Normalmente i sensi di colpa si avvertono di fronte la coscienza che c’è qualcosa che non va, di aver fatto qualcosa di sbagliato. E’ una sensazione positiva, perché significa che una parte di noi stessi differenzia il bene dal male.
Harry Styles non aveva fatto mai nulla di male nella sua vita, eppure ora avvertiva un profondo senso di colpa, che lo opprimeva, lo spingeva sul petto verso il basso, facendolo sentire così stupido.
Ci aveva anche ragionato sul perché, aveva scavato nella sua mente, senza arrivare davvero a conclusioni.
Piantala di dire stronzate, lo sai perché ti senti in colpa.
Voglio dire, guardalo.
E Harry volse ancora lo sguardo sul ragazzo moro che aveva seduto accanto a sé, in un insignificante fast food di una insignificante autostrada verso chissà dove.
Perché è anche questo che mi fa stare male, se io lo sto solo costringendo?
Se in realtà volesse tornare dalla sua famiglia?
A casa sua?
Io lo farei se fossi in lui.
Sono una tale noia.
Non sono di compagnia.
Non so niente del mondo fuori dall’ospedale.
Mi stupisco di tutto, lui probabilmente è annoiato.
Louis, i gomiti poggiati sul tavolo di fronte a loro, stringeva tra le mani un panino dall’aria invitante, dal quale sporgeva un hamburger e strane salsine.
La bocca che masticava, la schiena dritta sulla poltrona in ecopelle, lo sguardo perso nel vuoto, a fluttuare tra chissà quali immagini e quali ricordi.
Hai degli occhi bellissimi, Lou.
Ma la vedo la tua preoccupazione in quegli occhi.
E’ per colpa mia, non è così?
Sono un egoista, hai ragione.
Un fottuto egoista.
Ma non voglio neanche tornare indietro.
Aiutami.
E fu un attimo: nel silenzio quasi totale del locale, dovuto all’orario improponibile di notte, Louis spostò lo sguardo sul riccio che aveva accanto e, nel vedere che lo stava osservando, provò un sorriso e arrossì leggermente.
Harry scosse piano la testa, facendo ondeggiare i ricci, quindi abbassò lo sguardo sul suo piatto e tornò a giocherellare con le patatine fritte che non aveva nemmeno toccato.
Il maggiore corrugò la fronte, irrigidendosi sulla sedia.
- “Devi mangiare, Harry. Se non ti piace prendo qualcos’altro”
E il riccio sentì il peso che aveva sul petto appesantirsi sempre di più.
Sono solo un bambino capriccioso per te, vero?
Sono così stupido a volte.
E’ che ho lo stomaco chiuso.
- “No, tranquillo, è che a dire il vero non ho molto appetito…” commentò fiocamente, non alzando lo sguardo dalla patatina che stringeva tra le dita, quindi, con una smorfia di disgusto, la lasciò cadere nel piatto.
Louis sbuffò leggermente, tornando al suo panino, senza voler veramente mangiarlo.
- “Harry, voglio essere chiaro con te, non ho molti soldi, non so per quanto potremo permetterci di mangiare in fast food a dire il vero, quindi per favore fai uno forzo e mangia”
Harry allargò gli occhi, sorpreso, irrigidendo i muscoli della schiena e scattando a sedere.
Non…non avevo pensato a questo.
Cazzo, sono un coglione.
- “Vuoi tornare dalla tua famiglia?” un sibilo, non voleva davvero pronunciare quelle parole: temeva la risposta.
Mantenne lo sguardo fisso sul volto dell’altro che, sospirando, lasciò cadere il suo cibo su un fazzoletto sul tavolo, quindi, pulendosi le mani sui jeans, si voltò verso di lui, lo sguardo serio, limpido.
Ma anche una espressione scura in volto.
Harry si morse il labbro nervosamente.
- “Man-gia” concluse serio Louis, alzandosi in modo calmo per poi dirigersi alla cassa per pagare.
E Harry si ritrovò a sospirare.
E a far spuntare un timido sorriso sulle labbra.
Abbassò quindi lo sguardo su ciò che aveva davanti, domandandosi se fosse commestibile, quindi, con riluttanza, iniziò a mangiare.
Pensavo peggio.
Se almeno morirò, sarà per intossicazione alimentare.
Odio i fast food.
Però…
Però c’è di peggio.
Che ha evitato di rispondermi.
Louis frugò svogliatamente nella tasca dei jeans, tirandone fuori un portafoglio usurato in pelle e consegnando alla donna che aveva di fronte, dietro una cassa vecchio stile, una banconota da venti sterline.
Lei lo guardò con sufficienza, strappandogli di mano quei risparmi faticosamente guadagnati.
Il moro si lasciò sfuggire una smorfia, quindi, scuotendo la testa, tornò verso Harry, seduto in modo scomposto sulla poltrona ad aspettarlo.
Sei bellissimo.
Ma adesso dove andiamo?
Dove ti porto?
Louis cercò di mascherare le sue preoccupazioni dietro un sorriso, sorriso che venne prontamente ripreso dal minore.
- “Dai vieni, cerchiamo un posto per la notte” provò con tono sereno, facendo cenno al riccio di alzarsi.
Quello si alzò con fatica e lentezza, mettendosi in piedi accanto il maggiore.
A Louis cadde l’occhio sul piatto dell’altro e soffocò una risata.
- “Meno male che avevi poca fame”
- “Mi è venuta di colpo” commentò solamente il riccio, mettendosi le mani dietro la testa e avviandosi verso l’uscita.
Il maggiore sospirò solamente, scuotendo la testa e seguendo il passo lento di Harry e uscendo dal fast food, per ritrovarsi all’aria aperta.
Era notte inoltrata ormai, la zona era deserta, le strade silenziose, e una voglia di rintanarsi sotto le coperte attraversò il corpo di Louis che, velocemente, raggiunse Harry, camminandogli affianco.
Il silenzio notturno venne interrotto da un rombo improvviso di motori alle loro spalle.
Istintivamente entrambi si voltarono di colpo, stupiti, osservando un gruppo di persone dall’aria su di giri avviarsi goffamente verso il fast food dalla quale erano appena usciti.
A Louis venne istintivamente di mettersi davanti a Harry, per coprirlo.
- “Forse è il caso di allontanarci…non credi… Louis?” commentò a bassa voce il riccio, piuttosto impaurito dalla situazione.
Louis gli prese la mano da dietro e gliela strinse, per calmare quel tremore che aveva visto nella voce.
Chiuse quindi gli occhi, controllando il suo respiro ora accelerato.
- “Ti fidi di me, Harry?”
E anche se alle sue spalle Louis potè immaginarsi Harry che roteava gli occhi di fronte quella frase.
Invece inaspettatamente il riccio appoggiò il mento alla spalla del maggiore, sussurrandogli all’orecchio
- “Che cosa hai in mente?”
Il maggiore avvertì calore a quel contatto intimo, e se ne allontanò leggermente.
Quindi si voltò a incrociare lo sguardo dell’altro e, sorridendogli in modo rassicurante, si strinse nelle spalle.
- “Sai che sono impulsivo piccolo, aspettami lì per favore”
E ti prego, non muoverti davvero.
Ma quanto cazzo gli ci vuole?
Dio sono così in ansia.
Ti prego, spunta all’improvviso da quella fottuta porta scorrevole.
Ti prego, non lasciarmi solo in questo parcheggio.
E ad Harry cadde involontariamente l’occhio sull’auto parcheggiata malamente da quel gruppo di ragazzi di poco prima.
Quindi deglutì a fatica, assottigliando lo sguardo per cogliere il minimo movimento nei paraggi.
L’aria iniziava a farsi fredda, non eccessivamente fastidiosa, ma abbastanza da far intorpidire Harry che, spazientito, si alzò in piedi dalla sua posizione accovacciata e si strinse le braccia attorno il busto.
Voglio un tuo abbraccio Louis.
Voglio un tuo fottuto abbraccio.
Quindi o ora esci di lì, oppure entro dentro e ti prendo a calci.
Poi ti abbraccio.
E il riccio sorrise a quella sequenza di pensieri, immaginandosi l’abbraccio di Louis come qualcosa di caldo e rassicurante, una coperta d’inverno, un raggio di sole a primavera, un sorriso dopo un periodo triste.
Al diavolo Mr. Impulsivo, io qua mi gelo il culo e voglio un abbraccio.
Il locale ora era stranamente silenzioso e deserto.
Illuminato fiocamente da una luce al neon dietro il bancone, Harry potè scorgere, sforzando di poco la vista, la cassa di poco prima, completamente aperta e vuota, senza un soldo.
Deglutì a fatica, annaspando nella stanza e sentendo l’agitazione crescere dentro di sè.
Lou, dove cazzo sei.
Portò le mani, tremanti, tra i capelli, nel tentativo di rilassarsi.
Più avanzava nel locale, verso il bancone, più l’ansia in lui cresceva e si espandeva nel suo petto.
Scorse vagamente una tunica rossiccia stesa a terra e gli si mozzò un urlo in gola.
Sgranò gli occhi, si portò le mani al petto avvertendo una nauseante voglia di rimettere tutto ciò che aveva ingerito.
Arretrò velocemente e, nel farlo, urtò un tavolo, facendolo scorrere sul pavimento rumorosamente.
Iniziò a far scattare lo sguardo da un angolo all’altro, per paura di qualsiasi movimento.
Porca puttana, porca puttana Lou, dove sei?
L’immagine di Louis steso a terra, esamine, gli fece stringere qualcosa all’altezza del petto.
Non dovevo uscire da quel dannato ospedale, lo sapevo cazzo.
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Thank you, Lou. {L.S.}
FanfictionLe situazioni che ci troviamo ad affrontare, giorno dopo giorno, anno dopo anno, che siano belle, brutte, perenni, noiose, prima o poi un cambiamento ce l'hanno. Può essere progressivo, lasciarti il tempo di ragionare e di vivere minuto per minuto q...