Capitolo Tre. Riunione di famiglia che non è famiglia

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CAPITOLO TRE

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CAPITOLO TRE. RIUNIONE DI FAMIGLIA CHE NON È FAMIGLIA

IL SILENZIO RIMBOMBAVA ANCORA delle loro grida e un'energia pericolosa si irradiava dai corpi tesi di Hamartia e Oneiron Kairos, ora impegnati a fissarsi senza batter ciglio, pronti a saltarsi alla gola al minimo movimento sbagliato dell'altro.

Nessuno osava fiatare e il salottino da lettura – con i suoi molteplici tappeti persiani e i cappucci color caffè delle lampade che richiamavano le pesanti tende in tessuto beige ricamato – pareva restringersi di secondo in secondo sui due fratelli in piedi al centro di tutto, come materia che cade verso un buco nero.

Irida si stava spazzolando i calzoni stropicciati dall'impatto con il pavimento da qualche minuto ormai, non trovando il coraggio di guardare verso il fratello, ben sapendo cosa avrebbe trovato sul suo viso emaciato – delusione e amarezza; sdegno, con ogni probabilità.

Ma che altro avrebbe potuto fare, alla fine? Cosa ne sarebbe stato di loro, senza i Cairns? Sapeva che quanto Martia stava facendo – con il sostegno suo e di Lia – era sbagliato e ignobile, ma si trattava di un male necessario ed era pronta a conviverci per molto tempo ancora. Perché lui si rifiutava di capirlo?

Fu proprio Oneiron a prendere la parola, con la voce graffiata per tutto l'urlare di solo pochi minuti prima e la febbre che andava alzandosi. Sapeva che sarebbe stato male, molto male, e che avrebbe dovuto trovare al più presto della droga o, almeno, dell'oppio, ma in quel momento la rabbia era tanta e sentiva il bisogno viscerale di sfogarla.

«Dis-moi(1), Hamartia – iniziò in un sibilo appena udibile, – come fai a sopportare quello che vedi allo specchio? Mh? Come fai a guardare in faccia queste brave persone, mentre le fai muovere di qua e di là come se fossero delle stupide bambole di pezza senza anima? E lo stesso vale per voi due!» concluse in un'esclamazione roca, voltandosi per affrontare anche le due sorelle ferme alle sue spalle da quando i due nobili Cairns se ne erano andati. Puntò loro contro un dito accusatore, i denti digrignati e il volto madido di sudore.

«Sinceramente, Ophelia, tu non mi hai sorpreso per niente. Sei sempre stata una stronza senza cuore. Ma tu, Ida... – scosse piano il capo e la delusione nei suoi occhi eterocromatici era tale che la sorella fu costretta a chinare il capo, le guance che le scottavano per la vergogna. – Hai detto di amarmi, eppure non hai esitato a metterti contro di me, quando tutto quello che stavo cercando di fare era porre fine a questa cazzo di storia!»

«E poi cosa, Oneiron? – si intromise allora Hamartia, la voce tanto affilata che avrebbe potuto tranciare a metà il busto in marmo di uno degli antenati di famiglia, posato sopra al tavolino da caffè e usato ora come fermacarte. – Hai pensato a cosa sarebbe venuto dopo, mentre cercavi nuovamente di rovinare tutto quanto?»

«Me ne sbatto di quello che viene dopo, Hamartia! Si può sapere dove speri di arrivare con tutto ciò? Hai appena ordinato a quell'uomo di lasciarmi titoli e ricchezze in eredità, di nominarmi Lord. E, guarda caso, non gli restano che pochi mesi di vita. Sospetto, non trovi? Beh, mettiamo bene le cose in chiaro, sorella, io non ho la minima intenzione di restare né di fare da pedina a qualsiasi jeu(2) tu stia giocando.»

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