Le situazioni che ci troviamo ad affrontare, giorno dopo giorno, anno dopo anno, che siano belle, brutte, perenni o noiose, prima o poi un cambiamento ce l’hanno.
Può essere progressivo, lasciarti il tempo di ragionare e di vivere minuto per minuto quell’inaspettata occasione, oppure brusco, che ti stravolge nel profondo, lasciandoti basito e sorpreso ad osservare la tua vita mutare e prendere forma, senza magari tu lo voglia.
Harry Styles la sua vita non l’aveva mai davvero potuta definire sua, perché semplicemente non lo era.
Era malato, schiavo del suo male, costretto in un ospedale fino alla fine dei suoi giorni.
La sua vita si stava lentamente sgretolando, a partire dalla sua famiglia.
Non lo avrebbe mai ammesso, ma la situazione che stava vivendo gli stava sfuggendo letteralmente di mano, troppi bruschi cambiamenti, troppe cose a cui pensare.
Lo stesso giorno in cui si era reso conto di ciò, si era ritrovato ad affrontare un altro brusco cambiamento, solo che questa volta si era fatto trovare entusiasta e pronto.
Le conseguenze di tutto ciò non lo sfiorarono minimamente quella tarda mattina, quando Louis aveva fatto irruzione nella sua stanza trascinandolo con sé lontano, da tutto e da tutti.
Perché lui lo voleva davvero,perché sapeva in fondo di meritarselo, perché Louis aveva un sorriso che ti scaldava il cuore.
Fu soprattutto quel sorriso sincero a convincerlo e a infondergli una inaspettata forza, sorriso che tutt’ora Harry stava osservano dal sedile del passeggero della macchina di Louis, e che non si vergognava minimamente di ammirare e di ricambiare con un altrettanto sorriso sincero.
Era più forte di lui, la pelle delle sue guance non accennava a voler scendere dagli zigomi e rilassarsi, tanto che per un attimo temette una parziale paralisi del viso.
Louis guidava in silenzio, concentrato sulla strada, le mani strette attorno al volante, la schiena tesa contro il sedile.
Quanto sei bello Louis.
Viaggiamo il mondo io e te?
Su questa macchina se vuoi.
Portami ovunque, non mi lasciare più.
- “Sei davvero felice?” il tono curioso e serio di Louis ruppe i pensieri del riccio che, strabiliato dalla domanda, ma come, non si vede che sono più che felice?, scrollò il capo, sistemandosi meglio sul sedile e guardando per la prima volta la strada davanti a sé.
- “Tu non ne hai la minima idea, Louis” rispose quindi, cercando di non lasciar trapelare troppo entusiasmo nella sua voce.
Un minimo di contegno.
Anche se per te me ne fotterei altamente del contegno.
Andiamo al mare?
Guardami, sono felice cazzo, per la prima volta davvero.
Con la coda dell’occhio osservò l’altro, che non distoglieva lo sguardo dalla strada ma che sorrise nuovamente, facendo perdere un battito al cuore del riccio.
- “Bene, allora ti avviso che siamo arrivati alla spiaggia” continuò l’altro, con voce orgogliosa, iniziando a diminuire la velocità della vettura e a far girare il volante verso destra, per parcheggiare vicino il porto.
Harry strabuzzò gli occhi, sentendo per la prima volta pura agitazione scorrergli per tutto il corpo, per incentrarsi nel petto, all’altezza del cuore.
Si mosse nervosamente sul sedile, spostando velocemente lo sguardo da Louis, alla spiaggia comparsa ora davanti a sé.
Louis rise dolcemente, scuotendo la testa e spegnendo l’auto, quindi si voltò verso l’altro, passandosi una mano tra i capelli.
- “Cosa c’è?” chiese distrattamente Harry, guardandolo con la coda dell’occhio per poi tornare ad ammirare la spiaggia, ora mostrata in tutta la sua grandezza.
Quella è sabbia vera?
E il molo?
L’acqua è cristallina come nella cartolina di zia Carol.
Dio, voglio annegare in quell’acqua.
- “Niente è…che ti vedo euforico, Harry. Tu non hai idea di quanto mi renda felice questo” confessò Louis, con un tono leggermente malinconico.
Passò qualche attimo di silenzio, più che altro per lasciar riflettere sulla situazione il maggiore, che poi, sbuffando e imprecando, aprì le portiere dell’auto.
- “Al diavolo tutto Harry, siamo in spiaggia! Ci facciamo un bel bagno?” quasi gridò.
Harry spalancò la sua portiera, catapultandosi fuori e affiancando Louis nella sua corsa verso il molo.
- “Speravo lo chiedessi” rispose sincero il riccio, continuando a sentire tirata la pelle delle sue guance.
La spiaggia era poco affollata, forse perché era tardo pomeriggio, forse perché era un giorno lavorativo, ma ad Harry, e nemmeno a Louis, importava molto.
Il sole iniziava a tingere di tonalità arancioni il cielo e la distesa infinita di acqua che si sviluppava sotto di sé.
L’aria era calda, piacevole, non afosa, l’ideale per un pomeriggio in spiaggia.
Louis iniziò a togliersi le sue scarpe usurate, cosa che imitò anche Harry, sempre in silenzio per il troppo pensare al fatto di essere al mare.
Il liscio quindi prese le scarpe ad entrambi e, ridendo, fece un cenno del capo verso la distesa di sabbia che avevano di fronte.
- “Dai Harry, mi hai detto quanto ti piacerebbe camminare sulla sabbia, io scommetto che puoi anche correrci sopra”
Il riccio rise , scuotendo la testa e iniziando quindi a correre sul terreno tiepido marittimo.
I granelli di sabbia gli solleticavano le dita dei piedi, facendolo sorridere, e il leggero calore che emanavano gli donava solo piacere.
Si trattenne dal gridare come un pazzo, anche se la sua espressione parlava per lui.
Louis rimase ad osservarlo per qualche attimo, sentendosi appagato dall’aver aiutato quel ragazzo, quindi, ridendo, lanciò le scarpe su un enorme masso li accanto e corse a perdifiato anche lui, inseguendo Harry e tentando di raggiungerlo.
Il riccio si fermò poco più distante da lui, i piedi sommersi nella sabbia umida situata accanto il mare, le braccia tese verso i lati, mimando il gesti di prendere il volo, gli occhi chiusi.
Qui c’è davvero silenzio.
Lo scrosciare dell’acqua è delizioso.
Se solo avessi un costume.
Mi sento così bene, altro che farmaci o punture.
- “Ti fidi di me?” la voce di Louis a rompere l’attimo, leggermente affaticata dalla corsa appena fatta.
Harry si trattenne dal ridere, sentendo le mani dell’altro sui suoi fianchi.
- “Emulare scene di film storici potrebbe essere illegale, credo finirai in carcere tra non molto” rispose con tono scherzoso.
Louis sbuffò divertito, scuotendo la testa e sedendosi quindi sulla sabbia ai piedi del riccio che, curioso, si sedette accanto a lui.
Entrambi ora erano di fronte il mare.
Erano ora circondati dal silenzio, il sole quasi completamente nascosto dietro l’orizzonte, l’acqua a bagnare i piedi del riccio.
- “Scherzavo, non credo finirai in galera per questo” tentò di rimediare, sempre con tono scherzoso.
Louis sorrise leggermente, chiuse gli occhi e portò le braccia sulla sabbia dietro di sé.
- “Ci finirò per altro, questo è sicuro” rispose con tono tranquillo l’altro.
Harry si accigliò per un attimo, smettendo di ammirare l’ambiente marittimo attorno a lui, e voltandosi verso il liscio.
- “Louis, non stai facendo nulla di male, voglio dire, guardami, sono il ragazzo più felice del mondo in questo momento”
Louis rise, tornando a guardare il riccio accanto a sé.
- “Questo lo vedo” quindi lo punzecchiò.
- “Comunque credo che tutto questo non importi ai medici dell’ HC, o ai tuoi genitori, o a chiunque ci circondi. Tu… sai bene il perché del tuo ricovero, io ho semplicemente agito di impulso, come sempre. Sono un idiota, ma tu sei felice, ed è per questo che per la prima volta la mia vita ha un senso.”
Harry non sapeva bene come rispondere, era scioccato di fronte le parole dell’altro.
I suoi genitori, ossia sua madre, avrebbe capito.
Gemma avrebbe capito.
Questo era l’importante.
Volevano il meglio per lui, giusto?
La vita di Louis ha senso grazie a me? Dio.
E si ritrovò inconsciamente ad arrossire.
Si sentì il cuore battere forte, la testa girare.
E capì anche quello che davvero aveva bisogno.
Portò quindi una mano sulla spalla di Louis, stringendola dolcemente, senza distogliere lo sguardo dai suoi occhi color ghiaccio.
Il liscio sussultò leggermente a quel tocco.
- “Per favore, non mettere la mia felicità al primo posto, sappiamo entrambi che non porterà a nulla di buono. Semmai godiamoci il mare, al baia, questo silenzio fantastico”
E Louis si perse nella vivacità di quegli occhi verde smeraldo, così vivi, gioiosi.
Si perse nelle parole appena sentite, si beò per un attimo della mano del riccio sulla sua spalla, quindi agì come era solito fare.
- “Allora adesso ti insegno a giocare a pallone, poi ci ubriachiamo come se non ci fosse un domani e ci facciamo un bel bagno”
- “Ah sei tu il medico qui” rispose l’altro beffardo, sorpreso dal cambio d’umore inaspettato di Louis.
Ed entrambi risero, felici e senza pensieri.
Perché è a questo che porta a ridere, dimenticarsi per un attimo di tutto, isolarsi dalle preoccupazioni che ci circondano, e condividere quel momento di gioia con qualcun altro.
- “Dobbiamo già andare? Si stava così bene, e poi volevo ubriacarmi”
Il tono lamentoso di Harry fece solo sorridere Louis che, responsabilmente, aveva deciso che era tempo di riportare il riccio in ospedale, che si era divertito abbastanza e che forse non lo avrebbero licenziato in tronco per tutto questo.
