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CAPITOLO SEI. CACCIA ALLE UOVA DI NATALE
NONOSTANTE IL CIELO LIVIDO E IL VENTO MORDENTE, Inverness era trafficata e febbricitante come sempre, con coach(1) stipati al limite, pedoni frettolosi che attraversavano la strada, schivando escrementi di cavallo e carrozze in maniera quasi innata, strilloni fermi agli angoli più affollati con copie fresche del quotidiano cittadino sotto le braccia macilente e cocchieri che berciavano, ora infastiditi ora propriamente furiosi, proprio contro coloro che sfrecciavano a un pelo dalle proprie bestie da tiro, spesso spaventandole.
La fronte aggrottata poggiata contro il vetro fresco di condensa, Oneiron beveva con lo sguardo cangiante quegli sprazzi di vita frenetica, rimpiangendo il periodo – seppur breve e confuso – in cui aveva navigato in quella stessa marea di gente, seguendone la corrente, prima di rintanarsi per giorni e giorni in un bordello di periferia, annegando il proprio malessere in sesso e droga, i polsi tagliati un dolore costante da cui non poteva fuggire nemmeno volendo – e lui voleva provare qualcosa, allontanarsi da quel nulla che alle volte lo afferrava stretto e lo trascinava giù con sé.
Sospirò pesantemente, le spalle afflosciate e l'esofago stritolato dalla morsa dei ricordi, poi sfiorò con i polpastrelli della mano destra le numerose cicatrici del polso sinistro, rabbrividendo a contatto con gli sfregi turgidi e lisci che mai si era preso la pena di far rimarginare adeguatamente.
Una mano paffuta gli strinse un istante il ginocchio, fermandone così il saltellare concitato, involontario. Scostandosi un poco dalla portiera imbottita, piegò il capo verso Irida, seduta al suo fianco, in attesa dicesse quello che doveva dire, così da poter tornare a perdersi tra i propri pensieri e recuperare le forze.
Nella penombra al cetriolo e tè verde dell'abitacolo, il suo occhio sinistro aveva quasi una sfumatura polverosa, innaturale, la pupilla sempre appena più larga e deformata dell'altra, e quella vista mise un poco in soggezione la sorella, la quale si schiarì la voce e si accomodò meglio contro lo schienale di cuoio, la guancia imporporata dalla voglia premuta contro il cuscino del poggiatesta.
«Mi esasperi con tutto questo muoverti. Stai bene? Abbasso il finestrino così entra un po' d'aria fresca?»
«Perché dovevamo andare a vivere a un'ora dalla città?» brontolò Ron per tutta risposta, voltandosi nuovamente verso il mondo oltre il vetro fumé, ma questa volta stando bene attento a mantenere i tic agitati a un minimo. Non che soffrisse di claustrofobia, ma dopo un'infanzia passata principalmente con gli occhi bendati o costretto entro le quattro pareti di stanze asettiche e fredde, non apprezzava gli spazi chiusi; specie se trainati da quelle bestie. La cicatrice alla gamba prese a prudergli penosamente e usò il tacco dello stivaletto in camoscio per attenuarne il pizzicore – invano.
«In effetti alle volte è un po' scomodo – asserì Ida sovrappensiero, guardando a sua volta fuori dal finestrino, il palmo umidiccio della mano sempre sul suo ginocchio ossuto, dandogli tacitamente conforto. – Strano, però, la Tramontana non è così affollata, al sabato.»
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Nomen Omen
ParanormalMostri si nasce o si diventa? Possiamo davvero fuggire dalle nostre stesse origini? Sullo sfondo di un'epoca indefinita, tra monarchie in continua espansione e collisione, esperimenti genetici e un'imminente guerra tra due fazioni ribelli, quattro f...