Capitolo 10

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Era l'ultimo giorno della maggior parte dei ragazzi del gruppo. Quasi tutti era costretti a ritornare in città per via di diversi compleanni, impegni e promesse fatte ai loro cari. Soltanto Noah sarebbe rimasto e, dopo qualche giorno, Julienne avrebbe fatto ritorno per rimanere in via definitiva.
Erano tutti a cena, a casa di Joseph, come se fosse un'ultima cena per celebrare quella settimana che fu davvero magica. Ci furono riconciliazioni, nuove amicizie e, definitivamente, nuove passioni.
Nella giornata passata non fecero nulla di eclatante: a causa del maltempo il villaggio si trovò ad affrontare disagi che causarono rallentamenti condominiali. La serata al bar fu annullata, stessa cosa per i balli di gruppo; i ragazzi si dedicarono a loro stessi e fecero leva proprio su questo, sui rapporti umani. Fumarono parecchio quella sera.
Noah si annoiò, si sentì un pesce fuori dall'acqua, ancora. Pensava di non provare più quel tipo di sensazione ma ritornò alla porta non appena il gruppo iniziò a fare tutto ciò che Noah non faceva.
Gabriel ignorò totalmente Noah quella sera, stessa cosa lui. Continuava a chiedersi se fosse realmente come pensava lui oppure se era la sua testa che continuava a fargli brutti scherzi.
Ma gli atteggiamenti c'erano, eccome se c'erano, gli sguardi anche, soprattutto quelli. Che cosa significavano? Perché li faceva? Perché guardare un ragazzo omosessuale e non una ragazza stupenda come Julienne? Perché non aveva mai fatto alcun apprezzamento verso una singola ragazza da quando erano lì mentre tutti quanti, Daniel incluso, in spiaggia, non facevano altro che voltarsi non appena una bella ragazza passava?
L'unico momento memorabile della serata fu quando uscì l'argomento di come sarebbe stato il ritorno una volta tornati in città.

<<E adesso che farai? Insomma, rimarrai da solo.>> Disse Gabriel guardando Noah davanti a tutti.

<<Farò quello che non ho fatto finora: starò con gli altri gruppi.>>

<<Quindi sei un ragazzo che va a convenienza?>> Disse Gabriel ridendo.

Noah si limitò a rimproverarlo con uno sguardo e rise subito dopo.

<<Io penso di rimanere qualche altro giorno.>> Disse Anthony entrando in un discorso che sembrava soltanto loro.

<<Beh sono contento se rimani, almeno Noah non rimane solo.>>

Dopo quella frase, il nulla. Gabriel fissò Noah per tutta la serata, come se con gli occhi volesse dirgli tanto ma non potesse. Ma quelle ipotesi erano soltanto di un ragazzo stracotto, forse non era lucido, forse non era ancora pronto ad accettare la verità, e forse la verità era che il problema principale era proprio lui.
Il peggior nemico di Noah era Noah stesso e come poteva combattere sé stesso? L'adolescenza non era mai stata così complicata e, a scuola, non ti preparano per certe cose.
"Crescere non è come me lo aspettavo" si disse nella testa.
Quella mattina il tempo era nuvoloso, molto freddo e umido. Noah uscì con una felpa di due taglie più grande di lui e con un pantaloncino nero per bilanciare il tutto. Con quel outfit era più tenero del normale, glie lo avevano detto tutti quanti quando raggiunse casa di Joseph.
Non appena varcò la soglia Gabriel lo guardò e non disse nulla, nemmeno il buongiorno. Noah la prese come una cosa molto positiva contro ogni previsione.
I ragazzi andarono al bar per chiudersi dentro e passare la mattinata davanti alle slot machine e al calcio balilla. Noah si limitò ad osservare il mini campionato che si organizzò. Si sedette su una sedia di plastica e osservò il tutto coprendosi le gambe con la felpa grigia e mordendo uno dei due laccetti.
La verità era che non guardava affatto la partita, bensì chi la stava giocando. Quella mattina, l'ultima, voleva sfruttare ogni momento, ogni istante, ogni singolo secondo per guardarlo. Voleva riempire la sua testa di ricordi, di odori, di sguardi, così da conservarne per quando gli sarebbe mancato, perché la verità era che gli sarebbe mancato da matti nonostante non avesse una definizione che li classificasse. Non erano amici, non erano amanti ma non erano nemmeno sconosciuti. Erano loro, erano Noah e Gabriel, come se l'unione dei loro nomi avesse già in sé e per sé un significato importante, o almeno per uno dei due lo aveva.
Mentre lo fissava notò che qualche volta, tra un goal e l'altro, si scambiavano alcuni sguardi, di quelli seri, senza risatine o mezze facce, solo i loro occhi che si incrociavano per comunicare, tutto qui.
Quando vinse la partita Noah si alzò soddisfatto, lo fissò velocemente e gli sorrise con fare provocatorio. Quella mattina volle provare un approccio totalmente diverso dal normale, era l'ultimo giorno, il giorno delle sperimentazioni. Non avrebbe mai varcato la soglia della sua privacy, non l'aveva fatto nel letto, non avrebbe mai potuto farlo fuori. Sembrava ottenere ottimi risultati inizialmente. Quando il pomeriggio iniziarono a preparare tutto per la grigliata entrambi si ritrovarono nuovamente da soli.

Come un tuono all'improvvisoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora