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CAPITOLO CINQUE. IL RAGAZZO CHE SUSSURRAVA AI CAVALLI
A ONEIRON NON PIACEVANO LE STALLE – o i cavalli, per quel che valeva.
Le prime perché, per quanto ben tenute, puzzavano sempre di sterco e selvatico e i secondi... beh, erano la causa di quell'odore insopportabile e lui non era mai stato particolarmente leggiadro nel cavalcare. Il bastardo lo aveva costretto a imparare, quando era bambino; un bimbetto di non più di sei anni che tentava di mantenersi in equilibrio su uno stallone di quasi due metri.
Il purosangue si era imbizzarrito dopo pochi minuti e il piccolo fantino aveva volato per mezzo recinto, prima di atterrare tra la polvere e rompersi la tibia destra. Aveva ancora la cicatrice nel punto in cui l'osso frantumato aveva tagliato la carne e, spesso, gli prudeva dolorosamente. Specie quando ci ripensava come in quel momento.
Fu costretto a sedersi sul basso muretto in pietra calcarea che delineava il sentiero e a massaggiarsi la zona dolente attraverso il ricco velluto dei calzoni, poi si prese un altro po' di tempo per ammirare il panorama e inspirare l'aria che ancora sapeva di rugiada.
Come aveva immaginato, la sua breve escursione per l'orto di Lord David Cairns gli aveva imbrattato le belle scarpe italiane, ma, almeno, aveva evitato la sorella maggiore e si era anche preso una saporita foglia di menta piperita. Masticò un altro po' quella poltiglia balsamica, gli occhi eterocromatici che assorbivano il verde muschio circostante e seguivano le linee elegantemente naturali dei diversi terrazzamenti del colle e quelle sapientemente cesellate della villa principale, due gradoni più in alto.
Da quel punto riusciva a vedere le tre finestre ad arco delle sue stanze, i vetri ora chiusi che riflettevano il cielo incredibilmente limpido, le nuvole perenni della Scozia spezzate dalla brezza mordente di inizio autunno. Sputò la menta, sistemò con fare quasi maniacale i guanti neri attorno alle dita magre e si alzò. "Vediamo per quanto ancora vuole giocare", pensò con un ghignetto ironico, riprendendo a scendere il sentiero con una nuova grinta.
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Il ricovero per cavalli era diviso in tre edifici bassi e squadrati – fienile, selleria e appartamenti degli stallieri esclusi –, costruiti interamente in legno scuro e robusto, quasi un tutt'uno con la fitta boscaglia che partiva a est del maneggio a cielo aperto e saliva poi per circondare la magione marmorea della nobile famiglia; la struttura principale, posta tra le altre due che le facevano da ali, era la più grandiosa per estensione e ospitava stalloni e purosangue, mentre le giumente e, occasionalmente, i puledri, si trovavano nella stalla a sinistra; muli e asini in quella di destra, la più piccola e spartana.
Ron non badò a nessuna delle ultime due e si avviò a lunghe falcate verso quella centrale, ingoiando l'ansia all'udire i numerosi nitriti da lì provenienti. "Come se fosse la prima volta che entri là dentro. Courage, Oneiron, ne sois pas un lâche(1). Cristo, sembro mio padre."
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Nomen Omen
ParanormalneMostri si nasce o si diventa? Possiamo davvero fuggire dalle nostre stesse origini? Sullo sfondo di un'epoca indefinita, tra monarchie in continua espansione e collisione, esperimenti genetici e un'imminente guerra tra due fazioni ribelli, quattro f...