XXII

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Giova's Pov

Camminavo per i corridoi dell'ospedale, vedevo tutti troppo scossi e agitati nel reparto della Chemio.
Fermai un mio collega, per chiedergli cosa stesse succedendo

Dottore: «una ragazza è appena arrivata in ambulanza, in condizioni gravi» mi rispose
Io: «affetta di cancro?» mi cominciai a preoccupare
Dottore: «al cervello, si, stanza 417»
G: «merda»

Corsi più velocemente possibile alla stanza 417, ed entrai.
La vidi lì, stesa su quel lettino, pallida in volto, ma, fortunatamente ancora sveglia.

Io: «cazzo, ti avevo detto di chiamarmi!» la rimproverai avvicinandomi a lei.
A: «vedi! te lo avevo detto!» si intromise la sua amica.
E: «non volevo farti preoccupare» sussurrò
Io: «e pensi che così tu non mi abbia fatto preoccupare?!»
E: «scusa...»
Io: «cosa è successo?» chiesi
A: «stavamo guardando un film e lei è corsa in bagno, non ce ne siamo accorti subito, poi abbiamo sentito un tonfo, siamo andati a controllare, e l'abbiamo trovata per terra» rispose al suo posto l'amica.
Io: «devi fare la chemioterapia» dissi scrivendo sulla mia cartellina ciò che mi era appena stato detto.
E: «no» rispose in modo secco
Io: «no, non hai capito, non era una domanda, non me ne frega un cazzo, tu fai la chemio, punto e basta.» affermai in modo autoritario guardandola negli occhi.
E: «perché?!» cominciò ad alterarsi
Io: «perché non ce la fai neanche a superare questo mese sennò! capisci?!» le sbraitai contro.

Ero stato troppo brusco, dovevo andarci piano, ma probabilmente tenevo più io alla sua vita che lei stessa.

Elena abbassò lo sguardo, dopo qualche minuto delle lacrime cominciarono a scendere lungo il suo viso, cadendo sulla lenzuolo che le ricopriva metà corpo.

Io: «mi dispiace»
E: «erano 5 mesi...» singhiozzò
Io: «lo so, ma le tue condizioni sono peggiorate»
E: «non potrò partire domani?» mi chiese alzando lo sguardo e puntando i suoi occhi lucidi sui miei.
Io: «non lo so, dipende da come si evolve la situazione, non credo che sia consigliabile prendere l'aereo» le risposi
E: «che palle...» alzò gli occhi al cielo
Io: «non ho detto di no»
E: «quello era un si?»

Non risposi

E: «e allora che senso ha? che senso ha vivere ancora? tanto morirò ugualmente» si lasciò cadere sul lettino
Io: «ti ripeto, se fai la chemio c'è qualche possibilità!» cercai di convincerla
E: «prenderò quell'aereo, domani mattina, appena ritornerò, comincerò questa dannata chemioterapia» affermò
Io: «grazie» le sorrisi

Ero felice di sapere che c'era qualche possibilità per lei.
Tenevo a quella ragazza davvero tanto e non poterla aiutare mi faceva sentire inutile.

Ele's Pov

Sorrisi a Giovanni, voleva solo il mio bene, ed io mi stavo comportando da vera egoista.
Proprio come mi ero comportata con Cesare.

Avrei voluto chiedergli scusa, ma il mio orgoglio me lo impediva.
Avrei voluto anche chiedere scusa a Dario, ma ero stanca di ciò che eravamo, avevo provato, avevo provato a fargli delle domande, e se solo mi avesse risposto, forse, avrei saputo perdonarlo.

Ale mi risvegliò dai miei pensieri.

