo sguardo, sforzandosi di ricordare le promesse dell’altro, quindi sgranò gli occhi, rimanendo impalato in mezzo la stanza.
...ti farò vedere il mare Harry.
Il mare.
Tu ed io.
Il riccio si scosse dai suoi ricordi, per poi rendersi conto che Louis aveva già preparato il suo borsone e ora lo guardava curioso, in piedi, davanti a lui.
Harry si schiarì la gola, spostando lo sguardo per la stanza.
- “Q-quindi noi ora… andiamo al mare?” chiese incerto, portandosi le mani tra i capelli.
Louis annuì con foga, sollevando il borsone da terra e tirandone fuori dei jeans e una maglietta che Harry non aveva mai visto.
- “L-Louis ma sei sicuro che si possa fare? Voglio dire….” Harry ora era confuso, perplesso, spiazzato dalla semplicità con cui l’arrivo di Louis nella sua vita lo aveva letteralmente stravolto.
Iniziò a camminare per la stanza avanti e indietro, ragionando a voce alta e passandosi le mani ripetutamente tra i capelli, quindi si fermò all’improvviso, puntando i suoi occhi su Louis, sempre fermo e sorridente con il borsone in mano.
Quanto cazzo sei bello Louis.
Mi porti al mare Louis?
Io con te ci vengo, ci vengo anche camminando sulle mani…
- “Allora? Dobbiamo stare qui a girarci i pollici per molto?” chiese innocentemente l’altro.
Harry rise, incredulo, prendendo poi i vestiti che Louis gli stava porgendo e andando in bagno per cambiarsi.
- “Louis, rispondimi però, come facciamo con… insomma coi medici, l’ospedale eccetera?”
Un grido roco da dietro la porta del bagno, Louis sospirò.
Se solo lo sapessi, piccolo.
Ma sei così felice no?
Meriti di esserlo.
Chissà quanto tempo ancora la gente potrà vederti sorridere.
- “Non ne ho la più pallida idea. Allora ti sei cambiato o ti devo vestire io?” la voce decisa e canzonatoria morì in gola a Louis, nel vedersi aprire la porta del bagno di fronte e trovandosi davanti un ragazzo riccio dallo sguardo allegro, un paio di fossette attorno le labbra, i suoi vestiti di qualche anno prima calzargli a pennello.
Louis arrossì leggermente, allargando così ancora di più il sorriso di Harry.
- “Si, mi sono cambiato, ora cosa pensi di fare?”
Mi licenziano, questa è la volta buona che mi licenziano, mia madre sarà divorata dal dolore, mio padre andrà in rovina, le mie sorelle si vestiranno di stracci, sarò cacciato di casa…
- “Ehm, Louis? Se ti muovi usciamo da qui”
La voce calda e tranquilla di Harry lo risvegliò dai suoi pensieri e quindi, scuotendo la testa, dando un’ occhiata attorno, prese Harry per mano e corse all’esterno dell’edificio.
Qualche passante li guardava sorpreso, chi annoiato, chi li ignorava.
A Louis però non importava della gente, non gliene era mai importato, quindi si voltò verso Harry che, prendendo fiato, gli sorrideva felice.
- “Lo abbiamo davvero fatto?” chiese il riccio incredulo, passandosi per l’ennesima volta una mano tra i ricci e tirando la mano di Louis con l’altra verso il parcheggio dell’ospedale.
- “Harry, ehi, fermati un secondo” commentò ridendo l’altro, accelerando il passo per stargli dietro.
- “Non posso Louis, mi sento così vivo”
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Thank you, Lou. {L.S.}
FanfictionLe situazioni che ci troviamo ad affrontare, giorno dopo giorno, anno dopo anno, che siano belle, brutte, perenni, noiose, prima o poi un cambiamento ce l'hanno. Può essere progressivo, lasciarti il tempo di ragionare e di vivere minuto per minuto q...