Grey

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Cinque. Cinque giorni; centoventi ore; il rosso era rinchiuso lì dentro.  Michael aveva difficoltà a scrivere con il carboncino, che ormai era diventato molto piccolo; aveva anche pensato che le sfumature rossicce che i segni stessero prendendo, fossero il suo sangue, dovuto allo sfregamento dei suoi polpastrelli contro il muro. Ma il ragazzo, si rese conto che sarebbe stata ridicolo e decisamente impossibile.

I segni sulla schiena di Michael avevano assunto un colore violaceo, quella frusta di cuoio gli aveva scavato la pelle, punendolo per i peccati che aveva compiuto.

Ripensava alla sua vita prima di finire in quell'ospedale psichiatrico; era comunque una prigione, dettata dai suoi gentiori, dai suoi fratelli e dalla scuola. Non vedeva alcuna differenza, finchè un giorno qualcuno, o qualcosa, cambiò la posizione della sua cella, macchiando di sangue la casa di Michael. No, lui non era colpevole per i delitti commessi in quella casa, tra quelle calde mura color crema; lui era solo un testimone, ma nessuno gli aveva creduto. 

Tutti credevano che fosse il carnefice che descrivevano i telegiornali, un ragazzo senza scrupoli, con le mani macchiate dalla colpa. No, Michael non era ciò che sembrava, o ciò che gli altri lo avevano fatto sembrare; lui era solo un'anima sola, in cerca di un qualcosa di caldo, su cui accucciarsi. 

Eppure, il ragazzo dai capelli rossi era stato condannato a restare in quell'ospedale psichiatrico, per il resto della sua insana vita. 

Michael sentì qualcuno bussare alla porta rovinata della sua cella. Alzò di poco lo sguardo, per incontrare quello candido di Suor Charlotte. Le labbra del rosso si arricciarono in un leggero sorriso; era stanco, lo si notava dalle occhiae profonde e violacee che solcavano i suoi occhi chiari. 

❝Michael❞

La voce di Charlotte tremava, come se avesse paura di dire qualcosa di sbagliato, di ferire il ragazzo anche interiormente. Michael la fissava dall'angolo buio della sua cella, aspettando che la ragazza aprisse la porta. Gli occhi del ragazzo erano illuminati dalla luce fredda dei neon che erano accesi nei corridoi. 

La ragazza aprì la cella con un po' di riluttanza, spaventata da quello che suor Jude avesse fatto sul corpo candido di Michael. In fondo, lei si sentiva impotente, inutile. Era solo una suora come le altre, le sue parole non avrebbero mai potuto contrastare quelle potenti di Suor Jude.

❝Michael❞ ripetè, trattenendo la voce che singhiozzava. Le labbra carnose del rosso si incresparono, in un leggero sorrisetto strafottente. Charlotte si avvicinò al ragazzo, che scattò in piedi, troneggiando con la sua figura alta e possente su quella piccola e minuta della ragazzina. 

Il viso di Michael si avvicinò all'orecchio della ragazza, sussurrando piano.

❝Sono tornato.❞

Suor Charlotte schiuse le labbra e si allontanò istintivamente da Michael, guardandolo stranita. Dei brividi erano scesi lungo la sua colonna vertebrale, tornando poi all'inizio. La voce di Michael aveva scosso la ragazzina; era così profonda, così roca e tremendamente tagliente. 

Sentì gli organi contorcersi tra le sue ossa, stringendosi e annodandosi; non aveva mai provato sensazioni simili e tutto questo era nuovo per lei, un qualcosa di esterno e diverso. 

Charlotte raccolse tutto il coraggio che possedeva e boccheggiò leggermente prima di pronuciare qualche frase di senso compiuto. 

❝tornato?❞

Sussurrò, mentre quell'unica parola le appassiva in gola. 

❝Finalmente quello stornzetto si è arreso.❞

Ridacchiò Michael, mettendo le mani nelle tasche dei suoi skinny.

Altri tagli tra le membra della ragazzina. 

Cosa aveva quella voce? Perchè era così macabra? Così cupa, da rendere tutto il mondo intorno a Charlotte..contorto. 

❝Michael, cosa stai dicendo?❞

Boccheggiò a fatica, la ragazza, fissandolo in ogni piccolo particolare. Le ciocche rosse erano sparate da una parte e l'altra per poi cadere in un ciuffo sulla fronte. Gli occhi verdi perforavano qualunque cosa nel loro raggio e le labbra rosee e carnose nascondevano una dentatura bianca e perfetta. La t-shirt dei Green Day gli fasciava il petto tonico e muscoloso, che si contraeva ad ogni movimento delle spalle e delle braccia. 

Le sue lughe gambe erano infilate in un paio di skinny jeans neri strappati e degli stivaletti rigorosamente neri erano ai suoi piedi, seguendo i suoi passi. Come ombre, presenti nella sua oscurità stessa. Erano ombre invisibili che seguivano i suoi passi, dettandone spesso la direzione. 

Ombre che sprofondavano nel mare di nero in cui stava affondando Michael, che sapeva perfettamente di non poter riemergere.

❝Potresti stare zitta un attimo?!❞

Sbottò nervoso, il rosso, girando nervosamente la testa a destra e a sinistra, come se stesse seguendo qualcosa di veloce con lo sguardo, cercando di fissarlo per poco.

Suor Charlotte lo guardò, deglutendo l'ennesimo groppo di saliva che le si era formato in gola; sgranò istintivamente gli occhi color caramello e un leggero sospiro uscì dalle sue labbra carnose. 

Michael cominciò a camminare avanti e dietro, per la lunghezza della sua cella; le sue mani erano intrecciate dietro la sua schiena e delle parole incomprensibili venivano fuori dalla sua gola, in modo gutturale.

Stava riflettendo, su qualcosa di icompresibile all'udito e alla mente di Charlotte. Quel ragazzo era strano, e sicuramente pazzo. 

Michael notò una ciocca castana, quasi bionda, che era uscita fuori dall'ordinato cappello che Charlotte portava. Si avvicinó, attorcigliandosela attorno l'indice e mantenendo quel sorrisetto candido.

Michael passó lo sguardo sul suo viso e in un attimo sfiló via la cuffia di stoffa nera e bianca, che Charlotte indossava, mostrando la miriade di capellu fluenti e chiari. La ragazza arrossì, girando lentamente la testa e osservando i suoi capelli che arrivavano quasi alla vita.

❝Voglio intrecciarli.❞

Mugoló Michael, sorprendendo Charlotte, che sobbalzó a quel tono di voce così insicuro e dolce.

Il rosso la tiró sul suo lettino, facendola sedere e si mise alle sue spalle con le gambe incrociate mente toccava giocosamente i capelli biondi della ragazza che si mordeva nervosamente il labbro, data la tensione che era nata in quelle quattro mura.

Michael divise i capelli in tre parti, cominciando ad intrecciarli una sull'altra, formando poco a poco una lunga treccia che si schiariva sempre di più fino alle punte.

Appena terminata, il rosso la spostò sulla spalla destra di Charlotte, per poi sfiorare la lunghezza del suo collo con la punta delle sue lunghe dita costantemente fredde. Ella rabbrividì, sobbalzando a quel contatto e si morse violentemente il labbro, sentendo il sapore metallico del sangue sulla lingua.

Charlotte era sicura che ci fosse qualcosa che non andava in quel ragazzo, qualcosa di oscuro e di cattivo. Qualcosa che alloggiava nella sua mente, lì nell'ombra, ad aspettare il momento giusto per mostrarsi.

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