19. Complicità

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Song: Promettimi di Elisa.

«Ti disturbo?»
Lo sguardo tornò a concentrarsi sulla chitarra e sulla miriade di fogli accartocciati sul letto.
«No, figurati... credo di avere il blocco delle scrittore.»

Marinette si sedette accanto a lui, attenta a non contrastare in nessun modo l'ordine-disordine che regnava in quella stanza. I suoi occhi cercarono le dita del musicista: quando Luka componeva, le sue mani esprimevano ciò che il volto, concentrato, nascondeva.

Non era la prima volta che lo vedeva scrivere una canzone.

Le piaceva ascoltarlo, e assistere al processo creativo era quasi un pretesto per rifugiarsi dal mondo, dalle difficoltà quotidiane, dalle paure: non erano sensazioni ricorrenti.

«Puoi dirmi cosa ne pensi?»

Le aveva allungato un pezzo di carta spiegazzato, con mille cancellature e scarabocchi.

Sperò di leggere correttamente quella grafia tanto discontinua, e inspirò profondamente: gli occhi cominciarono a scorrere sul foglio.

Promettimi che prima di pesare
Il prossimo passo e pensare se vale
Ti ricorderai
Di sentire dentro cosa vuoi

Voci di miele da ricordare
Risalire
Come marinai nel mare
Non sentirne il confine
Non sentirne il confine

Promettimi di fare entrare il sole
Che asciuga le ossa e scalda bene il cuore
Anche quando vivresti solo di notte e di guai

Voci di miele da riascoltare
Per risalire
Come marinai nel mare
Non trovarne il confine
Io con te ho imparato a dire
Ti voglio bene
E a saltare senza contare
E che conta quel che rimane
E che conta quel che rimane

Io con te ho imparato a dire
Ti voglio bene
E a saltare senza contare
E che conta quel che rimane

«Che ne pensi? Mi mancherebbero gli ultimi versi, sento che non è completa.»

Non riuscì subito a volgersi verso di lui.
Inspirò profondamente.

«Tutto bene, Marinette?»

Le posò una mano sulla spalla, preoccupato.
Annuì: «Credo... credo che sia il testo più bello che abbia mai letto, Luka. Complimenti.»

Gli restituì il foglio con lo sguardo basso, quasi intimorita da quelle sensazioni così... forti.

«Ti ringrazio, ma mi mancano gli ultimi versi, non so come concludere questa canzone...»

Neanche lui la guardava, pizzicava la chitarra e qualche volta impugnava la penna per scrivere qualcosa di nuovo.

Scriveva e scarabocchiava.

Marinette invece sospirava, alternava lo sguardo tra le dita di lui e il foglio.

Rilesse quelle frasi così tante volte che al timore presto si sostituì un calore nuovo, una piacevolezza diversa.

Non c'era più Luka nella sua testa.

«Tieni questo, – le pose un bigliettino – credo sia un ottimo finale.»

Si guardarono.
C'era qualcosa di troppo importante in quegli occhi.
Marinette si allarmò ma non lo diede a vedere.
Abbassò lo sguardo sul piccolo pezzo di carta.

Era sul punto di leggerlo quando il telefono, impietoso, la interruppe. Fu lesta a recuperare la tracolla, lo trovò dopo qualche minuto: la foto e il nome di Adrien apparvero sul display del cellulare.

Rispose.

«Devo andare, Luka, perdonami.»

Cercò di restituirgli il foglietto, ma lui le richiuse la mano con la propria: «Leggilo dopo. Poi fammi sapere che ne pensi.»

Si guardarono.
Marinette annuì e sorrise dispiaciuta.
«Ti ringrazio.»

Credo che sia questo amore
E credo che sia questo amare.

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