Chapter 7

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volte ti ritrovi a pensare, e ti domandi, perché prima o poi capita a tutti, come tu sia potuto arrivare a dove sei ora, in quel punto indefinito nello spazio che ti circonda, quello spazio che mai nessuno ha realmente definito. Provi a recuperare discorsi affrontati, liti superate, baci rubati e risate trattenute, e la tua mente diventa una sala cinematografica, il film della tua vita lo spettacolo da ammirare. Ed è in base alle scelte intraprese fino ad allora che permettono di caratterizzare il genere del film: comico, romantico, una commedia… anche un film dell’orrore. Tu puoi darti dello stupido per qualche scelta avventata fatta, ridere al ricordo di qualche stronzata compiuta con amici, pentirti di aver sprecato tempo per qualcuno che non lo meritava.
Ma il film è ancora lì, che scorre.
E’ il tuo passato, la tua memoria, è ciò che sei.
Per quanto tu possa impegnarticiti, incaponirti contro cosa sei, non riesci a cambiare.
Perché sei così, hai agito così.
Harry Styles era un pensatore, un sognatore, uno che amava usare la mente per viaggiare. Passava secondi, minuti, ore e anche intere giornate a riflettere su cosa fosse lui, sulla sua vita. Semplicemente amava riflettere, spremere le meningi fino a che non gli doleva così forte la testa da chiudere gli occhi, o trovarsi di fronte a domande così complicate da abbandonare il ragionamento.
Ed era esattamente quello che stava facendo ora, tra quelle quattro mura spoglie e incolori della settantaduesima camera di un hotel di periferia, su un’autostrada che non ricordava, vicino ad un campo anonimo.
Harry Styles stava pensando, o meglio, ragionando su tutto quello che aveva passato nella precedente giornata.
Aveva visto il mare, corso sulla sabbia, sentito i gabbiani volargli accanto e toccato il cielo con un dito da quanto fosse felice.
Aveva mangiato per la prima volta in un fast food, una esperienza evitabile.
Aveva visto la morte agire davanti i suoi occhi, dietro il bancone dello stesso fast food.
E se lo era chiesto, ci aveva ragionato, pensato come amava fare solo lui: la morte era lì, a pochi passi da lui ora, in quell’immagine incolore della sua memoria, con quella donna stesa a terra, esanime; perché non aveva preso anche lui?
Per quanto tempo avrebbero giocato a rincorrersi, a fare come un coniglio e una volpe, un animale e un cacciatore, un pallone e un bambino?
Per quanto tempo avrebbe giocato allo scappare, a mettersi in fuga?
Quanto tempo gli rimaneva per pensarci su?
E come le molte volte che i suoi pensieri scorrevano veloci, lo travolgevano come un fiume in piena, che ad un certo punto era costretto ad uscire, aggrapparsi ad un masso della realtà, uscire da quel fiume, così ora Harry, sentendo la voce calma di Louis accanto a lui, percependo il suo tocco leggero sulla spalla destra, aprì gli occhi, tornando a vedere per davvero.
Si voltò all’istante, gli occhi appesantiti dalla stanchezza, i ricci scompigliati dallo stress e una voglia matta di addormentarsi subito su quel letto su cui ora erano seduti.
- “Harry, non te lo ripeterò più, porgimi il braccio per favore, devo continuare il tuo trattamento che avevi iniziato in ospedale” la voce stanca del maggiore gli fece storcere il naso, chissà da quanto lo stava chiamando.
- “Si… ecco” commentò quindi a bassa voce, raggomitolando la manica troppo stretta di quella maglia e ruotando il braccio verso Louis che, con fare esperto, di chi compiva quel gesto milioni di volte al giorno, estraeva una siringa da un borsone lì accanto e, volgendo lo strumento alla luce pallida di una lampada, riempiva la siringa di un liquido verdastro.
Harry sospirò, aspettandosi di provare il solito prurito al braccio, rimanendo quindi ad osservare l’altro e il suo sguardo serio mentre iniettava il liquido nel suo braccio.
Il riccio corrugò la fronte, perplesso, per poi alzare lo sguardo dal suo braccio al viso di Louis, che ora lo fissava con u sorriso gentile in volto.
- “Non ho sentito neanche il prurito, come caspita fai?” chiese quindi con tono curioso il minore.
Louis si strinse nelle spalle, lo sguardo basso sulle mani che armeggiavano per riporre l’attrezzatura medica.
Harry si sistemò la manica della maglia sulla spalla, quindi si buttò sulla parte libera del materasso, le mani raccolte sotto il capo, il viso verso l’alto.
Il moro sbadigliò, stanco, quindi si alzò a posare il borsone in un angolo della stanza e, togliendosi la maglia, si stese accanto al riccio, che non battè ciglio.
- “Vuoi dormire?” chiese dolcemente Louis, voltandosi di poco verso l’amico.
Harry scosse piano la testa.
- “Mi parli un po’ di te Lou? La tua vita, la scuola, tutto insomma”
Louis rise leggermente, mettendosi supino come il riccio.
- “Beh, cosa vorresti sapere esattamente?”
- “Non lo so, parlami, adoro ascoltare la gente”
Louis sorrise nuovamente, quindi, prendendo fiato provò a scavare nella memoria.
- “Ho quattro sorelle, e una avuta da mia mamma con un altro”
- “Porca puttana” commentò solamente Harry, scoppiando a ridere con l’altro.
- “Si, ammetto che non è il massimo, ma amo la mia famiglia”
Ed Harry si morse il labbro, ricordando la domanda scomoda di poche ore prima.
Vorresti ritornare dalla tua famiglia Lou?
- “No, non voglio tornare dalla mia famiglia se è questo che ti stai chiedendo”
Harry strabuzzò gli occhi, sorpreso della risposta alla sua domanda inespressa.
- “Non… non ti manca nemmeno un pochino?”
Louis sospirò, muovendosi piano sul letto.
- “Che importanza avrebbe? Sono con te ora”
Harry sentì qualcosa esattamente all’altezza del petto infonderli calore e un tremore lungo le gambe.
- “però…” una voce flebile, tremolante per le emozioni provate.
Louis sbuffò spazientito.
- “Però cosa, riccio?” lo incoraggiò quindi.
- “Voglio dire, non saranno preoccupati per te al momento? Io lo sarei se fossi in loro. Mio figlio che scappa con un paziente malato di cancro dell’HC Hospital”
- “E allora tua mamma Haz? Tua sorella Gemma? Tutti saranno preoccupati per noi al momento, ma ci siamo spinti un po’ oltre non pensi? Posso portarti ora indietro se lo desideri, comunque.”
Harry rabbrividì al pensiero della sfuriata che avrebbe fatto passare la madre al direttore dell’ospedale, o all’espressione di Gemma terrorizzata all’idea di aver perso il suo fratellino.
- “Forse hai ragione” commentò quindi, cercando di rimanere impassibile.
Uno scricchiolare sinistro delle molle del materasso, uno spostamento di peso, quindi la stanza si immerse nel buio.
- “Lou cosa fai?” chiese contrariato il riccio, cercando di abituare gli occhi all’oscurità improvvisa.
Ennesimo movimento sul materasso.
- “Harry, per favore, sono le quattro e mezza di notte, abbiamo passato una giornata stancante entrambi non pensi? Ho sonno” uno sbadiglio da parte del maggiore che rassegnò Harry all’idea di dover rimanere solo e insonne ad osservare il soffitto, come ogni sera del resto in ospedale.
- “Va bene, allora buonanotte Lou”
Silenzio.
Harry si accigliò, quindi si voltò alla sua destra, poggiandosi su un fianco e cercando di scorgere la figura di Louis, immersa nel buio.
