Capitolo II

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“Dopo, a volte, è tardi”

Guardo la mia valigia sparire dietro la hostess che gentilmente mi porge la mia carta d’imbarco.

Le sorrido distratto e mi stropiccio gli occhi cercando di leggere il numero del mio gate, sospiro e frugo nella tracolla di pelle in cerca degli occhiali, sono così stanco.

Passeggio distratto sapendo di avere ancora molto tempo prima di salire sull’aereo, anche se vorrei passasse veloce. Purtroppo per me, il tempo che trascorro lontano da Zayn e i ragazzi, non lo fa mai.

Ho male ovunque e non posso fare a meno di ridere fra me, mentre aspetto il mio turno per il controllo dei documenti e bramo di oltrepassarlo per godermi finalmente un caffè caldo.

Dopo una settimana senza i ragazzi, passata a stropicciare le lenzuola piuttosto che dormire, capisco che non ho più l’età per essere un amante di questo tipo.

Eppure le guance mi si colorano mentre penso alle mani di Zayn addosso, sento i suoi respiri sul collo, le sue parole sussurrate all’orecchio e il mio piacere crescere fino a farmi urlare.

Zayn mi rende libero, lo ha sempre fatto, e lo continua fare anche se nella mia vita di libertà ce n’è sempre stata poca.

Perdermi nei suoi occhi, far scivolare le dita fra i suoi capelli, baciarlo e farlo mio; non c’è nulla che mi faccia sentire più padrone di me stesso, padrone della situazione, che guardarlo avvolto dal piacere che solo io e nessun altro sa dargli.

“Gate 22. Buona giornata, Signor Payne” torno in me controvoglia, sentendo la voce della guardia di fronte a me.

“Buona giornata a lei” sorrido di nuovo e allungo il passo verso la caffetteria.

Mi porto il caffè alle labbra, mi siedo e prendo il cellulare dalla tasca “Ciao papà! È successo qualcosa?” la voce di Kellan mi raggiunge nervosa.

“No, Key, tranquillo. Volevo solo salutarvi prima di partire” vorrei ridere, ma finisco per giustificarmi, perché so che è sempre bene rassicurare Kellan quando qualcosa lo preoccupa, anche senza nessun motivo valido.

“Ah già, sei in aeroporto? Forse dovevamo tornare a casa prima, lo avevo detto a Kala” sicuramente finirebbe la frase ma sua sorella glielo impedisce “Eddai, smettila. Siamo solo a Londra non in Africa, paranoico. Ci dovremo fare l’abitudine se vogliamo venire a vivere qui” lo sento sospirare e lei fargli il verso. Ah, i gemelli! Cerco di trattenere una risata.

“Ha ragione tua sorella, ma ti capisco, anche a me scoccia molto stare quattro giorni a Francoforte” non so se odio di più lasciare il letto, dove Zayn dorme dopo averci fatto l’amore tutta la notte, come ho dovuto fare stamattina, o pensare a tutte le riunioni noiose alle quale dovrò presiedere nei prossimi giorni, in vece di mio padre.

“Stasera facciamo una Skype e ceniamo tutti insieme, che ne dici?” Kellan è così dolce e premuroso.

“Certo tesoro. Volevo anche ricordarvi che avete il treno dopo pranzo, alle 14 e che baba vi verrà a prendere a York, è lì a ritirare dei pezzi di ricambio, così evitate l’autobus” li saluto sperando stasera arrivi presto.

Torno al mio caffè, ne prendo un lungo sorso e per poco non lo sento uscirmi dal naso, all’improvviso. Sgrano gli occhi e fisso la foto di Zayn appena arrivata sullo schermo del mio telefono. Ma più per la foto in sé, che lo ritrae in un semplice selfie in bianco e nero allo specchio della nostra camera, è la frase sotto a farmi risvegliare.

 Ma più per la foto in sé, che lo ritrae in un semplice selfie in bianco e nero allo specchio della nostra camera, è la frase sotto a farmi risvegliare

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