Louis finì di infilarsi malamente l’ultima scarpa sul cemento che circondava la spiaggia, aspettando il riccio, troppo occupato a lamentarsi.
Chi sono io per porre dei limiti alla sua felicità?
E’ vero però che sono io stesso ad averla causata.
Ha un sorriso che fa invidia al sole, morirei al non vederlo domani.
- “Uffa, che ore saranno? Sono pieno di sale, pensavo che fosse uno scherzo che il mare fosse così salato!” concluse sbuffando Harry, passandosi le mani tra i ricci e scompigliandoli, spruzzando attorno a sé goccioline trasparenti.
Louis rise, portandosi una mano al petto.
- “Come credi che nascano i Fish and Chips? Il pesce già salato lo prendono dal mare!”
Harry rimase ad osservarlo con una espressione indecifrabile in volto, incerto se ridere o meno.
- “Evita certe battute in mia presenza, grazie” commentò quindi acido, sorridendo, infilandosi l’ultima scarpa con un gesto secco, quindi si pulì le mani sulla maglia e tornò a guardare Louis, che ora era serio.
Attorno a loro il cielo si era inscurito, illuminandosi solo grazie a stelle sparse qua e là, a formare disegni che solo pochi sono in grado di vedere.
La baia ora era completamente deserta, solo qualche negozio sul lungomare era fiocamente illuminato.
Louis iniziò ad avviarsi in silenzio verso la sua auto, controllando con la coda dell’occhio la presenza di Harry, perplesso di fronte al suo silenzio improvviso.
Nel salire in macchina però, il riccio si fermò, prendendolo per un braccio e avvicinandolo a sé, tremante.
Aveva paura, terrore, di quello che avrebbe potuto sentire.
Paura di ritornare in ospedale, di riprovare il dolore, la rabbia, l’apatia.
- “Che hai?” quindi pronunciò.
- “Harry, muoviamoci o arriviamo tardi in ospedale” commentò semplicemente il liscio, stringendo le labbra a due fessure, lo sguardo basso sulle sue Superga, le mani a giocherellare nervosamente con le chiavi dell’auto.
Il riccio quindi lasciò la presa, sgranando gli occhi.
Il muro che si era creato per tutto uno vita, che si era sgretolato dall’arrivo di Louis, ora si stava ricostruendo, lentamente, mattone dopo mattone.
Chiuse le mani a pugno, lasciando cadere le braccia lungo i fianchi e tenendo lo sguardo basso.
- “No” sussurrò a sé stesso, un tono carico di rimorso, tremolante, incerto.
- “No!” alzò il tono, quasi gridando, facendo fermare Louis, ormai quasi completamente seduto in auto che, a sentire quella protesta, si alzò e richiuse la portiera dietro di sé, tornando di fronte al riccio, con calma apparente.
Entrambi ora si scrutavano negli occhi; verde e azzurro, dolore, sofferenza, solitudine.
- “Ho detto di muoverci, Harry” pronunciò categorico Louis, sillabando la frase parola per parola, sforzandosi di sembrare minaccioso, sforzandosi di non vedere la paura in quegli occhi verdi, così perfetti.
- “Non puoi pretendere che io torni là dentro Louis, non puoi. Dopo una giornata del genere, non mi puoi chiedere questo. Tu non sai…cosa si prova, ad essere me, giorno per giorno, tra quelle quattro mura decadenti. Agli sguardi impietositi degli infermieri che leggono la mia cartella clinica, a mia madre che non mi corre più ad abbracciare ma mi tratta quasi come se fossi già morto. Tu sei l’unico che mi tratta da persona viva, o almeno finché lo sono, e ne sono felice. Per una volta, Louis, te lo sto chiedendo. Per una volta, rendimi felice, fammi morire felice.” Il riccio finì di parlare, con le lacrime di rabbia agli occhi, lo sguardo impuntato sempre in quello del liscio, ora paonazzo in volto e il busto scosso da tremiti.
Non dirlo piccolo, non pronunciare mai quell’orribile verbo davanti a me, per favore.
Non ricordarmi che tutto questo finirà un giorno.
Permettimi di rendere il nostro addio meno doloroso, non voglio soffrire.
E Louis, impulsivo com’era, chiuse gli occhi, mordendosi il labbro, e abbracciò con tutta la forza possibile il ragazzo che aveva davanti.
Perché non lo voleva lasciare andare.
La vita doveva rimanere in quel corpo.
Quel corpo che stava imparando ad apprezzare.
Quegli occhi che stava provando a dimenticare.
Harry chiuse gli occhi, ricambiando quel gesto con tutte le sue forze.
- “Ti porterò ovunque tu voglia, ma ti prego, non ricordarmi più che devi morire” un sussurro lieve, leggero di Louis, che rese pesante la fitta al petto di Harry.
Perché entrambi sapevano, ma non pronunciavano.
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Thank you, Lou. {L.S.}
FanfictionLe situazioni che ci troviamo ad affrontare, giorno dopo giorno, anno dopo anno, che siano belle, brutte, perenni, noiose, prima o poi un cambiamento ce l'hanno. Può essere progressivo, lasciarti il tempo di ragionare e di vivere minuto per minuto q...