Harry Styles alzò un attimo lo sguardo da terra per riprendere fiato. Era in ginocchio, una mano ad allontanargli i ricci dalla fronte, imperlata di sudore. Sospirò, osservandosi poi attorno. La stanza di Louis era l’unica parte della casa dei Tomlinson ad essere completamente a soqquadro. E i motivi erano semplici. La prima volta che Jay Tomlinson aveva provato a ripulirla dai vestiti abbandonati a sé stessi sul pavimento, le macchie di cioccolato sul palchet o la carta straccia da cestinare, Louis aveva otto anni, una parlantina facile e una voce squillante. Lui non voleva che lei mettesse le mani tra le sue cose, nel suo rifugio, e lei aveva dovuto combattere una vera e propria guerra per espugnare quel fortino, a partire dal rimuovere la serratura dalla sua porta, o passare l’aspirapolvere alle sette di mattina solo davanti la sua camera. Louis però, che era ben più che testardo, aveva imparato a mettere la sedia della scrivania in modo da bloccare la maniglia della porta, a indossare le cuffie della musica. E Jay, sospirando, si limitava a scuotere la testa e a gridargli contro. A dieci anni, quando Louis tornava a pomeriggio inoltrato dalle elementari, Jay approfittava di quei momenti per poter finalmente rendere vivibile quella dannata camera. Un pomeriggio però, la signora Clars, l’insegnante di italiano del piccolo Louis, aveva dovuto congedarsi prima dal suo turno e far tornare a casa i suoi alunni prima del previsto. Ovviamente nessuno si era lamentato e, Louis, con un sorriso stampato in viso, era corso subito a casa per giocare al computer e aveva colto sua madre con le mani nel sacco. Ancora adesso, se si prova ad accennare a quella giornata a Jay, istintivamente lei si tocca le orecchie con faccia sofferente, mentre Louis trattiene a stento un ghigno. Comunque, dopo questa specie di epopea del disordine, Louis l’aveva vinta. Agli amici che invitava a casa mostrava con orgoglio la sua camera, ma poi scappavano subito all’esterno a giocare. Jay scuoteva la testa, si stringeva nelle spalle, Felicite era piccola ma già strillava che odiava la stanza di Louis e il padre, Mark, si limitava a ridere e a tornare al suo giornale dello sport. Ovviamente Louis, crescendo, aveva capito che un minimo ordine doveva farlo e così, quando nessuno poteva vederlo, si chiudeva in stanza a pulire il pavimento o piegare alla meglio i suoi vestiti nel cassetto. Era arrivato poi anche il periodo più confuso della sua vita, quello riguardo la sua sessualità, Eleonor, Mark, Stan e tutto il resto, e l’unica parte in cui aveva pieno controllo di sé era la sua stanza, per cui era riuscito ad ottenere un equilibrio. Ma tutto questo Harry Styles non lo poteva sapere, e forse era meglio così. Tuttavia il riccio era abituato a vivere nell’ordine più assoluto, stanze disinfettate, pareti asettiche e, più rimaneva inginocchiato su quel pavimento a frugare tra i cassetti di Louis, più storceva il naso. Mentre lui piegava gli abiti nei cassetti, il moro strofinava i vetri delle finestre, spazzava negli angoli, puliva le macchie sul pavimento. Tra quelle quattro mura ora regnava un silenzio irreale, rotto solo dallo sfregare un panno umido del maggiore o i rumori di cassetti che si chiudono grazie all’altro. Il riccio iniziava ad avere caldo, ad essere stanco di piegare vestiti, così guardò di sottecchi il moro, che fischiettava una canzone dei The Fray per poi imprecare contro una macchia che proprio non scompariva. Harry sorrise, sospirò, poi con la coda dell’occhio notò sotto un paio di boxer blu un profilattico e scoppiò a ridere. Nella farmacia dell’ospedale aveva visto gente di ogni tipo comprarli, e quando aveva chiesto a Gemma a cosa servissero, aveva circa dodici anni, si era sorbito tutta una spiegazione intricata sui rapporti tra uomo e donna, che avrebbe capito solo più avanti. Sentì Louis smettere di fischiettare e il suo sguardo sulla schiena, quindi si voltò un poco e alzò in bella vista ciò che aveva trovato, facendo arrossire Louis che, stringendosi nelle spalle, spostò lo sguardo su un angolo indefinito della stanza.