A: «adesso dimmi che succede» mi guardò minacciosa
Io: «eh?» le chiesi confusa guardando prima lei e poi la stanza, accorgendomi che Giova era uscito.
A: «con Cesare»
Io: «perché me lo chiedi?» le domandai senza guardarla negli occhi
A: «madonna, siete più freddi di non so cosa, eravate così uniti, allora perché lui non è entrato?»
Io: «entrato dove?»
A: «qui, in questa stanza! Lui sarebbe entrato, cosa è successo?! Ti vuole troppo bene, non ti avrebbe mai lasciata qui sola»
Io: «ci sei tu, non sono sola» cercai di sviare
A: «non cambiare discorso»
Io: «abbiamo litigato» dissi velocemente
A: «perché?» domandò subito dopo
Io: «per una cazzata» cercai di chiudere il discorso
A: «per una cazzata?» mi domandò poco convinta
Io: «perché io sono un cogliona! ok?! per questo»
A: «dimmi il perché, posso aiutarti!» mi incitò
Io: «chiedilo a lui, non ne voglio parlare»
A: «lo chiamo, lo faccio venire qua dentro e ne parliamo» affermò uscendo dalla stanza per andare a chiamare il ragazzo.

Dopo pochi minuti entrarono nella stanza.
Cesare era visibilmente scocciato, non ne voleva parlare, entrambi non ne volevamo parlare, Ale se la stava prendendo troppo sul personale, non dovevano essere affari suoi se io e il suo ragazzo avevamo litigato.

C: «quindi?» chiese buttandosi di peso sulla sedia
A: «quindi voi adesso chiarite questa situazione»
Io: «sono stanca» dissi girandomi dalla parte opposta del letto, dando le spalle ai due.
A: «va bene, ok, basta, sono fatti vostri, domani ti vengo a prendere alle 6:00, alle 7:00 dobbiamo essere all'aeroporto» disse prima di andarsene

Rimasi zitta per qualche minuto, poi mi ricordai che nella stanza c'era anche Cesare.
Pensavo che se ne fosse andato insieme ad Ale ma non era così.
Me ne accorsi quando sentii dei movimenti alle mie spalle.

Io: «va via» gli ordinai senza girarmi verso di lui
C: «no, rimarresti sola, e non mi va»
Io: «oh ma andiamo! non sono una bambina!» mi alterai leggermente, voltandomi dalla sua parte.
C: «possiamo parlarne?» chiese appoggiando una sua mano sul mio braccio
Io: «vattene» lo fulminai con lo sguardo ritraendo il braccio velocemente.

Lui si alzò e se ne andò.
Ero rimasta, finalmente, sola con me stessa.
L'indomani avrei detto ai miei tutto ciò che mi stava succedendo e sapevo già come avrebbero reagito, come normali genitori di una normale famiglia che scoprono che la loro unica figlia sta per morire.
Insomma, sarebbe stata una giornata lunga e stressante, ma andava fatto.

Mi addormentai, senza mangiare, con tutti quei pensieri che mi giravano per la testa.
La mattina seguente Giova entrò in camera, svegliandomi e avvertendomi che era arrivata Ale.

Mi alzai a fatica dal mio lettino e andai a prepararmi.
Arrivammo in tempo all'aeroporto, aspettammo circa 15 minuti, e in seguito salimmo sull'aereo che ci avrebbe portate in Sicilia.

Durante il viaggio cercavo di prepararmi un discorso, il modo più semplice per parlare con i miei, anche perché ero sola, non avevo Giova a cui stringere la mano, non avevo Cesare a cui chiedere aiuto, non avevo Dario...ma a lui non lo avevo da tanto tempo.

Dopo un'ora e mezza di volo arrivammo a Palermo, io chiamai un taxi per raggiungere i miei nella mia città, Ale ne chiamò un altro dato che non vivevamo nello stesso luogo.

Dopo un'altra ora di macchina arrivai finalmente nella mia città Natale, che si trovava al confine, proprio come me.

Mi trovavo al confine.

Arrivai a casa, suonai il campanello e quando mia madre aprì la porta mi abbracciò subito fortissimo, non ci vedevamo da un bel po' e neanche l'avevo avvertita che sarei andata a trovarla.

Dopo vari saluti, abbracci e baci che scambiai anche con mio padre, ci accomodammo tutti sul divano...

Una serie di sfortunati eventi //Space Valley//Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora