Il Ritorno a Casa

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Era il 18 ottobre 1914; era una mattina grigia, la nebbia avvolgeva il castello della famiglia Leslie, nella contea di Monaghan. Erano quasi le 11 del mattino, il domestico stava spazzando le foglie dal viale d'ingresso quando alzò lo sguardo e si accorse che, sulla riva opposta del lago c'era Norman. Lo salutò con un gesto della mano, questi rispose. Andò all'ingresso, chiamando le cuoche in cucina.

«Oggi preparate più roba da mangiare, è tornato il signor Norman dalla guerra!» Le donne sorrisero felici, e si misero subito al lavoro; il pranzo doveva essere all'altezza di un grande ritorno. Il domestico, invece, si recò in salotto, dove Leonie sedeva su un divano in velluto, contemplando il vuoto. La chiamò, e questa si girò verso di lui con sguardo quasi assente. «Signora, ho una bella notizia da darvi. Il signor Norman è tornato dalla guerra, l'ho visto poco fa al di là del lago, mi ha salutato.»

La donna si alzò di scatto, tenendo stretta l'ampia gonna del vestito con una mano, per non inciampare, ed uscì, chiamando il nome di Norman a squarciagola. Non ottenne risposta. «Sei sicuro George? Perché io non lo vedo e non ho ricevuto nessuna lettera che mi avvisasse del suo ritorno.» Chiese Leonie, guardando perplessa il maggiordomo.

«L'ho visto signora, dall'altra parte del lago. Era in uniforme, portava anche il fucile con sé, dietro la schiena.»

La donna annuì. «Lo aspetterò in casa, dunque» disse.

Norman, però, non arrivò mai. Né quel giorno né quelli successivi.

Norman non tornò mai più.

***

Stava guardando il suo corpo; Norman Leslie era morto in battaglia, sul suolo francese. Era stato ucciso da un cecchino tedesco e dall'alto, dove la sua anima stava fluttuando, poteva vedere il suo assassino. Aveva lunghi capelli biondi che sbucavano da sotto l'elmetto, e la divisa sporca di fango, come era anche la sua. Guardò il suo corpo inerme, disteso a pancia all'aria, una chiazza di sangue macchiava il terreno all'altezza della testa, sulla parte sinistra. Era morto senza nemmeno poter replicare, senza poter rispondere a quel colpo ricevuto a freddo, in mezzo al delirio di spari e morte. Si guardò attorno e si accorse che quasi tutti i suoi compagni erano distesi al suolo, come lui; qualcuno aveva avuto la fortuna di morire sul colpo, qualcun altro stava agonizzando, tra urla di dolore e strazio. Pochi erano rimasti in vita, e stavano ripiegando dietro la trincea che ormai faceva loro da casa, tutti i giorni.

Era finita per Norman, così per come tanti suoi commilitoni. La sua esperienza come servitore volontari dell'esercito britannico era durata meno di un mese. La sua vita si era fermata a 25 anni.

Voleva tornare a casa, anzi doveva. Perché c'era sua madre da salutare e provare a rincuorare, i suoi cari, e tutte le persone che lo avevano servito in quel breve periodo della sua vita, che si erano fatte in quattro per lui. Voleva dire grazie, essere riconoscente, voleva aiutare quelle persone anche dall'aldilà. Sua madre aveva ragione: avrebbe dovuto rimanere a casa, lui che ne aveva la possibilità.

Aveva lasciato tanto a Monaghan, nel suo castello. La sua famiglia aveva bisogno di lui, e avrebbe trovato il modo di aiutarla anche nella sua nuova condizione, che, ormai era chiaro, era quella di un fantasma. Non era salito al cielo, era rimasto nel limbo, ma non riusciva a spiegarsi il motivo. Guardò verso l'alto, verso il cielo azzurro sopra Armentières, e vide le anime dei suoi compagni andare verso l'infinito. Lui no, non poteva, non ci riusciva. Quella ormai era la sua condizione, così decise di mettersi in viaggio verso l'Irlanda; diede un'ultima occhiata al suo corpo che giaceva inerme sul campo di battaglia, poi cercò Connor, il suo compagno d'armi, il suo unico, vero, amico in quel breve periodo passato sul suolo francese. Non lo vide, eppure erano partiti uno al fianco dell'altro verso l'ignoto, verso la morte. Si spostò sopra la trincea e lo riconobbe. Era vivo ed era riuscito a mettersi in salvo, ma stava piangendo. Scese verso di lui, per guardarlo da vicino, per capire se Connor poteva percepire la sua presenza, ma non ottenne la reazione sperata. L'amico continuava a piangere, singhiozzando e pronunciando il nome "Norman" tra le lacrime. Piangeva per lui, per l'amico che aveva perso, per l'appiglio a cui attaccarsi quando tutto sembrava perduto. Norman voleva piangere insieme a lui, ma scoprì che i fantasmi non riescono a farlo; cercò di dare un abbraccio a Connor, ma anche questo gli fu impossibile. L'amico, però, rabbrividì non appena il giovane spettro si avvicinò troppo a lui, e capì che aveva percepito la sua presenza. Lo salutò con uno sguardo e si alzò verso il cielo, pronto per sorvolare la Francia, la Gran Bretagna, e tornare nella sua terra natia: l'Irlanda.

In quel suo viaggio vide foreste immense, città brulicanti di gente, mari sconfinati, tutte cose che nella vita vissuta sulla terra non aveva avuto la possibilità di ammirare. Ma vide anche persone che continuavano a spararsi, a guardarsi in cagnesco da una parte all'altra della trincea, senza una ragione, solo per la conquista inutile di un pezzo di terra che non avrebbe portato giovamenti per le sorti della guerra. Perché davanti a tutta la bellezza che il mondo poteva offrire gli uomini si ostinavano a spararsi uno addosso all'altro? Lui non lo aveva capito prima e ora, in quel suo viaggio ultraterreno se lo stava domandando, ma ormai era troppo tardi per porre rimedio.

Raggiunse l'Irlanda, con le sue sconfinate colline verdi, i suoi prati smeraldo, le sue terre infinite; qua e là vi era una casa, dispersa in mezzo ai campi coltivati, da cui usciva del fumo, un villaggio sporadico spuntava dopo chilometri e chilometri di nulla. Era la sua terra e la amava. In quella sua nuova condizione avrebbe assaporato tutto: decise che avrebbe corso al fianco degli uccelli, avrebbe guardato le api succhiare il nettare dai fiori, la neve cadere sulle colline, mentre manteneva un occhio vigile sulla sua famiglia.

Andò al castello dei suoi genitori, e si mise sulla riva del lago, di fronte alla facciata della sua casa. La guardava, voleva piangere, ma non ci riusciva. Aveva abbandonato tutto e tutti per colpa della sua cocciutaggine e ora ne pagava le conseguenze.

Vide il maggiordomo spazzare le foglie dal viale d'ingresso, poi notò che aveva alzato lo sguardo. Lo stava guardando. Norman salutò. George sorrise, contento di vederlo, poi sparì all'interno del castello.

Anche il fantasma sparì; non sapeva dove andare, ma per lui, ormai, ogni posto era uguale ad un altro. Non poteva dormire, non poteva mangiare, quindi si rifugiò nel bosco, lontano da sguardi indiscreti.


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Buonasera, 
eccomi qui con il novo capitolo. Norman si è pentito di quello che ha fatto, ma ormai è troppo tardi. Ha salutato la Francia e tornerà in Irlanda ad aiutare la sua famiglia. A trovare i documenti che mancano.
Spero che il capitolo vi sia piaciuto.
Al prossimo.
Moni 

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