-“Potrebbero sempre servire” sussurrò, trattenendosi dal sorridere.
Harry roteò gli occhi al cielo, lanciando l’oggetto in un angolo e tornando a frugare tra i cassetti.
-“Ma se andassi a pulire un altro cassetto?” lo pregò il maggiore.
-“Ma come, sto iniziando a divertirmi! Cos’hai ancora da nascondere, droga?”
Louis gli si avvicinò, sedendosi accanto e dandogli una spallata giocosa.
-“Ma finiscila!” e rise sommessamente, accompagnato da Harry, che ora lo osservava mentre finiva di riordinare il cassetto.
-“Beh chi lo sa, magari sei un pusher o roba simile” lo punzecchiò il minore.
-“Cazzo, mi hai scoperto. Sono uno spacciatore professionista che nasconde le sue scorte nei cassetti dei boxer di camera sua. Sono troppo pericoloso, ti conviene scappare” rispose ironico Louis, chiudendo infine il cassetto e sospirando rumorosamente.
Il riccio scosse la testa, passandosi nuovamente una mano tra i ricci.
-“Non ho voglia di scappare, sto bene qua, grazie” commentò con noncuranza, alzandosi dal pavimento e stiracchiandosi.
Louis sorrise, tirandosi in piedi e andando a chiudere la finestra, ora pulita.
-“Perché ci sono io, vero?” lo punzecchiò il maggiore, asciugandosi la fronte da una goccia di sudore.
Harry si trattenne dal sorridere.
-“A dir la verità, Fizzy. E’ così dolce e fa disegni bellissimi” Louis scoppiò a ridere, avvicinandosi al riccio e lanciando una veloce occhiata all’orologio a parete della camera.
-“Abbiamo fatto presto, per un po’ mia madre non avrà da lamentarsi” sussurrò l’altro con noncuranza, spostando lo sguardo lungo la stanza, ora più definita.
Harry si lasciò cadere sul letto e il maggiore, pensieroso, lo seguì a ruota, facendo ondeggiare il materasso.
Di nuovo silenzio, all’esterno della finestra un cinguettare lontano di uccelli, un rombo di motori lungo la strada, un parlare sommesso di due donne.
Il riccio chiuse gli occhi, lasciandosi cullare da quei rumori.
-“Hazza” un sussurro di Louis, vicino.
Harry sorrise istintivamente, aprendo un occhio.
-“Come mi hai chiamato?” riprese quindi.
Louis si strinse nelle spalle, le mani sotto la nuca, un sorriso leggero, gentile in volto.
-“Preferisci ‘amore mio’ ?”
A quelle parole qualcosa all’altezza del petto di Harry si mosse, mentre una strana sensazione premeva forte sullo stomaco.
Il riccio strinse gli occhi, scuotendo la testa con le guance arrossate.
Louis rise di quelle reazioni, riprendendo un tono serio.
-“Hazza” – continuò, calcando il tono su ‘Hazza’ e ottenendo una risatina di Harry –“prima stavi parlando con mia mamma…posso sapere cosa è successo?”
Harry parve rifletterci per un attimo, poi
-“Va bene, a patto che mi dici perché sei rimasto in camera tutto quel tempo” asserì.
Louis sospirò sconsolato, quindi annuì leggermente.
-“Beh” iniziò il riccio, cercando le parole giuste da utilizzare, la mente a riordinare il discorso fatto con Jay –“abbiamo parlato di un po’ di cose… me…l’ospedale…la mia malattia…” la voce gli moriva in gola, le parole pronunciate quasi un elenco della spesa, come se tutto quello accaduto fino ad ora fosse solo un lento susseguirsi di eventi stupidi.