- “Lou”
- “Louis”
- “Louis Tomlinson con quattro sorelle e una acquisita”
- “Cosa c’è” sospirò quindi esasperato il maggiore, mugolando qualcosa in segno di protesta.
Harry sorrise soddisfatto.
- “Non mi hai detto buonanotte”
Louis rimase in silenzio e, grugnendo come un animale, allungò le braccia verso il busto del riccio e lo strinse in un abbraccio soffocante, che fece irrigidire Harry, sorpreso dal gesto.
Sentì la pelle calda di Louis solleticargli il petto, il suo corpo seminudo accoccolarsi meglio contro il suo.
- “Buonanotte, ora dormiamo” sussurrò quindi il moro.
 
 
La brezza leggera estiva gli solleticava il viso, carezzandolo dolcemente e facendolo rabbrividire. I ricci gli si muovevano scomposti ad un ritmo incalzante e sconosciuto, gli occhi chiusi a godere di quelle attenzioni.
Il sole, alto nel cielo, lanciava scie calde e luminose contro i fiori di campo che lo circondavano, creando particolari effetti colorati: un quadro che aspettava solo di essere dipinto.
Attorno a lui la calma, il silenzio, rotto solo da cinguettii lontani, alti nel cielo, di rondini.
‘Dio starei ore qui a non fare nulla’ pensò tra sé e sé Harry, stendendosi a pancia in su e sentendo le erbette di campagna grattargli timidamente il tessuto della maglia che indossava.
Fu allora che sentì, poco distante da lui, la voce squillante di Louis.
- “Harry! Harry hai visto che bello Harry?” l’entusiasmo trapelava da quella frase.
Il riccio sorrise, aprendo piano gli occhi, per poi ritrovarsi davanti il viso di Louis, capovolto.
Quello sorrise, mostrandogli una fila di denti bianchi e due occhi azzurri come il mare.
Harry ricambiò il sorriso, mettendosi a sedere, cercando di cancellare il rossore che gli aveva inondato le guance.
Louis ora, facendosi strada tra i fiori, gli si mise davanti, in piedi, osservandolo curioso, con una richiesta inespressa in volto.
Harry sarebbe rimasto a osservarlo per ore: i raggi del sole risaltavano i tratti del suo viso, ammorbidendolo e risaltando quella leggera peluria sul mento.
Il suo ciuffo, sparato in aria, si muoveva piano contro vento.
Louis allargò gli occhi azzurro cielo, facendo rabbrividire Harry, e li spostò verso un lato, intento ad osservare qualcosa di sconosciuto con estremo interesse.
Il riccio corrugò la fronte, perplesso e deluso dalla rottura di quel contatto visivo, quindi si tirò in piedi e si voltò a guardare anche lui in quella direzione.
Solo allora capì di trovarsi su un promontorio immensamente fiorito, privo di strade o recinti o alberi: solo fiori e filoni di grano.
Il promontorio si affacciava sul mare, una distesa blu infinita e inesplorata, calma e con poche onde causate dal vento.
Si girò quindi a cercare Louis, non trovandolo, quindi aguzzò la vista, sentendo l’ansia invaderlo, per poi scorgere l’amico ai piedi del promontorio, a un passo dal salto nel vuoto verso il mare.
Deglutì a fatica, avvicinandocisi piano.
- “Lou! Spostati da lì dai, lo guardiamo da qui il mare!”
I capelli gli svolazzarono sul viso, e lui si affrettò con un gesto secco della mano a scostarli, per poi notare Louis osservarlo sempre sorridente, a pochi passi dal volare giù.
- “Louis, dai non farmi preoccupare!”
E il moro si strinse nelle spalle, scoppiando a ridere, immensamente felice di qualcosa.
‘Cazzo sta ridendo, deve essere impazzito’ pensò quindi il minore, contraendo la mascella dalla preoccupazione e accelerando il passo vero l’altro.
- “Guarda Harry! Vedo il mare! Ci si vede dall’altra parte….”