Il riccio avrebbe anche voluto aggiungere ‘e anche di te e i tuoi problemi con la tua sessualità’ ma si morse il labbro per trattenersi. Non voleva ripescare un argomento così duro da digerire agli occhi di Louis così, dal nulla. Ne avrebbero parlato dopo, o domani, o un giorno remoto. Forse.
-“Oh” sussurrò l’altro a denti stretti, la mente partita per chissà quali viaggi.
-“E come mai?” riprese quindi con più interesse.
Harry storse il naso, aprendo ora entrambi gli occhi, il soffitto come unica visuale, anche se non stava guardando per davvero.
-“Perché…” un sussurro timido.
Ora cosa gli dico. Gli parlo della sorella? Delle sue parole? Il suo punto di vista? Non voglio ritornare sull’argomento, non voglio cazzo…
-“Ehi, sei libero di parlarne con me” provò ad incoraggiarlo il maggiore, ora voltato su un fianco con gli occhi puntati sul viso di Harry.
Il minore sospirò, mordendosi il labbro dal nervoso.
-“Ecco… Charlotte crede che io sia la causa di tutti i tuoi mali in poche parole. Del tuo nervosismo di questa mattina, del tuo licenziamento, della tua…rottura con Eleonor…” il suo tono si affievolì man mano che parlava, lo sguardo ora a scrutare Louis, la sua espressione corrucciata, i suoi occhi azzurro mare ora in tempesta.
-“Dio” imprecò l’altro, passandosi una mano velocemente tra i capelli, scompigliandoli, lo sguardo ora di nuovo sul viso del riccio.
-“Non dirmi che le hai creduto.” Concluse poi amaramente, con sguardo supplicante e alcoltempo preoccupato.
Harry rimase muto agli occhi di Louis, l’espressione colpevole in volto.
-“Harry… per favore quella deficiente di mia sorella non sa neanche cosa voglia dire passare quello che hai passato tu, o noi… io…”
Il minore a quelle parole si tirò a sedere di scatto, dal nervoso, quasi il materasso avesse iniziato a scottare quanto le parole che stava sentendo in quel momento.
-“No Lou…aveva ragione. Ha ragione su alcuni aspetti. E io le ho creduto. E tua madre mi ha parlato e… vuoi sapere una cosa?” si voltò con uno scatto verso l’altro, un tono duro, serio, la voglia di urlare dal nervoso di quei ricordi.
-“Abbiamo parlato anche dei tuoi problemi ad accettarti Louis! Ne abbiamo parlato, si. Perché non sono solo io quello che crolla alle parole di una bambina. Anche tu stamattina lo hai fatto, o non ti ricordi?” lo apostrofò quindi, per poi sospirare e passarsi una mano tra i ricci, lo sguardo basso.
Ecco, la bomba l’ho lanciata, ora proviamo a calcolare i danni.
Spostò quindi lo sguardo sul moro, seduto ora anch’esso, le gambe raccolte tra le braccia, il mento appoggiato sulle ginocchia, lo sguardo perso.
-“Immagino cosa abbia detto, che Mark ci ha mollati per il suo unico figlio complessato, che mi vergogno di tutto quando dovrei accettarmi e bla bla bla…”
Un silenzio ora carico di parole, voglia di abbracciarsi, mandare a fanculo certi discorsi, amarsi.
Un sospiro. Harry.
Un sospiro. Louis.
Il riccio quindi trovò il coraggio di scrutare l’altro, un rimorso nascosto tra le iridi verdi, le mani a contorcersi nervosamente tra loro.
E se potessi aiutarlo?
Se gli facessi vedere che sono forte?
Che… cazzo mi sto innamorando di lui?
E’ così bello.
E’ mio.
Nulla lo deve più turbare.
Dobbiamo accantonare questo stupido argomento.
Devo farmi forza, per lui.
Harry tornò a guardarlo, un tremolio leggero delle mani, un sospiro trattenuto nel petto.
Lentamente, cercando di essere il più delicato possibile nei movimenti, cercando quasi di carezzarlo in ogni cosa facesse, un conforto, fece stendere Louis sul materasso, per poi stendersi su di lui, il peso distribuito sulle braccia attorno al collo dell’altro e le gambe, piegate attorno il busto di Louis.
Mai il minore era stato così nervoso, spaventato o concentrato su qualcosa.
Mai aveva voluto fare qualcosa più di adesso.
Il moro semplicemente lo guardava, un sorriso velato dietro gli occhi, dietro la paura di conoscersi a fondo, accettarsi.
Dietro la paura di amare Harry.
Il riccio, mantenendo il contatto visivo, poggiò la sua fronte contro quella dell’altro, perdendosi nei suoi occhi, nel silenzio che li circondava.
-“Non devi farlo se non lo vuoi anche tu… non” iniziò incerto Louis con un sussurro, zittito da un veloce bacio di Harry; Louis accennò un sorriso.
Ripresero a baciarsi, labbra che si schiudevano, mani che scompigliavano i capelli.
Le braccia di Louis scesero lungo la schiena del riccio, causandogli dei brividi; i capelli di Harry solleticavano la pelle dell’altro che, delicatamente, capovolse la situazione, riprendendo a baciarlo.
Le sue mani scesero lungo la maglia larga di Harry, la sollevarono con lentezza, la allontanarono dal letto.
Gli occhi chiari di Louis rimasero qualche attimo ad osservare il busto del riccio, rosso in viso dall’imbarazzo.
Il maggiore riprese a baciare la pelle chiara e morbida di Harry.
Poi tutto ad un tratto la situazione si installò, i respiri si mozzarono, Harry spalancò gli occhi nel vedere Louis che si allontanava a frugare nel suo cassetto dei boxer, e rise di gusto nel vedere cosa stringeva in mano.
Anche Louis sorrise complice, tornando a cavalcioni sul minore.
-“Farà un male cane Harry, ti avviso”
Il minore rimase a guardare Louis, i suoi movimenti sicuri e veloci con quel dannato profilattico in mano.
-“E’ un male che posso sopportare, lo condivido con te” rispose poi con naturalezza.
Ho appena scopato Harry.
No, non scopato. Ci ho fatto l’amore.
Con lui è diverso, tutto è diverso.
Non mi sento sporco come quando avevo baciato Stan.
Tutto questo per una volta non mi sembra sbagliato, ecco.
Per una volta ho il cuore che non ce la fa più dopo una cosa del genere.
Con Eleonor era proprio tutto sbagliato.
Tutto nel verso sbagliato.
Come un orologio che va all’indietro. Se vedo il suo riflesso nello specchio, sembrerà andare nel verso giusto, ma l’orologio sarà sempre rotto.
Per una volta io non sono l’orologio rotto.
E neanche lo specchio.
Per una volta io e Harry siamo le due lancette, ci rincorriamo, fino ad incontrarci.
Mi sento così vivo.
Ed Harry era bellissimo.
E’ bellissimo.
Ho ancore troppe emozioni che mi attraversano il corpo.
Cos’è questo, se non è amore?
Louis Tomlinson schiuse gli occhi, respirando lentamente per non disturbare Harry, abbracciato al suo busto, pelle contro pelle, nessun ostacolo tra loro.
Portò distrattamente le mani tra i suoi ricci, muovendo un po’ le dita e sciogliendone i nodi.
Erano stesi lungo il materasso, il letto rimasto quasi completamente in ordine sotto di loro, i vestiti ai loro piedi.
Di nuovo un silenzio li circondava.
Un silenzio diverso, leggero.
Nessuno carico di parole inespresse, solo sorrisi e occhiatine complici.
Anche Harry era sveglio, lo sguardo a vagare per la stanza, brividi sotto le carezze di Louis.
La convinzione di aver fatto del bene verso… il suo ragazzo, si.
Ora poteva definirlo così.
Un sorriso.
Sapeva ora, che al moro non avrebbe più dato fastidio.
-“Ma’ devo uscire a comprare dei medicinali per Harry, non ci metterò più di tanto va bene?” iniziò a gridare Louis dalle scale, mano nella mano con un Harry sorridente e radioso.
-“Boo, hai pulito la tua stanza?” un grido di risposta autoritario da parte di Jay, che fece ridacchiare Harry e scuotere la testa Louis.
-“Si, puoi andare a controllare se vuoi! Allora vado!”
-“Va bene, ma stai attento caro a non dare troppo nell’occhio” la voce della donna ora più vicina, la stanza accanto.
Louis annuì deciso, consapevole del fatto che la madre non poteva vederlo, quindi si voltò verso Harry e, sfruttando i gradini sotto ai piedi, riuscì a baciarlo a fior di labbra senza fatica alcuna.
Il riccio sorrise sornione, facendoglielo notare e il maggiore, scuotendo la testa e stringendosi nelle spalle si avviò verso l’ingresso.
-“Farò presto” gli mimò con le labbra, gli occhi accesi di una nuova voglia di vivere.
L’altro annuì, ancora sorridente, finendo di scendere i gradini.
Osservò la schiena di Louis sparire dietro la porta, sentì il rombo di motori poco lontano e lo scricchiolare del selciato sotto i copertoni quindi si avviò verso il salotto, dove aveva deciso lo avrebbe aspettato.
La televisione era accesa su un canale per bambini, inondando la stanza di una pioggia di colori e musichette allegre.
Scorse sul tappeto Fizzy, intenta a mangiucchiare una matita, i capelli biondi scompigliati in una lunga coda, l’espressione concentrata e, a pancia in giù, le gambe a muoversi a ritmo di musica.
Harry accennò un sorriso, accomodandosi su un divano ad osservarla.
La bimba alzò di poco gli occhi, che le si illuminarono alla vista di Harry e
-“Harry! Ti è piaciuto il mio disegno?” chiese con voce squillante.
Lui annuì solennemente, battendo le mani e congratulandosi con lei che, imbarazzata, arrossì un poco sulle goti.
-“Fizzy! Quante volte ti ho detto di non lasciare le Barbie sul mio letto?” la voce di Charlotte a coprire i cartoni animati, il tono arrabbiato.
Fece poi capolino dallo stipite della porta il suo viso innocente e corrucciato, una mano a stritolare una bambola dai capelli blu.
Harry istintivamente si irrigidì sul posto, spostando lo sguardo sulla televisione.
-“Oh” inveì poi la nuova arrivata, spostando lo sguardo sul divano.
Il riccio la ignorò, non voleva arrabbiarsi con una bambina che aveva la metà dei suoi anni, né darle ascolto.
E se le dicessi che io e suo fratello abbiamo appena scopato?
Come la prenderebbe?
Ci rimarrebbe male?
La traumatizzerei?
Forse potrei correre il rischio.
Sospirò, assottigliando lo sguardo e tornando ad osservare Charlotte, imbarazzata, lo sguardo basso e non più così arrabbiata con Fizzy.
-“Lottie chiedi scusa ad Harry e fate pace, odio i litigi” inveì la bambina più piccola, lo sguardo sempre basso sul foglio di carta.
Il riccio sorrise tra sé e sé, Felicite vedeva tutto esternamente e con la sua ingenuità riusciva a rendere le cose fin troppo facili, ma lo divertiva.
Prese un lungo respiro, lo sto facendo solo e unicamente per Loulou, si sedette meglio sul divano e tossì leggermente per attirare l’attenzione.
-“Charlotte, non sono arrabbiato con te” provò, contando mentalmente fino a dieci per mantenere la calma.
La bambina si portò una ciocca di capelli dietro l’orecchio e entrò nella stanza.
-“Neanche io, solo che la mia idea rimane quella” rispose convinta lei, andandosi a sedere accanto la sorella con tranquillità.
-“E’ una idea cattiva” l’apostrofò allora Fizzy, non più concentrata sulla sua arte.
-“Se ci fosse papà la penserebbe come me” si giustificò allora la maggiore, iniziando a frugare nell’astuccio di tela della sorella.
Harry storse il naso, scuotendo la testa e cercando con lo sguardo il telecomando.
-“Fizzy ti dispiace se guardo altri canali?” cambiò completamente discorso il riccio, non volendo stare troppo ad assecondare Charlotte e le sue idee, ereditate dal padre.
Non è colpa sua, giusto?
E’ il modo in cui è cresciuta.
Forse Felicite non ha avuto la fortuna di crescere col padre passando con lui le sue giornate.
Vorrei proprio conoscerlo questo stronzo.
Così, anche solo per vedere che faccia ha.
Se Louis ha preso da lui quegli occhi azzurri che mi fanno impazzire.
Oppure quel ciuffo che gli adoro scompigliare.
-“Si Harry tanto non sto guardando” rispose dopo poco atona Fizzy, tornando a disegnare con la sorella.
Magari è biondo come Charlotte.
Le dita del riccio premevano distratte i pulsanti del telecomando, cambiando continuamente canale, un immagine all’altra, un suono all’altro.
Si, decisamente vorrei vederlo in faccia.
Il rumore acuto del citofono si diffuse per la casa, rompendo il fantasticare del riccio e facendo sobbalzare le due sorelline sul tappeto.
-“Harry, sarà Louis che si sarà dimenticato qualcosa come al solito! Ti va di andare ad aprire? Sono un po’ impegnata…” ennesimo grido di Jay dall’altro capo della casa.
Harry sorrise, annuendo e avviandosi verso l’ingresso, sotto lo sguardo curioso di Lottie e Fizzy.
Chissà cosa si è dimenticato.
E’ un idiota.
E rise sommessamente, passandosi una mano tra i ricci e aprendo la porta.
Il sorriso gli morì sulle labbra, gli occhi si sgranarono alla vista di chi si era trovato di fronte.
Un uomo sulla cinquantina, alto, robusto.
Apparentemente comune.
Ma Harry quegli occhi azzurro cielo li conosceva bene.
Quel sorriso strafottente lo avrebbe riconosciuto tra mille.
Deglutì a fatica, perdendo subito la sua sicurezza e
-“E tu chi sei?” chiese l’uomo con durezza, lo sguardo corrucciato, una mano lungo il fianco a stringere un borsone.
Il riccio provò a respirare regolarmente, chiudendo un attimo gli occhi.
-“Sono Harry, e lei?”
Anche se so già chi sei, coglione.
-“Mark Tomlinson, questa è casa mia e non so chi sia tu, io mi aspettavo di vedere un mio familiare e…”
-“Si, anche io mi aspettavo qualcun altro francamente” rispose con ironia Harry, storcendo il naso e lasciando libero l’ingresso.
Charlotte e Felicite ora avevano la visuale libera e, notando sulla porta il loro papà, corsero felici ad abbracciarlo.
-“Papà! Allora non ci hai abbandonato!” un urletto allegro di Fizzy, attaccata alla gamba sinistra del padre.
-“Mi sei mancato tanto” commentò invece con un sorriso Lottie, attaccata all’altra gamba.
Harry a quella vista distolse lo sguardo, quasi schifato.
Quell’uomo era orribile, non meritava l’amore delle sue figlie, non meritava nulla.
Abbandonò l’ingresso con noncuranza, deciso a rifugiarsi nella stanza di Louis, ma prima si voltò ancora una volta verso la porta spalancata: quell’uomo sorrideva, un sorriso subdolo, falso, che lo nauseò e lo rese ancora più contrariato.
Verso le scale incontrò Jay, che teneva tra le braccia Phoebe, i suoi occhi vispi, i capelli arruffati.
-“Harry caro, chi era alla porta?” chiese dunque la donna, destreggiandosi con la figlia irrequieta tra le sue braccia.
Lui si fermò un attimo, la mano sul corrimano delle scale, lo sguardo corrucciato e basso.
-“Mark”
Né ‘papà di Louis’
Né ‘signor Tomlinson’.
Fanculo, ora che stava andando tutto bene.
E Lou era pure felice!
Al diavolo.
Non era vero, non lo volevo minimamente vedere, io volevo solo Louis.
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Thank you, Lou. {L.S.}
FanfictionLe situazioni che ci troviamo ad affrontare, giorno dopo giorno, anno dopo anno, che siano belle, brutte, perenni, noiose, prima o poi un cambiamento ce l'hanno. Può essere progressivo, lasciarti il tempo di ragionare e di vivere minuto per minuto q...