- “Altra parte cosa? Louis piantala vieni…” la voce gli si strozzò in gola, il cuore gli saltò nel petto, l’ambiente paradisiaco attorno a lui si incupì, improvvisamente colorato di sfumature rossastre.
Louis non era più sul ciglio del promontorio, al suo posto ora solo qualche impronta confusa di scarpa.
Ed Harry allargò gli occhi e gridò, con quanto più fiato aveva in gola.
 
 - “Harry! Haz per l’amor del cielo svegliati! E’ solo un incubo dai!” la voce strozzata dalla preoccupazione di Louis rinvenì Harry, in un lago di sudore e lenzuola aggrovigliate, il fiato corto e una sensazione di oppressione sul petto.
Il riccio prese fiato, chiudendo gli occhi lentamente, per riaprirli poco dopo: era nella stessa stanza di albergo di prima, lo stesso letto, Louis seduto accanto a lui che lo scuoteva, in viso un’espressione preoccupata.
Harry notò con stizza che indossasse una nuova maglietta, quindi, tossendo un poco, si tirò a sedere, grattandosi la schiena.
- “Era da tanto che non dormivo la notte, l’unica volta che lo faccio ho gli incubi” commentò quindi con voce impastata il minore, sbadigliando.
Louis si rilassò a quella vista e, sospirando, recuperò il telecomando che teneva accanto a sé e abbassò il volume della televisione satellitare che avevano in camera.
Il riccio corrugò la fronte, perplesso, guardandosi ancora intorno.
- “Che ore sono?”
Louis posò di nuovo lo sguardo su di lui.
- “Le dieci meno venti. Io sono sveglio da un po’, questo letto è scomodissimo” commentò aspramente, massaggiandosi la schiena come a dimostrare la sua tesi.
Harry annuì poco convinto, posando poi lo sguardo sulla televisione, ancora accesa in sottofondo.
- “Ho… -deglutì a fatica, arrossendo a tratti - …detto qualcosa nel sonno?” voce flebile, sguardo basso sulle sue dita ancora tremolanti.
Louis si strinse nelle spalle con noncuranza.
- “Qualcosa riguardo a un campo, e il fatto che io…non dovessi saltare, o una cosa del genere” rispose calmo il maggiore, tornando ad osservare la televisione.
Harry sospirò, rilassando i muscoli del viso, quindi alzò lo sguardo anche lui verso la tv accesa.
- “Qualche cartone divertente? Scooby-doo, Pokemon…?” iniziò ridendo sommessamente Harry, facendo sorridere leggermente Louis che, come pensieroso, scosse la testa.
- “A dire il vero Harry, credo tu debba vedere il telegiornale di oggi, credo troveresti una o due notizie interessanti” rispose con ironia il maggiore, storcendo il naso e spostandosi per lasciare libera la visuale all’altro che, ora, incuriosito, scrutava lo schermo del televisore.
- “Oh Dio, ma quelli… siamo noi?” il tono incredulo, il corpo teso, le mani strette tra loro in una morsa.
Un tizio in giacca e cravatta che elencava le notizie a raffica a memoria, lo sguardo annoiato, le mani a stringere un plico di fogli: dietro di lui, su uno schermo sproporzionato, un ragazzo riccio dagli occhi verdi, sorridente e steso su un lettino, affianco un’altra immagine, un ragazzo davanti un college, in tuta scolastica e una mano alzata in saluto, sorridente.
Louis deglutì, annuendo solo, quindi abbassò lo sguardo; un sorriso amaro in volto.
- “Devi sentire quante stronzate stanno sparando Haz: secondo i media tu saresti anche psicotico e io un truffatore”
A Harry mancò la saliva, sentendo la gola secca per parlare.
- “Non sono mai stato in tv” riuscì solo a sillabare, facendo ridere Louis che, stiracchiandosi, si alzò dal letto.
- “Neanche io a dire il vero, ma forse sarebbe meglio non finirci mai, ora siamo ricercati Harry” 

Thank you, Lou. {L.S.}Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora